Lo scorso febbraio l’articolo di Walter Veltroni sul “ragazzino col Ciao” ucciso a Milano da esponenti di Avanguardia Operaia nel 1975 ha infastidito alcuni esponenti progressisti che accusano il ragazzo di essere un’icona neofascista. Ma ricordare il mortale pestaggio di un diciottenne è sacrosanto. Come lo è ricordare i morti dei giovani di sinistra, uccisi dalla polizia, dalle bombe, negli scontrri con i “fascisti”. E’ importante fare il punto su quela stagione di lotta e di odio, di politica e di ideali, di scontri e pochi confronti.
Quel lungo articolo di Walter Veltroni – terzo di una serie dedicata alle vittime degli anni di piombo – su Sergio Ramelli, il “ragazzino col Ciao” ucciso a Milano da esponenti di Avanguardia Operaia nel 1975 ha infastidito moltissimo tanti, sopfrattto in quellas insitra intellettuale che raramente vuol confrontarsi sugli anni di piobo, e non solo sugi scontri con i ragazzi di destra, ma nche con quello e su quello che avveniva alla sinistra del PCI. Così Christian Raimo, assessore alla Cultura del terzo Municipio guidato dal Partito democratico e presieduto da Giovanni Caudo, uno dei nomi che si fanno sottovoce quando si parla della successione a Virginia Raggi scrisse su Fb, che Ramelli nell’articolo di veltroni è il santino di «un martire strumentalizzato per anni dai neofascisti, icona di Casapound, Forza Nuova e tutti i figli e nipoti della militanza neofascista». Poi affonda il colpo «Una delle operazioni più vergognose che ho visto da anni nel dibattito pubblico» definendo che è «deprimente e agghiacciante» che l’articolo sia stato scritto «da un ex segretario del Pd, ex sindaco di Roma ed ex ministro della cultura». Pubblicarlo in prima pagina sul Corriere, poi, indica «la diseducazione di massa avvenuta da vent’anni nei giornali: l’aver scelto di eliminare il valore della storia nel discorso pubblico a favore di memorialistiche emozionali, revisioniste, strumentali».
Raimo ha anche con un secondo post pubblicando una serie di fotografie dei saluti romani alle manifestazioni commemorative di Ramelli, focalizzato il punto che per Veltroni, quel diciottenne è «il ragazzino col Ciao», per tutti gli altri «è da decenni l’icona del peggiore neofascismo».
Ecco che la de-diabolization del liceale (semplice militante, non picchiatore, preso in agguato sotto casa undici contro uno e morto dopo un mese e mezzo di agonia) è il punto centrale dell’attacco a Veltroni, ma anche a chi vuol far un’analisi seria su quegli anni.
Bisogna dar spazio al confronto, senti raccontare quella storia dal punto di vista dell’Avanguardia Operaia dell’epoca, o quantomeno dell’antifascismo militante che ne fu il principale contenuto operativo (in altri termini, come scrivono i pm del processo Ramelli, «L’aggressione ovunque fosse possibile delle persone aderenti o simpatizzanti della destra politica e la distruzione delle sedi e dei ritrovi da esse presuntivamente frequentati») ma anche di chi era al fianco, nel movimento politico di destra, di Sergio Ramelli. E poi guardare ai fatti di oggi, alle loro storie.
Il contrasto alle politiche d’odio è uno dei punti centrali della narrazione progressista – scrisse Flavia Perina su Linkiesta ai tempi dell’articolo di Veltroni – e dell’idea di una diga che fermi l’ascesa del sovranismo estremista e potenzialmente autoritario, a Roma e in Italia. Ma se da tribune autorevoli della sinistra si ha difficoltà a qualificare come delitto d’odio, frutto della politica dell’odio, aggressione d’odio, il mortale pestaggio di un diciottenne, il discorso della diga contro l’odio si fa meno convincente. Se, addirittura, si giudica «diseducazione di massa» la pubblicazione di un articolo che rievoca quell’orribile delitto, c’è un problema.
