Una sala attenta, coinvolta, partecipe quella che ha seguito l’incontro, tra politico e letterario, che è servito a presenhtare il libro scritto da Mazza e Urso “Vent’anni e una notte”, ed edito da Castelvecchi.
Nel volume, gli autori ripercorrono la vicenda politica e umana della Destra italiana, rivelando i segreti, i retroscena, gli scontri, i successi e i litigi mai apparsi sulla stampa e che hanno compromesso il futuro politico di una classe dirigente e che durante il convegno nasitano hanno preso i nomi anche di Nania, dei “fratelli d’Italia”, di Rauti ripercorrendo anche storie di convegni, colpi bassi, e scorettezze politiche.
Gianfranco Fini, come mai se ne era parlato, come mai si sarebbe voluto vedere.. quedsto l’impietoso quadro apparso, senza veli di un uomo politico forse troppo valutato.
È un’analisi disincantata sulla storia degli ultimi vent’anni, con la parabola di Gianfranco Fini, l’uomo che ha portato An al governo ma che ha perso la battaglia finale contro Berlusconi.
An non c’è più ed è impensabile resuscitarla, sostengono gli autori, e la sala applaude, “è necessario un nuovo Centrodestra, che abbia forma e leader diversi da quelli del passato. Non servono reduci, ma innovatori”. conclude Urso.
Gli autori
MAURO MAZZA.
È giornalista professionista dal 1979. Ha lavorato al «Secolo d’Italia» e all’Adn – Kronos. Dal 1991 è in Rai. Direttore del Tg2 (2002-2009) e di Rai Uno (2009-2012), è alla guida di Rai Sport dal giugno 2013. Ha pubblicato diversi volumi di saggistica, fra cui I ragazzi di via Milano (Fergen, 2006). Con il romanzo L’Albero del Mondo (Fazi, 2012) ha ricevuto numerosi riconoscimenti tra cui il Premio Acqui Storia.
ADOLFO URSO.
È giornalista professionista, nato e vissutonella sua giovinezza ad Acireale, dal 1983. Ha lavorato al «Secolo d’Italia», al «Roma» e a «L’Italia settimanale». Coordinatore nazionale del Comitato promotore e poi portavoce di Alleanza nazionale, parlamentare per cinque legislature (1994-2013) e viceministro al Commercio estero (2001- 2006 e 2008-2010). Ha pubblicato diversi volumi di saggistica, tra cui L’età dell’intelligenza (Settimo Sigillo, 1984), Euroglobal (Marsilio 2003). È presidente della Fondazione Farefuturo e direttore della rivista «Charta minuta»
Introduzione
Vent’anni. Dalla candidatura di Gianfranco Fini a sindaco di Roma nel 1993 alla notte del 20 gennaio 2013 quando Berlusconi, in vista delle politiche, scriveva la parola «fine» sull’avventura di Alleanza nazionale, cancellando dalle liste gran parte di coloro che avevano fatto la storia della Destra italiana e poi contributo a creare il Popolo della libertà. è figlia di quella esclusione anche un’altra notte: quella tra il primo e il 2 ottobre 2013, quando si è consumato il virulento strappo nel gruppo dirigente del Pdl sulla fiducia al governo Letta; e sulla stessa ragion d’essere di una forza di Centrodestra.
Come spesso accade, l’idea di un libro scaturisce anche dalle vicende personali di chi lo scrive; vicende che, nel nostro caso, più o meno direttamente, sono anche figlie della complicata situazione generale. Uno di noi, il politico, s’era ritrovato tra gli esclusi dopo cinque legislature e importanti incarichi di governo. L’altro, il giornalista, era stato rimosso dalla direzione di Rai Uno ed era in attesa di un nuovo incarico che inspiegabilmente (o forse no) tardava ad arrivare.
Ciascuno, in queste pagine, ha riversato la propria esperienza: di attore, talvolta protagonista; o di osservatore, distinto ma mai distante. Ne è scaturita una storia in cui molti potranno specchiarsi, riconoscendo o dissociandosi dalle analisi, dalle valutazioni – meriti e responsabilità, tradimenti e omissioni – su taluni passaggi decisivi che il tempo si è incaricato di giudicare.
