Partiamo dai fatti noti. Pochi giorni dopo il lancio si è diffusa la notizia, poi confermata, di un rientro incontrollato dello stadio verso il nostro pianeta. La preoccupazione è che alcuni frammenti sopravvivano all’impatto con l’atmosfera e arrivino sulla Terra – anche se l’esito più probabile è una caduta negli oceani, che coprono circa il 70% della superficie del nostro pianeta. Gli esperti stanno comunque monitorando costantemente la situazione a livello internazionale, in modo da prevedere il più precisamente possibile il momento in cui il Lunga Marcia, entrando negli strati più densi dell’atmosfera, comincerà a disintegrarsi.
Attualmente data di riferimento per la caduta è il 9 maggio, con un margine di incertezza di circa 18 ore. Perché una indeterminazione così grande?
«Il motivo è che, così come non si può disegnare la Terra con un tondo, non si può neppure disegnare l’atmosfera con un cerchio – spiega Ettore Perozzi, responsabile dell’Ufficio per la Sorveglianza Spaziale dell’Agenzia spaziale italiana. – le regioni superiori dell’atmosfera sono sede di vari fenomeni – ad esempio delle variazioni di ‘temperatura’ – che ne modificano l’estensione, rendendone i confini non facilmente definibili. Quindi un oggetto in caduta, come nel caso del secondo stadio del razzo cinese, si avvicina sempre più alla superficie terrestre fino a quando variazioni locali e anche molto rapide dell’atmosfera lo portano ad attraversare uno strato più denso. A quel punto avviene una brusca frenata e la susseguente la caduta. Predire questo fenomeno con settimane o anche solo con giorni di anticipo è molto difficile: quello che possiamo fare è stabilire una finestra temporale per il rientro, che diventerà sempre più piccola man mano che inseguiamo l’oggetto nella sua discesa».
Una discesa che viene spesso definita ‘caduta libera’: eppure l’espressione è impropria, dal momento che l’ingrediente determinante anche in questo caso è l’atmosfera. Che, in un certo senso, agisce da freno.
«Se fosse una vera caduta libera, cioè senza gli effetti frenanti dell’atmosfera – dice Perozzi – l’oggetto continuerebbe tranquillamente a orbitare. Quindi, paradossalmente è proprio perché non è ‘libero’ di girare attorno alla Terra che cade. Ma non tutto quello che mandiamo nello spazio è destinato a ritornare sulla Terra: a quote maggiori di 800-1000 km ormai l’atmosfera è talmente rarefatta da non rappresentare più un ostacolo. Non è questo il caso del Lunga Marcia e per quanto si è appena detto non è facile calcolare la sua traiettoria, soprattutto nelle fasi finali. Per questo è necessaria una rete di sensori, radar e telescopi che dalla superficie terrestre ne segua continuamente la traiettoria, così da poter predire in maniera progressivamente sempre più accurata quando e dove cadrà».
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https://www.asi.it/2021/05/lunga-marcia-dal-rientro-in-atmosfera-al-futuro-del-traffico-spaziale/