I molti sessantenni, giovani allora, che partecipano ancora alla formazione del dibattito politico culturale di oggi e che si sono indignati di quella presa di posizione di Raimo sono la testimonianza che questa falla è evidente e disturba chi gli anni di piombo li ha vissuti e non ne ha nessuna nostalgia, per nostra fortuna, per fortuna di quest’Italia.
Ma gli altri, che dicono?
Rifessioni
La storia di Ramelli è nota a chiunque conosca un po’ delle vicende politiche degli ultimi quarant’anni italiani. Ramelli dal suo funerale è diventato un’icona della destra identitaria e radicale: la sua storia è quella di un camerata martire, al quale ogni anno a Milano migliaia di militanti di CasaPound, Forza Nuova, Fratelli D’Italia, Lealtà e Azione, vanno a rendere omaggio, con il saluto romano e il «Presente!» urlato tre volte.
Perché Ramelli sia diventato l’icona delle destre non è difficile da spiegare e nessuno comunque può sminuire lo sdegno per la brutalità dell’agguato senza astrarre e destoricizzare l’accaduto. Veltroni apre il suo pezzo così «Di storie come quella che sto per raccontare ce ne sono state molte, troppe, quando eravamo ragazzi. Vale la pena usare la memoria, non solo per un giorno, oggi che vediamo l’odio riemergere sui muri delle case di deportate morte da tempo e impazzare incontrollato su schermi tecnologici e moderni».
In un solo paragrafo racconta le storie diversissime di violenza degli anni Settanta.
«Bisognerebbe scrivere l’antologia di Spoon River di quegli anni balordi e bastardi. Sono tanti, i ragazzi che non ci sono più. Potevano avere una divisa addosso, potevano essere di destra, potevano essere di sinistra. ‘Tutti, tutti dormono sulla collina’».
E a gente come Raimo non piace che esistano solo le vittime, tutte uguali.
«Questo ragazzo, in niente dissimile fisicamente dai suoi coetanei di sinistra, ha idee di destra. Pier Paolo Pasolini, a smentire una diversità quasi antropologica, aveva scritto in una lettera a Italo Calvino: ‘Quando parlo di omologazione di tutti i giovani, per cui, dal suo corpo, dal suo comportamento e dalla sua ideologia inconscia e reale (l’edonismo consumistico) un giovane fascista non può essere distinto da tutti gli altri giovani, enuncio un fenomeno generale’».
Ramelli, scrive Veltroni «non era né di destra né di sinistra, e tanto bastava a etichettarlo come fascista» e poi parlando del funerale di Sergio scrive:«Sono giorni orribili, a Milano. La città è l’epicentro della strategia della tensione, definizione non impropria. Tutto comincia non con Piazza Fontana, ma con la morte dell’agente Annarumma, nel novembre del 1969, ucciso durante scontri tra manifestanti marxisti-leninisti e polizia. Siamo nel pieno dell’autunno caldo. Che diventerà presto inverno. Il giorno dei funerali la città partecipa tutta intera. La tensione è alle stelle. La destra cavalca il dolore e l’indignazione. Un giovane con un fazzoletto rosso al collo si avvicina alla bara e la folla, nella quale ci sono molti neofascisti, lo aggredisce. Viene salvato a stento dalla polizia. Scrive la cronaca del Corriere della Sera: ‘Al salvataggio hanno contribuito l’onorevole Bettino Craxi, il sindacalista Giulio Polotti e Mario Aniasi, fratello del sindaco che si trovavano in quel punto. Poco lontano è avvenuto l’episodio di Capanna…’. Mario Capanna viene aggredito e picchiato dai fascisti. C’è una foto che racconta quegli anni folli. Il commissario Calabresi — che un mese dopo si troverà al centro della vicenda Pinelli e al culmine di un’odiosa campagna denigratoria sarà ucciso vigliaccamente davanti alla sua 500 — accompagna Capanna, dopo averlo salvato dal linciaggio. A Milano, esattamente un anno dopo Piazza Fontana, ci sarà la morte, di nuovo durante scontri con la polizia, dello studente ventitreenne di sinistra Saverio Saltarelli. La sua morte verrà raccontata dolorosamente da una canzone di Virgilio Savona, raffinato intellettuale che guidava, gramscianamente, il popolare Quartetto Cetra. Poi moriranno Roberto Franceschi, e tanti altri. Ragazzi di destra e di sinistra. Sono anni di sangue, a Milano».
