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CAPITALE MESSINA – Via della Seta: il Sud tagliato fuori dalle scelte inique del Governo

Continuiamo a lottare per ottenere pari opportunità di sviluppo. Documento di CapitaleMessina a firma di Pino Falzea e Gianfranco Salmeri.

Stiamo continuando a scontare le nefaste conseguenze della debolezza infrastrutturale del Sud Italia, frutto delle inique politiche di penalizzazione sul piano degli investimenti, messe in atto dai vari governi.
E torniamo ad intervenire perché è bene che su questo non si abbassi il livello di attenzione politica nei nostri territori.
Non lo stiamo scoprendo noi, infatti, che esiste uno storico squilibrio di attribuzione di risorse tra nord e mezzogiorno, tant’è che in un recente rapporto SVIMEZ si è calcolato che, al ritmo attuale degli investimenti in infrastrutture, al Sud serviranno “appena” quattrocento anni per riallinearsi con il Nord Italia. E questo dà la cifra del gap infrastrutturale (dove per infrastrutture non si intendono solo strade e porti, ma anche scuole, università, ospedali e altro) tra il Mezzogiorno e la parte più sviluppata del Paese.
Ed illuminante della sperequazione che i Governi applicano tra Sud e Nord è ciò che si legge nell’aggiornamento 2015 del Contratto di programma del Governo con Ferrovie: su una cifra complessiva di 73 miliardi e 600 milioni di investimenti, sono destinati al Sud solo 13 miliardi e 800 milioni, pari al 19% del totale dello stanziamento. Mentre il Mezzogiorno rappresenta il 40% del territorio nazionale, il 34% della popolazione ed il 24% delle tasse pagate in Italia.
Come è noto la Cina sta avviando un programma multimiliardario di investimenti per la cosiddetta “Via della Seta”, una rete di corridoi di comunicazione ferroviari e marittimi, per gli scambi commerciali Est-Ovest. Ovviamente i territori attraversati da queste vie avranno enormi ricadute in termini di benefici economici e di sviluppo.
Ebbene il Governo italiano ha offerto ai cinesi gli snodi portuali di Trieste-Venezia e Genova quali terminali marittimi per la via della seta, tagliando fuori tutto il Sud Italia.
Certo, se i porti siciliani, Augusta in primis, e la calabrese Gioia Tauro, fossero collegati al resto d’Europa grazie al collegamento ferroviario ad alta velocità/alta capacità Salerno-Reggio Calabria, la  struttura di attraversamento stabile dello Stretto, e l’alta velocità/alta capacità in Sicilia, diventerebbero i terminali naturali delle navi portacontainer, incluse le cinesi, provenienti da Oriente, perché i più vicini al punto di ingresso nel Mediterraneo, cioè il canale di Suez.
Con la naturale conseguenza che il sistema portuale dell’Italia settentrionale rischierebbe seriamente di perdere la sfida con i porti del Sud.
Forse è questo il motivo principale per cui nel DEF del Governo Gentiloni, si sceglie di non investire, o investire chissà quando, nelle infrastrutture che renderebbero competitivi i porti meridionali. Tutto ciò a confermare l’iniqua visione del Piano Strategico della Portualità e della Logistica del 2015, che delinea una chiara differenziazione tra i porti del Nord con funzione di gateway, quindi distributori di ricchezza nel territorio e quelli del Sud a vocazione transhipment, scollegati dal territorio circostante e destinati al declino.
A conclusione di quanto detto ribadiamo la necessità, ed abbiamo iniziato a farlo con il “Manifesto del 29 Aprile”, di aprire un serio contenzioso politico col Governo, per pretendere un riequilibrio della distribuzione delle risorse tra Nord e Sud.
Abbiamo il diritto ed il dovere di chiedere pari opportunità di mobilità e di sviluppo, il che vuol dire avere strade, ferrovie, porti, aeroporti, così come in Lombardia e nel Veneto, né più, né meno.
È indispensabile continuare a dirlo, senza esitazioni: lo dobbiamo a noi stessi, e soprattutto lo dobbiamo ai nostri figli.

Redazione Scomunicando.it

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