Sorride rammentando l’epopea di Forrest Gump mentre racconta l’ultimo viaggio.
Lui è il “Barone”, all’anagrafe Pippo Ricciardo, un uomo che si infatua di grandi passioni, dal calcio alle scommesse, dalla pesca subacquea alle buona tavola.
L’ultima sua esperienza è la “camminata”.
E partiamo proprio da qui rammentando “Il modello rosso”, un dipinto nel 1937.
C’erano prima i piedi delle scarpe.
E forse era proprio questo che René Magritte voleva ricordare a chi avrebbe guardare il suo quadro, quel “Il modello rosso” prima richiamato.
Perché in tutto il suo percorso creativo, l’artista, nato a Lessines nel 1898 e morto a Bruxelles nel 1967, si sempre è divertito a seminare dubbi, a smontare certezze.
E sussurrare con fantasia che non si può vivere ingabbiati dentro schemi rigidi.
Indiscutibili.
Quei piedi che sbucano da un paio di scarpe, che le costringono quasi a dissolversi per poter ritrovare il ruvido abbraccio del terreno, ora sicuramente hanno ispirato anche Pippo Ricciardo, messo comunale di Brolo, che di strada ogni giorno ne fa per il suo lavoro e che ne vuol far dell’altra, per passione, per scommessa, per la voglia di fare, per far “tremare”come ama dire lui.
Così dall’amore degli abissi, lui pescatore in apnea, ora ama far altro.
Scalare, inerpicandosi su vecchie provinciali, su tortuose mulattiere, verso i paesini dei Nebrodi.
Non insegue alchimie antropologiche, nè arcane teorie religiose, il suo “viaggio” è avventura nella e per la voglia del farlo, senza linee estetiche o etiche, ne altri condizionamenti.
Esplorare il paesaggio nebroideo, fermarsi alle edicole sacre, o nei tornanti da dove si domina il paesaggio, fermarsi alla fontana, una volta abbeveratoio, o gustar le more che spuntano dai rovi.
Il tempo è importante, i km si devono fare entro i dieci minuti di una regolare tabella di marcia (in salita) molto meno quando si ridiscende, ma uno strappo è sempre possibile, magari per parlar con la gente che incontra, stupiti a vederlo salire, senza fiatone, ma con borraccia e telefonino al seguito.
Non ha la patente, mai avuta, mai presa neanche da militare, del resto era stato imbarcato come marconista sulla Vittorio Veneto e lì non serviva, ma nel suo camminare Pippo non vuole declinare nessuna accusa all’uso dissennato delle macchine per coprire percorsi brevissimi ne tramutare il suo fare in una battaglia ambientale o salutista.
Solo il piacere di camminare, per poi raccontare, al rientro, quello che già diventa racconto epico, quasi una sfida ai propri limiti che lo spinge da tranquillissimo impiegato a torturare se stesso tra fiato che “cresce” giorno dopo giorno e muscoli che tirano.
Un tranquillo Iron Man a un passo dalla pensione con l’obiettivo di toccare tutti i comuni, prima, dei Nebrodi poi del calatino, quindi dell’ennese e poi Palermo e Trapani per chiudere nel giro di un anno o poco più con i comuni collinari della Sicilia della val di Noto senza mai fermarsi.
Così da quest’estate per Pippo Ricciardo, accompagnato ora da Rosa Giuffrè, che ne ha accettato la sfida, diventandone compagna di viaggio, con “Il mondo a piedi”, ha deciso di esplorare la dimensione del passo lento che non è assolutamente lentezza.
Perché «camminare libera dagli obblighi dell’identità. Al di fuori del tessuto familiare della società, non è più necessario sostenere il peso del proprio volto, del proprio nome, della propria persona, della propria condizione sociale” come dice Le Breton un indiscusso camminatore che non vuole trasformarsi in uno dei tanti profeti di passaggio.
Ma che da anni va riflettendo sulla necessità di «rendersi indipendenti dai ritmi stressanti della contemporaneità. Che se, apparentemente, ci rendono vincenti, nella realtà ci fanno solo disperdere energie preziose».
C’è un solo modo, secondo il professore francese nato nel 1953, di superare i ritmi folli che la società ci impone: l’ansia, la depressione, il ricorso massiccio a medicinali per ritrovare un briciolo di serenità. Ed è quella di ribellarsi alla routine, di lasciarsi sorprendere da tutte le cose belle che ci circondano.
Insomma, bisogna ribellarsi e riscoprire la lentezza.
Il gusto delicato del guardarsi attorno, di ritornare a vedere il paesaggio.
«Per il buon camminatore -infatti concordano con lui Rosa e Pippo – non conta tanto la destinazione, quanto il cammino stesso».
Ci siamo illusi, scriveva Calvino in “Sotto il sole giaguaro”, che il solo modo di viaggiare possibile oggi sia quello di «inghiottire il paese visitato», come se tutto potesse «passare per le labbra e per l’esofago», dal momento che il visibile è già a portata di mano grazie «alla televisione senza muoverti dalla tua poltrona».
Abbiamo trasformato, insomma, la gioia di osservare, scoprire, emozionarsi, in un rito alimentare. Digestivo. Mentre – chi cammina – è convinto che il camminare, il «ricorrere al bosco, alla montagna, alle strade o ai sentieri» lontano dalla routine quotidiana sia «una fuga per riprendere fiato, aguzzare i sensi, rinnovare la propria curiosità e vivere momenti eccezionali».
Se ci si dà ai luoghi, questi riveleranno la loro anima.