La storia comincia in realtà nei primi anni Novanta, quando il Movimento sociale italiano, il «polo escluso», si fa trovare con le carte in regola all’appuntamento con la nuova stagione politica imposta dalle inchieste giudiziarie e dai referendum elettorali. Un partito pulito, guidato da un leader giovane, eccellente comunicatore. Al suo fianco, una classe dirigente agguerrita, molto radicata nelle rispettive realtà territoriali. Un partito, il Msi, che si candidava a un ruolo da protagonista, con Gianfranco Fini a sfiorare l’elezione diretta a sindaco di Roma, mentre i vecchi partiti crollavano, sotto i colpi della magistratura e degli elettori. Poi, arrivò sulla scena Silvio Berlusconi. E cambiò tutto, in fretta. La Destra, appena intrapreso il cammino verso la sua rinascita sotto le insegne di Alleanza nazionale, in una manciata di mesi si ritrovò al governo. La «nostra» verità? Grazie a Berlusconi quella corsa ebbe un successo fulmineo, ma basi troppo fragili per essere all’altezza delle speranze di molti, della maggioranza degli italiani. Senza Berlusconi, la Destra politica non avrebbe vinto subito, ma si sarebbe affermata come vera e sola alternativa alla Sinistra. Avrebbe aggregato forze e conquistato consensi tra gli elettori moderati, cui avrebbe saputo offrire una convincente proposta culturale e programmatica.
La Seconda Repubblica non ha saputo darsi una sua autentica legittimazione, realizzando la grande riforma istituzionale che da oltre trent’anni il Paese aspetta. Senza un sistema presidenziale, efficace ed efficiente, anche la personalizzazione della politica scade nelle lotte intestine, dando vita a interminabili duelli in cui non vince mai nessuno e perdono tutti. È quanto accaduto nel Centrodestra, in cui i fondatori di nuovi partiti si sono ben presto trasformati in padri/padroni, eliminandosi tra loro in duelli fratricidi. Ma è anche quanto accaduto nel Centrosinistra con le primarie, il cui vincitore è stato puntualmente fatto fuori da chi era stato sconfitto. Non si può competere per una corona che non ha regno.
Il Centrodestra avrebbe dovuto realizzare la grande rivoluzione gollista e liberale, rifondando lo Stato e sprigionando il mercato. Poteva riuscirci nei primi anni Duemila, quando la tragedia dell’11 settembre impose nuove temibili sfide cui occorreva dare risposte ardue, coraggiose, radicali. Invece, si è arenato sulla riforma delle pensioni, più volte tentata ma mai pienamente realizzata. È stato sconfitto sull’articolo 18, il totem sindacale della Prima Repubblica. Mentre la Sinistra laburista di Blair e quella socialdemocratica di Schröder imponevano il cambiamento a Londra e a Berlino, la Sinistra italiana post-comunista si è costituita quale partito «conservatore», in difesa dell’esistente, a costo di mettere a repentaglio il futuro delle nuove generazioni.
Il Centrodestra avrebbe dovuto imporre il cambiamento. Era l’unica coalizione che avrebbe potuto farcela. Ha sprecato questa occasione e ora il Paese è avviluppato tra la morsa del debito pubblico e una decrescita angosciante per tutti. È un’Italia con poche speranze e un popolo che non trova ragioni per sorridere. Siamo piombati in fondo alla classifica della competitività internazionale, soffocati anche dalla piovra del fisco. Pieni di angoscia e di legittimi timori su un futuro più incerto del presente. Perfino il fallimento del governo dei tecnici e, più di recente, la rapidissima parabola del movimento di Beppe Grillo, non hanno lasciato il campo a un governo delle grandi intese, ma a una sorta di esecutivo di armistizio, nel quale non c’è alcuna rappresentanza delle culture politiche che diedero vita al Centrodestra italiano: nulla delle idee e degli uomini di Alleanza nazionale; nulla di quel filone liberale che aveva ispirato e partorito la prima Forza Italia. E nulla, ovviamente, del federalismo in qualche modo propugnato dalla Lega Nord.
Quello di Enrico Letta, anche nella sua seconda stagione dopo il voto di fiducia dell’ottobre 2013, si dimostra governo privo di capacità riformatrice, retto soprattutto sull’azione dissuasiva del Presidente della Repubblica Napolitano, che ha gestito direttamente i passaggi più delicati dell’esecutivo e che più volte ha agitato l’arma delle sue dimissioni per cercare di fermare i cosiddetti «falchi» dell’una e dell’altra parte.
