Esprime “soddisfazione” per il rilascio anche la Federazione nazionale della Stampa italiana. Ma il silenzio è complice sui 141 giornalisti uccisi a Gaza
“Il giornalismo, ci teniamo a ribadirlo, non è mai un crimine”, ha affermato la segretaria generale Alessandra Costante. “Siamo in attesa – aggiunge – di poterla abbracciare e siamo felici perché, dopo 20 giorni, si è conclusa una vicenda che ha tenuto con il fiato sospeso l’Italia, ma soprattutto la famiglia di Cecilia“. L’ong Reporters Sans Frontières parla di “immenso sollievo“, e chiede la liberazione anche degli altri “25 giornalisti ancora detenuti nelle carceri iraniane“.
La reporter italiana andava salvata senza se e senza ma, però chi oggi grida il suo nome non ha fatto un plissè per i colleghi sterminati nella Striscia. I giornalisti non sono invisi solo nei Paesi retti da regimi marcatamente autoritari. I giornalisti, quelli davvero indipendenti, sono testimoni scomodi, da neutralizzare, anche in Paesi che la nostrana stampa mainstream continua a narrare come l’”unica democrazia in Medio Oriente”, cioè Israele.
Mai, come in questo conflitto, rimarca Daniele Mastrogiacomo per Professione Reporter, sono morti tanti giornalisti. Nemmeno durante i due conflitti mondiali. “Da quando è iniziata la guerra a Gaza”, conferma Carlos Martinez de la Serna, direttore del Programma Cpi, “i nostri colleghi hanno pagato il prezzo più alto, la vita, per i loro reportage. Senza protezione, equipaggiamento, presenza internazionale, comunicazioni, cibo e acqua, continuano a svolgere il loro lavoro cruciale per dire al mondo la verità”.
Mai, come accade a Gaza, è stato vietato l’ingresso alla stampa internazionale, che dal 7 ottobre 2023, giorno della strage di Hamas nei kibbutz del sud di Israele, ancora oggi è costretta ad affidarsi alle notizie fornite dai colleghi che si trovano all’interno della Striscia.
Un divieto imposto da Israele, su un territorio che non è il suo, sulla base di criteri di sicurezza che servono a tenere all’oscuro il mondo su quanto accade.
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