A seguito dello scorporamento di funzioni da parte delle regioni agli Enti Locali, le competenze dei comuni sono aumentate. I quali hanno molteplici opportunitàdi sviluppo ma, talvolta, si alzano barriere di tipo culturale – economico, che non permettono al territorio di innescare circuiti di sviluppo. D’altra parte i processi di trasformazioni degli ultimi decenni hanno determinato profonde differenziazioni territoriali. Il 72% dei comuni italiani ha meno di 5000 abitanti e rappresenta una risorsa insediativa, che conosce da tempi remoti fenomeni di spopolamento, depauperamento e relativo invecchiamento della popolazione. Ciò implica per gli Enti preposti, difficoltàsia di tipo gestionale, che in termini di servizi e programmazione economica e sociale. Tali fenomeni si riscontrano altresì, in molte nazioni europee, i quali hanno giàavviato da tempo, politiche d’intervento per arginare i fenomeni di spopolamento dei piccoli centri. In Italia, il governo ha approvato delle leggi, con lo scopo di sostenerne le attivitàeconomiche, sociali, ambientali e culturali. Vi è, infatti una crescente consapevolezza che, per poter pianificare il territorio bisogna avere conoscenza di tutte le sue caratteristiche e dei rapporti esistenti tra i diversi sistemi territoriali. Nel Sud come in Sicilia, infatti, sono state sperimentate sia politiche esogene (incentivazioni finanziarie e interventi infrastrutturali) sia politiche endogene. Secondo molti esperti, queste ultime sono state di due tipi: una di tipo particolaristico e clientelare, che spesso si è accompagnata alla politica esogena; L’altra derivante da un cambiamento della politica pubblica, che ha sostituito al modello dello sviluppo dall’alto, a quello dello sviluppo locale dal basso, negoziato e concertato.
Lo Spopolamento – Per quanto riguarda la distribuzione della popolazione sul territorio, la crisi dei piccoli comuni inizia agli albori degli anni ‘50, con riferimento ai piccoli centri interni. Da quegli anni, tale crisi diventa la nota dominante della regione. Essa si riversa a valle, con l’utilizzo intensivo delle pianure e dei litorali: quei centri isolati adesso si toccano, ma si tratta di una contiguitàsolo edilizia, perché essi continuano ad essere sempre più piccoli e separati dal punto di vista economico e socio-culturale.
La Tradizione – L’intervento straordinario caratterizza la politica di sviluppo territoriale del Mezzogiorno nel dopoguerra. Si tratta di una politica settoriale, pensata da un ristretto gruppo di tecnocrati, gestita dalla famosa CASMEZ (Cassa per il Mezzogiorno), anche per la scarsa fiducia che si nutriva, nell’amministrazio
L’Innovazione – Dal punto di vista della programmazione dello sviluppo, agli inizi degli anni ’90 segna la fine definitiva della politica dell’intervento straordinario affidato ad istituzioni speciali, con lo scioglimento della irripetibile CASMEZ. Alla fine degli anni ’80, si assiste ad innovazioni istituzionali ispirate al “federalismo” che trasferiscono poteri dal centro agli enti periferici. Ai comuni è attribuita competenza amministrativa generale salvo che, per assicurarne un esercizio unitario, essa sia conferita a livelli istituzionali superiori, secondo un riparto dei poteri pubblici dal basso verso l’alto.Il comune, che è l’ente più vicino ai cittadini, diventa così “il primo mattone della Repubblicaâ€Â.
Alla base del nuovo modello delle politiche e degli strumenti di sviluppo locale vi è l’assunzione secondo cui una lunga pratica di interventi pubblici centrali, hanno provocato un deficit di organizzazione e dinamismo a livello territoriale.
Per quanto riguarda la politica nazionale, gli anni ‘90 sono gli anni dei “Patti†e dei “Contratti d’Areaâ€Â, che prevedono la “concertazione†degli interventi a livello territoriale;
Così accade che all’interno di un medesimo territorio, coesistono diverse istituzioni e diversi programmi per lo sviluppo; Al contempo, si forma un parteneriato diverso per ciascun programma. Non esiste, in altri termini, una continuitàistituzionale nella politica di sviluppo locale. A migliore intelligenza, gli enti pubblici locali (i comuni) sono presenti nei consorzi a caccia di visibilitàpolitica e di cospicui finanziamenti e particolare mon trascurabile, non assumono impegni specifici riguardo lo sviluppo dell’area.
