A Proposito di Ieri – I so chi è Stato!

Fuori dal coro, nè prima, nè durante, ma dopo. Ricordiamo quella strage, tra l’altro con il testo di una canzone, de “Lo Stato Sociale”, rammentando anche che dietro le facili verità, i mostri sbattuti in prima pagine, le tesi facili del terrorismo nero, c”è chi deve ancora dir molto su quella stage. Su chi la fece, la costruì, la confezione, volendo così punire che aveva peccato di lesa maestà. Sulle complicità e le coperture. Verità che non vanno in prescrizione, verità che spettano ai familiari, a chi ha perso tanto, a tutti noi.

l gruppo bolognese ha raccontanto nell’ultimo album quel fatto. Quella bomba, quell’eccidio.

Noi sappiamo bene l’importanza che ha il ricordare. Il non dimenticare.

Il testo

 

 

Il turno chiamato corta e quello più estremo della cortissima sono due turni molto adatti a chi, come il babbo, preferisce alzarsi presto, lavorare e staccare presto.
Dice che così ha la giornata libera anche se poi alle 10 di sera si addormenta.

L’azienda, chiamata così senza mai davvero nominarla, è uno di quei posti dove lavorare è quasi un piacere.
Sicuramente quasi un titolo per gente che, sicuramente di titoli non ne ha.

Durante tutti gli anni 70 i dipendenti dei servizi dei trasporti pubblici bolognesi sono stati vestiti con uno stile invidiabile: camicie azzurre, pantaloni a zampa, mocassini e libertà di barba, baffi e capelli; tipo George Harrison e Gianni Rivera.

Il babbo di storie sulla guida te ne potrebbe raccontare per ore.
Per 30 anni ha portato a spasso l’unità più varia con il solo obbiettivo di finire il turno puntuale;
perché se sei puntuale finisci il turno in orario.

L’Azienda era una roba fresca, giovane.
Gli autisti avevano fatto un bel ricambio e non c’erano più quelli del Tramvai.
Malgrado le rotaie di via Rizzoli ti facciano ricordare di un’urbanistica di tempi andati.

La linea 30 tagliava Bologna in direzione Nord-Sud,
da San Michele in Bosco alla Bolognina.
Portava in centro gli impiegati degli uffici e gli operai della Casaralta alla Casaralta.

Non è un caso che la squadra del quartiere si chiamasse Bo.CA con il puntino fra Bo e Ca.
Lo leggi come Bocajuniors, ma in realtà significa Bolognina Casaralta.

Un giorno in via Marconi il babbo fa fermata,
dalla porta anteriore si affaccia uno tutto di corsa e chiede: “questo va in stazione?”
Scoprì poi di aver imbarcato un giornalista dell’odiatissimo Resto del Carlino.

Il babbo è sempre stato uno di molte parole e buoni sentimenti, ma con una freddezza che in molti punti della mia vita ho scambiato per menefreghismo.

Anche quel giorno aveva il solito obbiettivo di staccare il turno in orario, andare a prendere mio fratello all’asilo e ritornare a casa da mia mamma.

Il 2 Agosto 1980 la Linea 30, come al solito, scendeva da via Marconi verso Piazza dei Martiri, dritto in via Amendola e poi a destra, davanti alla stazione dei treni.

Sembra distantissimo, ma se la fai a piedi in 5 minuti sei arrivato.
Il tipo di corsa dice: “è scoppiata una bomba!”

Uno, due, tre, 10, 20, 50, 76 alla prima conta e 85 al definitivo.
Centinaia i feriti.
Eppure la Linea 30 alle 10 e mezza passò per viale Pietramellara non sospettando nulla del genere.

La stazione dei treni non era più una stazione dei treni.
Era una cosa, una roba senza senso o forma.
Polvere e macerie, gente ferita e grida.
L’ambulanze per prime, la polizia.

Una bomba in stazione il 2 di Agosto.
Chi ci avrebbe mai pensato?
Chi è stato?

La B2, sicuramente lo Stato lo sa.
Non lo sanno gli autisti degli autobus fra cui il babbo.
Non lo sanno gli autisti dei taxi,
i dipendenti della ferrovia, i lavoratori della CIGAR,
chi passava per caso, chi andava via, tornava,
se ne stava nella sala d’aspetto della seconda classe.

Non lo so io nato nel 1985.
Non lo sai tu.
Nono lo sanno i vigili del fuoco, i medici.
Non lo sa ancora nemmeno l’autobus 37 con Agide Melloni che per 16 ore prestò servizio come soccorritore.

La linea 30 oggi passa ancora dalla stazione dei treni di Bologna.
Fa ancora quel percorso.
In verità chiunque passi dalla stazione fa ancora quel percorso.

