Tra gli ospiti, a fare gli onori di casa Mauro Aquino, il neo sindaco di Patti, anche l’assessore al turismo della regione siciliana Daniele Tranchida.
Lui e la band:
Goran Bregovic chitarra, sintetizzatore e voce
Bokan Stankovic prima tromba
Dalibor Lukic seconda tromba
Stojan Dimov sax e clarinetto
Aleksandar Rajkovic primo trombone e glockenspiel
Milos Mihajlovic secondo trombone
Muharem Redžepi goc, grancassa tradizionale e voce
Voci Bulgare:
Ludmila Radkova Trajkova e Daniela Radkova Aleksandrova
Intervista di Claudio Fabretti
“La mia musica? E’ una miscela, nasce dalla frontiera balcanica, una terra misteriosa dove si incrociano tre culture: ortodossa, cattolica e musulmana”. Parla un italiano disinvolto Goran Bregovic (1950, Sarajevo), che si presenta all’appuntamento senza formalità: costume e asciugamano dopo un bagno in piscina, occhiali da sole. Ha l’aria di un tipo tranquillo, sicuro di se’.
Già, gli amici: gli intellettuali e gli artisti di quella Bosnia colta e pacifica spazzata via dalle granate; i fedelissimi dei club dove Kusturica proiettava i suoi primi film e suonava il basso in un gruppo punk. Un repertorio simile a quello del giovane Goran, rockstar con una band sua già all’eta’ di sedici anni, nonche’ studente di filosofia. Sarajevo rock “Il rock era la sola possibilita’ di esprimere il nostro malcontento senza rischiare di finire in galera, o quasi…”.
Ma torniamo alla Sarajevo “underground” pre-bellica.
E’ qui che il primo Bregovic infiamma i giovani con gruppi rock come Bestie, Kodeks, Jutro e soprattutto White Button (Bijelo Dugme), la formazione che lo accompagnera’ per quindici.Poi, stanco del ruolo di idolo dei teen-ager, decide di cambiare rotta. Il tempo dei gitani, memorabile affresco del popolo rom in bilico tra realismo e sfrenata fantasia, segna l’inizio della collaborazione con Kusturica. Ma presto sulla Jugoslavia orfana di Tito cominceranno a soffiare venti di guerra.
Ma c’è una vena di nostalgia nella sua voce quando rievoca la Sarajevo di quei giorni, cosi’ lontana dalla città-fantasma del dopo-guerra. “Non ci abito piu’.
Non è “pratica”, manca spesso l’elettricità e non posso usare i miei computer, mancano le condizioni minime per lavorare. Ora vivo tra Parigi e Belgrado, ma sono quasi sempre in tournée”. Guerra e musica Di madre serba e padre croato, come tanti cittadini bosniaci, Bregovic è quasi un simbolo della Bosnia multietnica.
Eppure anche lui, oggi, è rassegnato: “E’ molto romantico pensare che noi artisti possiamo cambiare le cose. Purtroppo, però, la storia della Jugoslavia la fanno i soldati, non i musicisti. Il problema è la mancanza di cultura democratica. Durante il comunismo era imposta dall’alto, dopo non si è sviluppata.
E allora spazio alla musica: sonorità fragorose, selvagge, un po’ alticce, affidate agli ottoni, alternate ad altre solenni, toccanti, come il tema del “Tempo dei gitani”, Ederlezi, che dà anche il titolo al cd-antologia delle colonne sonore di Bregovic. E’ una mistura scoppiettante, che fonde Bartok e il jazz, tanghi e ritmi folk slavi, suggestioni turche e vocalità bulgara, polifonie sacre ortodosse e moderni battiti pop.
Si puo’ definire “world music”? Forse. Di sicuro, per questo gitano cosmopolita, il concetto di musica “etnico-nazionale”, forzatamente in voga oggi nei paesi dell’ex-Jugoslavia, suona ridicolo: E’ assurdo cercare differenze in una lingua, il serbo-croato, che è sempre stata una sola, o perfino nella musica. I nostri popoli sno sempre stati molto vicini per cultura e tradizioni. Ma oggi, da piu’ parti, si cerca di riscrivere la Storia”.
Da un lato l’austera Orchestra di Belgrado, in bianco e nero; dall’altro le Voci Bulgare, quattro vocalist straordinarie in variopinti costumi folkloristici; in mezzo Bregovic, abiti bianchi e chitarra elettrica in mano in braccio, e il massiccio direttore-percussionista, Ognjen Radivojevic; dietro di loro la “Wedding & Funerals Band”, fanfara di ottoni che aggiorna la tradzione dei complessi ottomani e rom. “Loro suonano davvero ai matrimoni e ai funerali.
E’ la tradizione ortodossa: dopo il rito funebre si mangia, si beve e per un po’ il dolore lascia spazio alla musica”.
Tutti insieme, giovani, anziani, bambini, irretiti dai ritmi di “Kalasnjikov” e “Mesecina”, i pezzi trainanti della colonna sonora di Underground.
“Propaganda serba” era stato bollato il film dai suoi detrattori. “Ci vogliono occhiali speciali per vederla – ribatte Bregovic – e poi non credo proprio che i serbi vorrebbero essere ritratti in quel modo. E’ solo una storia d’amore tra tre persone, durante un pezzo di storia del nostro paese”.
Ma in realta’ nel film – Palma d’oro a Cannes – c’era qualcosa di piu’: “Underground”, la cantina dove i protagonisti venivano tenuti all’oscuro delle vicende reali, era una metafora tragicomica del dramma jugoslavo, del regime e dei terribili segreti della guerra.
Ti passava la voglia di comporre. Solo da quando sono andato all’estero ho cominciato a lavorare sul serio”. Se in paesi come Francia e Grecia e’ da tempo una star, in Italia, e’ stato scoperto piu’ tardi. “A diciotto anni – ricorda – gia’ suonavo a Ischia e Capri, ma la gente era meno curiosa.
Oggi c’e’ piu’ interesse per queste sonorita’. Certo, quando ho saputo di aver venduto centomila copie in Francia mi sono chiesto: ‘Ma chi sono questi, perche’ comprano i miei dischi?'”. Oggi anche in Italia Bregovic e’ diventato una star. E sono sembrate persino eccessive alcune sue performance, come il duetto in tv con Adriano Celentano in “Ventiquattromila baci”, classico del “Molleggiato” e – incredibile a dirsi – canzone italiana piu’ popolare in Jugoslavia (vedere per credere “Ti ricordi di Dolly Bell” di Emir Kusturica).
Tales And Songs From Weddings And Funerals del 2002 riporta Bregovic alle sue caratteristiche sonorità. E’ un disco che, come scrive il critico Riccardo Bertoncelli, “salta in alto nei cieli della fantasia e del gioco ma sa sporcarsi anche le mani con le pene della vita; che diverte e commuove, che sogna e si strugge in un mutevole paesaggio sonoro di fanfare gitane e trattamenti elettronici, di fiati dolenti e bicchieri usati come percussioni, e una sveglia come metronomo”.
Non si stancherà mai di esplorare le frontiere della musica Goran Bregovic. Ma nel cuore gli restera’ sempre lo spirito libero e selvaggio della frontiera balcanica.
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