Cultura

BEPPE TOVARISH STORY – “I Mitateri”… la quarta puntata di Meminisse Iuvat

La definizione apparentemente significa “dividere a metà”: nella realtà dell’epoca era ben altra cosa!

Il rapporto si aveva tra un medio-piccolo proprietario di fondi agricoli e soggetti poveri o poverissimi che per sopravvivere assumevano l’impegno di coltivare, produrre, raccogliere e dividere nella proporzione di 2/3 (due terzi) al proprietario e di 1/3 (un terzo) per se stessi.

U mitateri aveva una famiglia numerosa, non meno di sei figli, spesso otto o meglio dieci e di fatto molte bocche da sfamare. Questo allo stesso tempo consentiva una notevole forza lavoro a bassissimo costo: il “crescere e moltiplicatevi” preso alla lettera era funzionale a questo “sistema”.

Nell’arco dell’anno il capo famiglia organizzava le varie fasi lavorative con la supervisione del proprietario o del suo campiere. La miseria era tanta… spesso a giugno andava “e marini”, ad agosto “e giarri”, nel tardo autunno “o Trappitu”, lasciando alla moglie e ai figli più grandi l’onere dei lavori di mitateri che nel bene e nel male garantivano un tetto sulla testa della famiglia e qualcosa da mangiare.

Si trattava di un lavoro pesantissimo, soprattutto nell’utilizzo della zappa: l’espressione “zappaterra” indicava quello che rappresentava uno degli ultimi gradini della piramide sociale dell’epoca. I luoghi più ambiti nella nostra zona erano costituiti dalle pianure irrigue costiere e di fondovalle. Il motivo è ovvio: si potevano produrre in molti mesi dell’anno generi diversi (patate, ortaggi, etc.).

Le zone irrigue erano ricoperte da piantagioni d’agrumi, limoneti ed aranceti, le coltivazioni arboree erano rigogliose e lasciavano poco spazio libero alle altre colture. Nonostante ciò in inverno i mitateri coltivavano patate fino a ricoprire del tutto ogni spazio e nei periodi successivi ortaggi di ogni genere.

I vantaggi per i proprietari terrieri erano molteplici: un reddito diretto pari a due terzi da ogni coltivazione, la ripetuta concimazione praticamente gratuita, la zappatura degli agrumeti nel tardo autunno-inverno, l’irrigazione nella tarda primavera e nell’estate, quale effetto secondario della coltivazione degli ortaggi.

Le disponibilità idriche per l’agricoltura hanno seguito, nel tempo, l’evoluzione della scienza e della tecnica: la gravità universale e il principio di vasi comunicanti (conoscenza pluri millenaria) ancora oggi le più sfruttate – si pensi ai bacini naturali e/o artificiali e relativi impianti idroelettrici e canalizzazioni a valle – hanno regolato per millenni i sistemi d’irrigazione.

Più recentemente si sono utilizzati altri metodi e sistemi tra cui: – energia da fonte animale (pozzi con NORIE) per piccole portate, impiegando asini, muli e mucche – pompe con motori alimentati da idrocarburi  – elettropompe più o meno moderne in tempi recenti.

E’ da non dimenticare, anche se le trasformazioni del territorio ne stanno cancellando le tracce, che i nostri antenati hanno realizzato “capolavori d’ingegneria idraulica” riferendosi ad antiche esperienze del passato.

Per non andare lontano, significativi esempi li abbiamo nella Fiumara di Naso e di S.Angelo  e nel Torrente Brolo: gallerie filtranti al di sotto dell’alveo delle fiumare opportunamente posizionate e canali di adduzione e distribuzione lunghi km con impercettibile pendenza e addirittura una galleria acquedotto per uso umano nel Torrente Brolo o Mincica in località Sirò a servizio del paese.

Ci si chiede… ma che c’entrano i mitateri con tutto questo?

C’entrano perchè per irrigare campi di considerevoli estensioni (Piana di Malpertuso, Piano di Gliaca, Contrada Lago), dato che l’acqua era in quantità comunque limitata, si prevedeva una rigida ripartizione della risorsa ad ore delle giornata e poiché le ore migliori per limitare l’evaporazione rapida sono quelle notturne, i figli dei mitateri dovevano lavorare di notte, alla luce della luna o di una fioca lanterna, mentre i figli dei proprietari si divertivano in sollazzi o dormivano.

Questi fatti vengono da tanti ricordati con fastidio perchè in molti ci si sente “realizzati” e quindi… faremmo bene a non dimenticare un illuminante detto popolare che recita:

Cu zappa bivi acqua

e cu futti bivi a butti”

Beppe Tovarish

 

da leggere:

http://scomunicando.hopto.org/notizie/meminisse-iuvat-quannu-i-pisci-si-chiantavanu-nte-giardini/

http://scomunicando.hopto.org/notizie/meminisse-iuvat-a-cascia/

http://scomunicando.hopto.org/notizie/meminisse-iuvat-un-nuova-rubrica-su-scomunicando-ed-anche-il-primo-articolo-e-marini/

Redazione Scomunicando.it

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