I piccoli comuni tra tradizione e innovazione – Da una prima lettura, emerge una situazione molto composita, ma che comunque permette di formulare delle prime riflessioni sui possibili modelli di governance per i piccoli comuni. E’ evidente che con la riforma della Costituzione, ha preso forma un sistema a rete in cui le diverse istituzioni si integrano secondo i principi della partecipazione, della sussidiarietàe dell’efficienza. In questo nuovo quadro i comuni assumono il ruolo di veri protagonisti dello sviluppo dei propri territori. La programmazione negoziata ha offerto politiche di sviluppo e strumenti innovativi basati sui principi dello sviluppo dal basso, integrato e concertato. I piccoli comuni hanno partecipato all’attuazione di questi nuovi strumenti. La partecipazione ai tavoli della concertazione, ha accresciuto la loro consapevolezza di poter contribuire alla determinazione del proprio sviluppo. Spesso, però, questa consapevolezza non si è tradotta in comportamenti concreti. Al nuovo schema socio-istituzionale non si è accompagnato cioè uno sviluppo territoriale. Una governance adeguata al quadro istituzionale e di politica pubblica che abbiamo definito innovativo richiede per i piccoli comuni due condizioni necessarie:una forte capacitàdi coordinamento e di proposta progettuale rispetto ai diversi livelli sovra-comunali della programmazione; una reale partecipazione dei cittadini alle scelte collettive locali. Nel comunitàmontane, infatti l’ insediamento si è sviluppato soprattutto in collina mentre furono rifuggite le coste, insicure per le continue incursioni barbaresche. L’ascesa verso l’alto inoltre era diretta sempre làdove la presenza di più sicuri e forti presidi, sia fisici che morali (castelli, monasteri), situati sempre sulle sommitàdei rilievi collinari e sub-montani, offriva alle spaurite ed inermi popolazioni almeno una parvenza di maggiore sicurezza e protezione. Si è assistito ad un ingente spostamento della popolazione dal monte verso il mare, lungo le fasce costiere dell’intera penisola. Il generale spopolamento, non tocca di contro gli agglomerati costieri, soggetti a continui incrementi demografici. Lo spopolamento, senza ombra di dubbio crea emergenza sociale, ma anche tanti disagi per chi resta, per la chiusura delle scuole, per l’assenza di servizi essenziali per la qualitàdella vita. I pochi negozi chiudono per l’impossibilitàdi reggere il ritmo dei prezzi rispetto ai grandi centri e alla distribuzione. Lo spopolamento genera pigrizia, inerzia, paralisi, lenta morte. I cervelli, i pochi che rimangono, finiscono per arrugginire: sono nell’immobilitàdi eguali stagioni, in attesa di mutamenti chissàquali che, da sé non verranno a rifare il mondo. Come vivono i nostri anziani nei piccoli centri ? un dato su tutti, in molti comuni la componente di persone anziane superiori ai sessantenni supera il 40 % della popolazione residente mentre la percentuale di individui inferiore ai 16 anni non supera il 15 % degli abitanti residenti. L’Unitàe la concentrazione producono forza contrattuale; la campagna ed ancor di più la montagna sono per loro natura “struttura debole†alla mercè delle strutture urbane. La cittàè il simbolo di tutto ciò che è appetibile: il luogo del lavoro, il luogo di incontri, di scambi, di conoscenza, il luogo del sapere, il “paeseâ€Â, il mondo rurale invece è simbolo di isolamento, separatezza, dove la civiltàviene da fuori.
Un territorio organizzato, con l’identificazione e la distribuzione degli elementi portanti e concentrati di una città, in un’estensione fondata sui processi ambientali che la strutturano in un’ottica di rete ecologica e di una piena integrazione amministrativa fra i comuni dell’area. Nei modi di vita i due termini sono opposti: non lo sono nella quotidianitàcittadina, ove quella rappresentazione manipolabile che abbiamo chiamato “cultura†ha sostituito entro l’ immaginario collettivo, tramite tv e pubblicitàed anche tramite l’insegnamento scolastico, l’esperienza viva del territorio reale. Qualcosa di molto simile è avvenuto in tempi storici, precisamente nell’Alto Medioevo, con la memoria dell’Impero, la presenza di una specifica classe di “Colture in abbandono”, meglio conosciuta come “Crisi TARDOMEDIEVALEâ€Â.
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