un articolo del “Al Akhbar”, quotidiano libanese, noto per le sue analisi politiche e copertura di eventi in Medio Oriente.
Le bandiere sventolano nel cielo di Beirut, tinte di lutto e di lotta. Il vento che le solleva porta con sé il peso della storia e il dolore di un’assenza che è già memoria collettiva. Migliaia di uomini e donne, giunti da ogni angolo del mondo, si stringono nello Sports City Stadium per l’ultimo saluto a Sayyed Hassan Nasrallah, il comandante, il simbolo, il compagno. In questi giorni il mondo ha visto riunirsi coloro che Nasrallah chiamava “le persone libere”, gli stessi che hanno marciato per Gaza, che hanno sfidato le potenze imperialiste, che hanno trovato nella sua voce un’eco della loro stessa lotta. Il loro dolore non è solo per la perdita di un uomo, ma per l’assenza di un’idea incarnata, di una guida che aveva saputo unire la lotta nazionale e quella di classe, l’antimperialismo e l’internazionalismo. Ma il suo funerale non è un epilogo. È un atto di rinnovamento. “Restiamo fedeli alla promessa”, gridano le voci che attraversano lo stadio, rimbombando oltre i confini del Libano. Perché la causa per cui Nasrallah ha vissuto non è mai stata solo sua. E nel momento in cui lo salutano, i suoi compagni ribadiscono ciò che lui stesso ha sempre detto: “Non perdiamo”.
l’articolo
I popoli liberi del mondo salutano una leggenda: addio, compagno
Le bandiere rosse comuniste sventolano sullo Sports City Stadium, il sito del funerale di Sayyed Hassan Nasrallah. Coloro che le portano hanno viaggiato da tutto il mondo per partecipare al grande addio del loro “compagno”, dicendo addio a uno degli ultimi leader internazionalisti.
Due giorni fa, diversi organi di informazione hanno parlato di questo evento straordinario, con interviste ad alcuni di coloro che erano arrivati da Irlanda, Tunisia, Brasile, Stati Uniti e Africa. Quando è stato chiesto loro perché fossero venuti, uno di loro ha risposto: “Quando si studia la storia delle rivoluzioni e la lotta contro l’imperialismo, alcune figure inevitabilmente risaltano: Sayyed Hassan Nasrallah è una di queste”.
Un altro ha detto: “Pensava a liberare il mondo”. Un attivista irlandese lo ha descritto come “un vero uomo nobile”. Queste sono le persone libere del mondo, quelle che erano sempre presenti nei discorsi di Nasrallah, nella sua coscienza e nel suo discorso politico. Erano i suoi “compagni”, a cui una volta si è rivolto direttamente, invitandoli a scendere in piazza nelle loro capitali, a esercitare una pressione politica e popolare contro la guerra genocida israeliana a Gaza e a condannare “Israele”.
Ecco come una causa trascende la sua dimensione locale e ne assume una globale. Ed è esattamente ciò che è successo. Abbiamo visto proteste studentesche alla Columbia University; li abbiamo visti seduti nel parco, mentre issavano bandiere palestinesi accanto a striscioni di Hezbollah.
Per i leader straordinari, la politica rimane presente anche nel momento della loro scomparsa. Il loro impatto non muore. Il dolore raggiunge il suo apice. Le persone libere del mondo, gli anticolonialisti, coloro che disprezzano Israele, versano lacrime, ma nel mezzo di questo tragico momento, tutti abbracciano lo slogan del grande funerale, innalzato da Hezbollah: “Restiamo fedeli alla promessa”.
Quella promessa è la causa: la liberazione della Palestina, schierandosi dalla parte dei “miserabili della terra”, come diceva Frantz Fanon. Il dolore si trasforma in rivoluzione. La ferita, la tragedia, diventano un momento di rinnovamento.
In questo rinnovamento prendono forma le parole di Nasrallah: “Non perdiamo”: questa è la differenza tra uno spettacolo come semplice esibizione e una tragedia come momento intenso in cui le contraddizioni si scontrano, dando vita al sublime: dove la morte diventa rinascita.
Nel corso della sua vita, quest’uomo è riuscito a unificare ciò che così tanti movimenti di liberazione hanno lottato per conciliare. Ha unito con successo due dimensioni spesso considerate inconciliabili: la lotta nazionale e quella di classe. Sayyed Nasrallah non era solo un uomo sorprendente; era l’uomo dello stupore stesso.
Vediamo le persone libere del mondo che alzano i loro vessilli. Se la causa è globale, la loro presenza dimostra che questo è davvero il funerale di un leader mondiale, uno che un tempo era considerato “l’uomo più pericoloso sulla terra”, il cui assassinio ha richiesto 85 tonnellate di esplosivo e l’approvazione ufficiale degli Stati Uniti e delle Nazioni Unite.
Le bandiere rosse comuniste continuano a sventolare sullo Sports City Stadium. Lo spettro di Nasrallah aleggia, perseguitando i suoi assassini. Gli aerei da guerra che sorvolano Beirut sono una prova sufficiente. Le persone libere del mondo si sono trovate faccia a faccia con il rumore dell’aereo che ha assassinato il loro compagno, il loro leader.
(Al Akhbar)
una puntualizzazione sulle bandiere rosse:
per i riferimenti alle “bandiere rosse comuniste e alla lotta di classe”…riferimenti estranei alle profonde motivazioni che sono state alla base della lotta per la liberazione della Palestina.
Da Nasser al partito Baath fino a tutti i leader anti Israele e anti Usa mai vi è stata commistione con l’ideologia comunista (forse unico caso il partito comunista separatista curdo…ma anche lì…).
Se in taluni periodi storici vi furono rapporti con l’Urss, questi erano strumentali (un gioco di sponda con le logiche di Yalta) in chiave anti Usa e anti Israele…