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ALBERTO BIASI – “Kaleidoscope: dalle trame agli assemblaggi”

di Daniele Diena

GENOVA – Una mostra da non perdersi, quella dedicata ad Alberto Biasi, al Museo di Palazzo Reale, di Genova. Da non perdersi , questa “Kaleidoscope: dalle trame agli assemblaggi”, non solo per la bellezza e completezza espositiva, ma soprattutto perché è un’occasione unica per gustarsi l’opera dell’artista lungo l’intero arco del suo sorprendente e fertilissimo percorso creativo, qui rappresentato da 53 opere, datate dal ’59 ad oggi.
Desta una certa emozione, all’inizio del percorso curato dal critico Gianni Granzotto, ritrovarsi di fronte alle “Trame”, primi passi della ricerca optical-cinetica del maestro che fu tra i fondatori del mitico “Gruppo N”, il movimento di giovani artisti che nel ’59 rivoluzionarono l’interpretazione della forma, trasformandola in uno strumento speculativo utilizzato, e ripetutamente sperimentato, per cercarne le più nascoste potenzialità dinamiche. E’ proprio con queste prime sperimentazioni su piano, ancora molto essenziali nel loro rigoroso grafismo bicromatico, che inizia quel linguaggio nuovo con cui l’artista, scomponendo e ricomponendo la forma tramite la sovrapposizione di tessuti semitrasparenti o di lamierini forati, crea particolari effetti ottici che, per la prima volta nella storia dell’arte, puntano ad un coinvolgimento diretto del fruitore dell’opera nella sua stessa creazione. Quello che nelle “Trame” è un effetto poco più che suggerito e che muove principalmente le corde dell’intelletto, diventa assai più coinvolgente, anche per l’intenso  piacere estetico che suscita, nella successiva sezione espositiva dedicata  alle “Dinamiche”, tema degli anni Sessanta che si ritrova però lungo gran parte dell’opera dell’artista, tanto da essere quello che l’ha forse reso più noto e apprezzato nei maggiori musei del mondo. Qui Biasi, partito inizialmente con un “omaggio a Fontana”, va oltre il “taglio” del grande spazialista, tagliuzzando la tela colorata in tante strisce sottili che vengono poi torte e fissate sul piano, all’interno di grandi forme geometriche. Lo spazio e la forma risultano così riorganizzati secondo un nuovo disegno che viene percepito da chi guarda l’opera in forme diverse ed apparentemente dinamiche, secondo i movimenti e l’immaginazione del fruitore che diventa ora protagonista, mentre l’artista, che pure ha programmato il tutto – di qui il nome di “arte programmata” -, fa un passo indietro. Il risultato è un’interazione molto intensa tra l’opera e il pubblico, sempre molto affascinato, in ogni mostra di Biasi, da quelle forme cangianti che l’accompagnano, passo passo, mentre visita la mostra, ma che, essendo animate da un cinetismo virtuale, nulla hanno a che vedere – è bene precisarlo – col cinetismo di Calder e compagni di quell’altra corrente le cui opere erano invece dotate di moto reale. Ormai perfettamente padrone del meccanismo da lui inventato, Biasi sembra addirittura divertirsi con la serie dei “Quadrati che rotolano”, dove l’artista fornisce una prova di notevole virtuosismo, riuscendo a dare la vera sensazione del rotolamento della forma geometrica al di fuori del quadro.
Nel periodo successivo dei “Politipi”, anni ‘70-’90, Biasi riprende l’esperienza delle “torsioni”, con variazioni nuove che passano attraverso l’abbinamento ad interventi a pennello, limitati alle zone della tela “risparmiate” dal taglierino. C’è qui un inaspettato bisogno d’una sorta di decorativismo ed al contempo di coniugare quasi i moduli della ricerca visiva dell’arte programmata con quelli dell’astrattismo anche tramite richiami ad uno dei suoi maggiori maestri, Kandinskij. Si apre così una nuova fase dell’instancabile speculazione dell’artista – l’unico del vecchio Gruppo Enne tutt’oggi in attività – che dà i suoi migliori risultati nelle opere degli anni 2000, gli “Assemblaggi”, dove con un linguaggio del tutto rinnovato, ormai libero dai precedenti schemi geometrici ed arricchito da un vibrante pittoricismo in cui affiorano anche valenze plastiche, Biasi raggiunge note di alto lirismo.
Ed è proprio per il bisogno d’esplorare la terza dimensione anche attraverso la plasticità della materia che l’artista approda, negli   ultimi anni, alla scultura. Un approdo che sembra essere un punto d’arrivo, in quanto, come già negli assemblaggi,  pare ormai compiuta la lunga ricerca delle potenzialità evocative dei segni optical-cinetici, che ora in opere come “Sospeso tra due” e “Smetti di toccare” vengono invece usati come elementi di un linguaggio visivo più ampio ed articolato: le strutture lamellari, tanto care a Biasi, ora vibrano di sottili lampi di luce, come note musicali di uno spartito ben più ricco che le vede inserite dentro una ritrovata forma dai contorni quasi “tradizionali” e resi ben saldi dalla forte matericità del bronzo. Alla ricchezza del cromatico pattern visivo di queste sculture infine contribuiscono anche i grandi buchi che trapassano la materia, alla ricerca di nuovi rapporti spaziali, rivelatori di un bisogno mai sopito di mantenere, e ritrovare forse oggi più che mai, le proprie radici in quello spazialismo da cui l’artista prese le mosse all’inizio del suo lungo viaggio.  

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