E concludendo l’articolo… «Sergio e gli altri, divisi sanguinosamente in vita, devono oggi essere uniti nella memoria collettiva. Uniti, almeno sulla collina. Lontani dagli sciagurati che, in pianura, non erano capaci di capire e vivere la legittimità e la bellezza dell’altro da sé».
Quando era sindaco di Roma, Veltroni ha dedicato molta dell’odonomastica romana ai morti giovani di quegli anni. A Villa Chigi per esempio, fece apporre una targa con scritto Paolo Di Nella, 1963-1983, vittima della violenza e poi il sindaco Gianni Alemanno fece aggiungere Vittima della violenza politica.
Veltroni, a sinistra, è tra coloro che più hanno avuto parole di rispetto per i morti della destra. Fu lui a far incontrare Giampaolo Mattei con la madre di Valerio Verbano. In quanto reduce dai burrascosi anni Settanta, Veltroni ritenne all’epoca che la
pietas promossa dalla politica potesse mettere una rassicurante parola fine alle pagine buie dei lutti, senza più la crosta ideologica.
Il neoantifascismo di ritorno
Sbagliava.
Perché oggi il neoantifascismo di ritorno è più radicale e incosciente di quello dell’epoca e torna a considerare l’avversario un nemico da cancellare. Per il neoantifascismo di ritorno Ramelli in fondo se l’è cercata e quelli che lo ricordano ogni anno sono pericolosi fascisti che andrebbero banditi da Milano. Un grumo di giustificazionismo idiota riunisce oggi in un unico filo slabbrato le foibe e i morti missini degli anni Settanta. E’ un odio che torna ad essere viscerale e pericolosamente ideologico, sorprendentemente fanatico e accresciuto dal lievito dell’ignoranza.
Non stupisce che a ricordare Ramelli sia uno come Veltroni. Vecchia scuola politica. Disincanto rispetto agli anni di piombo. Consapevolezza che le contrapposizioni frontali spesso vanno a finire male. Non stupisce perché un tempo Berlinguer e Almirante potevano parlare e rispettarsi. Vecchia scuola anche quella. Oggi c’è la scuola delle sardine, il finto buonismo da centri sociali, per le quali i leader di destra non hanno diritto ad avere spazi pubblici in cui parlare. Proprio come Ramelli non aveva diritto a frequentare il suo istituto “rosso”.
Il tema di Ramelli, il tema di un fascista…
Scrive Veltroni: “Questo ragazzo, in niente dissimile fisicamente dai suoi coetanei di sinistra, ha idee di destra. Pier Paolo Pasolini, a smentire una diversità quasi antropologica, aveva scritto in una lettera a Italo Calvino: «Quando parlo di omologazione di tutti i giovani, per cui, dal suo corpo, dal suo comportamento e dalla sua ideologia inconscia e reale (l’edonismo consumistico) un giovane fascista non può essere distinto da tutti gli altri giovani, enuncio un fenomeno generale».
“Sergio- continua Veltroni – non si distingue «da tutti gli altri giovani» ma ha idee di destra e non le nasconde. Non è, racconta chi lo ha conosciuto, un fanatico. Da poco ha aderito al Fronte della Gioventù. Ma è capitato in una scuola dove le sue idee non sono tollerate. Tutto comincia con un compito in classe. Il professore chiede ai ragazzi di descrivere un episodio che li abbia impressionati. E Sergio scrive un tema sul primo assassinio delle Brigate Rosse, quello compiuto a Padova nel 1974, in cui dei terroristi erano entrati in una sede del Msi e avevano ucciso a freddo Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola. Quel tema fu l’inizio della sua fine. I suoi compagni ne vennero a conoscenza e i membri del collettivo politico di Avanguardia Operaia affissero i fogli di carta protocollo al muro sottolineandone le frasi e commentandolo con la scritta: «Ecco il tema di un fascista»”.