LA STRAGE DI BOLOGNA

“STORIA NERA. BOLOGNA LA VERITÀ DI FRANCESCA MAMBRO E VALERIO FIORAVANTI”.

ripubblichiamo un pezzo edito il 02/08/2011

 

Condannati come esecutori materiali della strage di Bologna, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro hanno sempre negato la responsabilità dell’accaduto pur confessando numerosi altri omicidi.

Un processo dagli indizi forzati, dove “per stabilire l’eventuale responsabilità degli imputati si è partiti dalla certezza a priori di quella colpevolezza” e in funzione di tale visione sono state lette e interpretate le cose.

È la “storia nera” di una strage, la “più grave nella storia della Repubblica”: Bologna 2 agosto 1980, ottantacinque morti, più di duecento feriti. E la ricostruzione di una lunga e intricata vicenda giudiziaria.

Ma è anche la storia di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, condannati come esecutori materiali della strage e all’epoca a capo dei Nar, i nuclei armati rivoluzionari, la principale organizzazione terroristica di estrema destra. I due ex terroristi hanno confessato numerosi altri omicidi, ma hanno sempre negato responsabilità nella strage.

A

raccontare fatti e letture, partendo dalle testimonianze dei due protagonisti e da una lunga analisi di testi e documenti è Andrea Colombo, giornalista (il manifesto e Liberazione) e portavoce di Rifondazione comunista al Senato.

D: In questo libro lei ricostruisce la vicenda dei Nar e dei due protagonisti di quel nucleo: come si colloca la loro storia personale e politica negli anni di piombo?

R: Direi che la vicenda dei Nar e in particolare di Mambro e Fioravanti si colloca in una fase, i tardi anni ’70, nella quale anche la cultura della destra estrema era influenzata da quella dell’estrema sinistra. I gruppi neofascisti si ritenevano rivoluzionari, antagonisti rispetto al sistema e cercavano, sia pure con mille ambiguità, contatti e addirittura alleanze con l’estrema sinistra. I Nar, cioè lo spontaneismo armato di estrema destra sono senza dubbio il gruppo che più di ogni altro, a destra, si colloca all’interno di questa cornice e quello che più drasticamente persegue una rottura con il neofascismo precedente, quello sospettato dagli stessi Nar di essere colluso con i servizi segreti, con le trame golpiste e con le stragi. Non a caso Fioravanti si definisce un “figlio del ‘77” e rifiuta, come anche la Mambro, la definizione di “fascista”.

D: Ma ci sono delle differenze sostanziali fra le esperienze eversive di destra, come quella dei Nar, e quelle della sinistra, in particolare delle Br?

R: Le Br erano un gruppo molto organizzato, strutturato e gerarchico. I Nar erano l’esatto opposto, quasi un gruppo di amici e basta, del tutto privi di organizzazione, strutture logistiche, vertici riconosciuti e precisa progettualità politica. Di fatto erano una banda di anarchici di destra più che una vera organizzazione terrorista. Inoltre i terroristi di destra sono sempre stati pochissimi, a fronte di un’area di sinistra ben più vasta. Dunque il fenomeno, per definizione, aveva tutt’altre caratteristiche, quelle appunto della banda, tenuta insieme da rapporti amicali oltre e per certi versi più che politici.

D: Dunque né rivoluzione, né un preciso piano politico: omicidi ed azioni di lotta mossi da altro. Una lotta interna alla destra, ma anche bisogno di visibilità e di affermazione. Lo stesso Fioravanti parla di paranoie, gesti causali. Lei che idea si è fatto? È sbagliato parlare di personaggi esaltati e nichilisti?

R: Da un lato la storia dei Nar si inquadra in quella di una generazione politica segnata dalla violenza e dallo scontro prima fisico poi armato, dall’altro non è comprensibile se non la si inquadra nelle tensioni latenti e nel clima di estrema sospettosità che regnava allora nell’estrema destra. Clima fortemente amplificato dalla dimensione angusta dell’ambiente. Detto questo direi che una componente di esaltazione in casi come questo è indiscutibile.

D: Perché in certi casi sembra più il racconto di una guerra di mafia, un regolamento di conti tra faide, che la storia di un movimento ‘politico’?

R: La conseguenza di questa clima di paranoia e diffidenza diffuse, amplificato dalle dimensioni molto ristrette dell’area terrorista di destra portava inevitabilmente una tensione latente molto forte. I mandati d’arresto per la strage di Bologna dell’estate 1980 ebbero come primo effetto il far deflagrare quelle tensioni latenti. La rivalità e la sospettosità reciproca tra i vari gruppi di destra, e in particolare quelle dei Nar nei confronti di Terza posizione, esplosero. I Nar decisero di “ripulire” il loro ambiente da figure che identificavano come ambigue e di fatto cercarono di sterminare l’intero vertice di Terza posizione. La strage di Bologna dunque con la faida assassina nella destra armata c’entra davvero. Ma non, come hanno ritenuto i giudici di Bologna, perché i Nar volessero “chiudere la bocca a qualcuno”, bensì perché i mandati di cattura che colpirono l’intero estremismo di destra romano furono il detonatore destinato a far esplodere una rivalità che esisteva da tempo, quella tra lo “spontaneismo armato” dei Nar e la gerarchia non priva di legami con il vecchio neofascismo dei primi anni ’70 di Terza posizione.