Alleanza nazionale ha vinto la scommessa della storia, anche di quella che l’aveva preceduta. Oggi la Destra non è più tabù. Anzi, è molto più diffusa e sedimentata di quanto appaia. Linguaggio, valori, idee di Destra sono nella società, ne pervadono gli istinti e ne indicano i cammini. Ma Alleanza nazionale ha perso la sua ultima battaglia politica, proprio quando avrebbe dovuto prendere la guida del cambiamento per portarlo a termine, senza la duplice zavorra del conflitto di interesse e dell’egoismo territoriale. Avrebbe potuto farlo, se il suo leader non avesse sbagliato tutto – ma proprio tutto – nell’ultimo giro di pista, dopo una lunga maratona durata alcuni decenni. Ad attenderlo, pronta ad applaudirlo e a salutarlo vincitore, c’era una folla entusiasta, desiderosa di affidargli la guida del governo. Ecco perché la delusione è immensa. Se oggi l’Italia sembra priva di prospettive è anche per quegli errori a catena, veri e propri delitti (e suicidi) politici.
La Destra, per vent’anni incarnata da An, oggi non c’è più. In questo volume ne ripercorriamo il cammino, ne rivisitiamo idee e figure, ne riproponiamo documenti e foto. Chissà che questo volgersi indietro e fermarsi a riflettere non aiuti a guardare avanti senza indugiare in malinconiche e sterili nostalgie. Non serve una nuova An e forse nemmeno una nuova Forza Italia, anche se quest’ultima comunque può rivendicare un leader che raccoglie ancora indubbio consenso.
La storia non si ripete, se non nella tragedia o nella farsa. Serve un nuovo Centrodestra, che abbia forma e leader diversi da quelli del passato. E che sappia uscire dal dilemma tra Centro e Destra, senza trattino, perché la storia di questi vent’anni ci ha dimostrato che, comunque, l’Italia è bipolare e i tentativi diversi sono sempre apparsi illusori, siano essi ammantati dal tecnicismo o avvolti dal populismo.
In questo contesto, una nuova Destra è necessaria. Non servono ridotte né nuove/vecchie identità ideologiche, ma valori e programmi che sappiano indicare un percorso ai più e non solo ai «nostri», con nuovi strumenti e nuove classi dirigenti. Non servono reduci, ma innovatori.
Quarta di copertina
LA PRIMA IMMAGINE RISALE AL 1993: Silvio Berlusconi – prossimo alla discesa in politica – dichiara che se fosse stato a Roma avrebbe votato un giovane Gianfranco Fini come sindaco della Capitale. L’ultima scena è quella della notte del 20 gennaio 2013, quando Berlusconi in vista delle politiche scrive la parola «fine» sull’avventura di Alleanza nazionale, cancellando dalle liste gran parte di coloro che avevano fatto la storia della Destra. Prima ancora c’era stato il «Che fai, mi cacci?» urlato da Fini a Berlusconi in un’affollata e drammatica direzione del Pdl nell’aprile 2010.
1993-2013: in questi due decenni si consuma la parabola dei vincitori della svolta di Fiuggi. «Duellanti senza regno», come dimostrano il fallimento di Futuro e libertà e la diaspora della Destra italiana. Di chi sono le responsabilità? Quali gli errori di una generazione nata nella redazione del «Secolo d’Italia» e che ora, dopo aver assunto incarichi di governo e assaporato la gestione del potere, sembra essere tornata ai margini della politica? Attraverso un critico e dettagliato dialogo, Mauro Mazza e Adolfo Urso ripercorrono senza sterili nostalgie la vicenda politica e umana della Destra italiana, rivelando i segreti, i retroscena, gli scontri, i successi e i litigi mai apparsi sulla stampa, che hanno compromesso il futuro politico di una classe dirigente. È un’analisi disincantata sulla storia degli ultimi vent’anni, con la parabola di Gianfranco Fini, l’uomo che ha portato An al governo ma che ha perso la battaglia finale contro Berlusconi. An non c’è più ed è impensabile resuscitarla, sostengono gli autori: «È necessario un nuovo Centrodestra, che abbia forma e leader diversi da quelli del passato. Non servono reduci, ma innovatori».
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