I magistrati: la borghesia milanese ci ostacolò
Illuminanti le dichiarazioni del magistrato Guido Salvini che, assieme al collega Maurizio Grigo, condusse le indagini.Dichiarazioni riportate nel pezzo di Veltroni: «Non era terrorismo, era violenza politica. Scoprimmo gli autori dieci anni dopo. Durante l’indagine avvertimmo un senso di isolamento, come se certi ambienti della borghesia milanese non vedessero di buon occhio il fatto che si riaprisse quel capitolo. Fummo come accusati di processare il Sessantotto. I ragazzi, diventati grandi, erano professionisti, qualcuno aveva figli. Crollarono subito e confessarono. Ci colpì che non fosse un gruppo terroristico, ma un servizio d’ordine della facoltà di medicina, i cui membri non potevano non sapere cosa significhi colpire alla testa un ragazzo con una chiave inglese da due chili. Loro non lo conoscevano, Ramelli. Agirono sulla base di una foto che gli fu fornita dal comitato interno al Molinari. Non credo volessero uccidere, ma quello è stato l’esito. Poi alcuni proseguirono con altre aggressioni e con le schedature degli avversari politici. Cosa che veniva considerata quasi normale, da una parte e dall’altra, in quei tempi. Mi colpì che negli anni successivi, nei cortei, si rivendicasse con gli slogan quella morte. La morte di un ragazzo che affiggeva i manifesti del Fronte della Gioventù, ma non aveva mai fatto male a nessuno».
“La violenza nei confronti di Sergio – conclude Veltroni – è proseguita incredibilmente anche dopo la sua morte. Hanno continuato a fare scritte di minaccia al fratello, a devastare la vita di quella famiglia con quotidiane telefonate anonime, a minacciare il padre. Una vera persecuzione. Bisognava essere dei fanatici, o delle belve, per non avere neanche rispetto del dolore che straziava la famiglia Ramelli. Quel dolore che oggi indossa, con composta discrezione, la sorella, che allora aveva otto anni”. Le belve possono tornare, animate dal fanatismo. E i fanatici non sono solo quelli che disegnano svastiche nelle scuole. Sono anche quelli che al canto di Bella ciao ti impediscono di parlare. L’omaggio a Ramelli comprende anche questo non detto. Veltroni infatti non lo scrive. Ma se ha potuto scrivere quello che ha scritto su Ramelli, sicuramente in cuor suo lo pensa.
Succede oggi a Milano
Ramelli, militanti di destra depositano corona di fiori: quattro multati. Sanzionati per la violazione del decreto contro la diffusione del Coronavirus. E la rete si mobilità per pagare la multa.
Questa mattina in via Paladini, dove venne aggredito e dove c’è da anni il murales a lui dedicato, la corona di fiori è stata sostituita da tre rappresentanti dei principali gruppi di destra: Casapound, Forza Nuova, Lealtà Azione. La quarta persona presente era il fotografo che ha immortalato la scena per la successiva pubblicazione sui canali social. Secondo quanto riferito, i tre non erano i leader dei movimenti. Gli agenti della Digos hanno identificato e multato i quattro ai sensi dell’articolo 650 in violazione del decreto contro la diffusione del Covid-19. Per questo pomeriggio è stato annunciato un concerto in rete da parte della galassia di destra che normalmente celebra la giornata con un raduno in viale Argonne.
Non appena avremo gli estremi invito tutti a partecipare a pagare la multa inferta dai charognards de noantri, scrve Gabriele Adinolfi sul suo blog, e su KulturaEurppea si legge: