Dopo anni di degrado e di contese, l’ex cittadella fieristica di Messina si è trasformata, come d’incanto, in un luogo che riconquista la propria dimensione “urbana”. E lo ha fatto, seppur tra mille difficoltà logistiche ed ambientali, nel migliore dei modi, ossia, attraverso un’ “esplosione” di cultura, elemento che da quelle parti latitava ormai da decenni. Certo, ci sarebbero tante critiche da fare e tanti nodi da sciogliere, primo fra tutti, fino a che punto l’Autorità Portuale debba ancora gestire quell’area “cittadina”, appunto, che di fatto appartiene ad una Messina che lo scorso 24 Giugno ha deciso, una volta per tutte, di voltar pagina. E lo ha deciso, anche in virtù dell’esperienza che ha “riconsegnato” alla città un bene dimenticato come il Teatro in Fiera, poi ribattezzato “Pinelli”, con i suoi significati, le motivazioni e gli strascichi che ancor oggi si porta dietro.
Ed ecco che in quello spazio, in cui tutto è doverosamente “ex”, qualcosa si è mosso. Pino Falzea, presidente dell’Ordine degli Architetti di Messina: “Questo è un luogo urbano negato alla città – ha detto anch’egli nel corso dei saluti iniziali – gli artisti sono per una città ‘aperta’ nella quali tutti hanno il loro spazio”. Ed opportunamente sa a chi essere “riconoscente”: “Ringraziamo i giovani del ‘Pinelli’, ragazzi liberi che hanno acceso i riflettori su questa area. I loro progetti ci hanno emozionato…”.
Antonio Presti, mecenate, artista, poeta, fondatore di Fiumara D’Arte, è stato l’ospite della serata. Il suo messaggio è esplicito: “Senza conoscenza non c’è futuro. Questo era il luogo della Fiera e del denaro che oggi è morto, imploso. Adesso deve essere restituito ad un pensiero ‘alto’ ed ‘altro’. In quest’area – prosegue Presti – sarebbe bello realizzare una città della scienza e della conoscenza in grado di ospitare gli artisti. Dobbiamo restituire valore alla nostra società. Risvegliamo le nostre coscienze. Speriamo che questa nuova amministrazione Accorinti sia un messaggio di luce per la città”.
Un breve saluto è arrivato anche da parte del Sovrintendente ai BB.CC.AA di Messina, Salvatore Scuto.
Dal punto di vista dell’arte figurativa destavano grande interesse i writers, che hanno disegnato una tela spettacolare, gigantesca, stesa lungo la facciata interna dell’ex teatro. Le opere di Saxo, Felix, Carlo da RC, Tofi, Kuma, Savasta ed Eddy, saranno adesso separate l’una dall’altra ed esposte, da parte dell’Autorità Portuale, nell’area degli approdi crocieristici, e dal Comune negli spazi urbani da recuperare.
Carmelo Pugliatti, sempre in linea con i suoi alti temi etici, affronta il significato della panchina come meglio non potrebbe: “Chi ci dorme è pericoloso e sospetto – motiva l’artista – e la panchina dà fastidio perché nessuno vi paga l’affitto. ‘Stare in panchina’ è poi sinonimo dell’essere tagliati fuori dall’azione e dal processo produttivo…”. Egli “vede” quella panchina come un letto e ci scrive sopra la famosa citazione di Niemöller sulla deportazione (“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari…”) da molti attribuita a Brecht.
Enzo Togo, giusto per citarne qualche altro, interpreta a sua volta la propria come “La panchina dell’amore”, mentre Stello Quartarone, creativo e “vulcanico” artista messinese, stavolta ha rappresentato delle geometrie su cui vi ha adagiato sopra un aquilone con una massima sull’esistenza: “Chi si abbassa sarà elevato – Essere rende liberi”.
Le altre panchine che completano il “giardino”, ciascuno con una propria simbologia figurativa a seconda delle ispirazioni degli artisti, sono state dipinte da Guglielmo Bambino, Simone Caliò, Rosamaria Crupi, Antonello Bonanno Conti, Filippo De Mariano, Gianfranco Donato, Pippo Galipò, Giuseppe Geraci, Antonio Giocondo, Giuseppe Greco, Alessandra Lanese, Pietro Mantilla, Claudio Militi, Alvaro Occhipinti, Giuseppe Pittaccio, Andrea Reitano, Gigi Sansone, Pietro Serboli, Demetrio Scopelliti e Aurelio Valentini.
Nella sezione “Obiettivo Stretto” sono state esposte fotografie dello Stretto di Messina realizzate da Carla Bonomo, Enrico Borrometi, Peppe D’Urso, Giangabriele Fiorentino, Tullio Foti, Mimmo Irrera, Antonella Mangano, Sandro Messina, Rocco Papandrea e Silvio Ruvolo.
Lungo il vialone, attaccate alle pareti delle vecchie strutture in disuso, sono state esposte tavole e didascalie di proposte progettuali di una certa rilevanza realizzate da molti architetti messinesi.
Seguitissima e di altissimo spessore, è stata l’esibizione dell’Orchestra del Teatro V.E. di Messina e del coro F. Cilea di Reggio C., che alla fine hanno regalato un gran finale con “L’Inno alla gioia” di Beethoven.
Il momento del Jazz è arrivato abbondantemente dopo la mezzanotte, con l’esibizione del Pathos Quartet, ed a seguire del Gospel and Jazz Family Choir di Rosalba Lazzarotto.
La notte fonda non ha limitato le energie, né tantomeno la verve ed il talento di Sandra De Dominici, bravissima vocalist, grande promessa del soul e del blues, che con lo Shabda Quartet, nonostante l’ora tarda, ha davvero entusiasmato la platea.
Corrado Speziale
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