D: La strage di Bologna: il libro ricostruisce la varie fasi, le piste seguite e quelle mai aperte e avanza forti dubbi sulla condanna dei due terroristi. Lei come è arrivato a questa rilettura della lunga vicenda giudiziaria e da quale convinzione è partito?

R: Ho conosciuto Francesca Mambro nei primi anni ’90 e mi è sembrato subito impossibile che la disperazione che dimostrava per l’accusa di strage fosse frutto solo di recita e finzione.

Come giornalista del ‘manifesto’ ho iniziato a seguire la vicenda e mi ha colpito subito un secondo elemento: l’assoluzione degli imputati da parte della giuria popolare bolognese nel processo d’appello. La lettura delle carte ha poi reso evidente che a Bologna si era seguito un procedimento logico opposto a quello consueto: invece di partire dagli indizi per stabilire l’eventuale responsabilità degli imputati si è partiti dalla certezza a priori di quella colpevolezza per interpretare, quasi sempre forzando oltre misura ogni logica, i vari indizi.

D: Dalle testimonianze di Mambro e Fioravanti, salvo qualche breve osservazione, non sembra emergere comunque alcuna riflessione sulla vittime e sulla memoria. Che tipo di atteggiamento è stato il loro, hanno mai incontrato i famigliari delle persone uccise?

R: A questa domanda non saprei come rispondere. Riguarda una sfera troppo intima e privata per azzardare ipotesi. La domanda andrebbe fatta a loro.

D: Di recente il figlio di Massimo Sparti, testimone chiave al processo, ha rilasciato dichiarazioni che smentirebbero la testimonianza del padre e proverebbero l’infondatezza delle accuse a Mambro e Fioravanti. Lei che ne pensa di questa testimonianza e delle dichiarazioni politiche che l’hanno seguita.

R: Le dichiarazioni di Stefano Sparti sono solo un’ennesima conferma dell’assoluta non credibilità di quel testimone, smentito dalla moglie, dalla madre e dalla colf prima ancora che dal figlio, caduto in clamorose contraddizioni, scarcerato con diagnosi di tumore terminale e poi sopravvissuto vent’anni.

Non credo però che la resistenza, a mio parere incomprensibile, opposta a qualsiasi ipotesi di revisione del processo possa essere superata da una testimonianza come quella di Stefano Sparti..

D: Oggi come guardano i giovani alle esperienze eversive di quel periodo e ai loro protagonisti?

R: Direi che la conoscenza dei fatti di quell’epoca, tra i giovani non politicizzati, è quasi inesistente, come dimostrano puntualmente le inchieste choc in occasione dei vari anniversari delle stragi. Il discorso è diverso per quanto riguarda i giovani più politicizzati, sia di destra che di sinistra. Questi sono certamente molto meglio informati. Il rischio è che si crei una certa “mitologia” della lotta armata, sia nelle aree giovanili estreme di destra che di sinistra.

D: I media e la scuola possono fare prevenzione?

R: Il solo antidoto sarebbe un’informazione onesta, tale cioè da spiegare anche le motivazioni che spinsero parecchi a una scelta folle come la lotta armata e da sottolineare i risultati fallimentari di quella scelta da tutti i punti di vista, da quello politico non meno che da quello etico.

D: Nonostante celebrazioni, pubblicazioni, giorni dedicati, la memoria sembra rimanere contesa. Crede possibile una memoria condivisa di quegli anni? E che cosa possono fare la politica e la classe dirigente in tal senso?

R: Per raggiungere una memoria non dico condivisa ma almeno onesta e imparziale bisognerebbe smettere di usare il passato, e in particolare gli anni ’70, come argomento di facile propaganda per lo scontro politico nel presente. La funzione assegnata alla pena di recupero e non di vendetta per tutti i detenuti, politici e non solo politici, è sancita dalla Costituzione. Le levate di scudi contro gli ex terroristi che lavorano con esponenti politici o con parlamentari (e ce ne sono sia a destra che a sinistra) sono appunto uno dei frutti di un uso puramente propagandistico del passato.

Andrea Colombo
Storia nera. Bologna la verità di Francesca Mambro e Valerio Fioravanti
Cairo Editore, 2007 pp. 366, euro 17, 00

fonte http://www.railibro.rai.it/interviste.asp?id=323

 

Redazione Scomunicando.it

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