Ho impiegato due mesi per leggere uno dei più bei libri che mi sia mai capitato tra le mani. Una fatica enorme, sul serio. Ogni pagina è ricca di cinismo, le parole si rincorrono tra annichilimento e comicità come mai nessun altro autore ha osato fare. Blasfemo, provocante, immorale, sporco, depravato. Ma anche commovente e dolce, fino ad arrivare a renderti immensamente triste.
Céline mischia tutto questo con una bravura assurda. Un tizio che era un medico e che poi è stato esiliato per antisemitismo.
Un nazista, anche.
Ma con la penna è Dio.
Sembra essere passato sulla terra per raccontare a noi poveri idioti la verità sulla vita. Tutto il resto della letteratura a confronto è zero. Un romanzo che fa scandalo per quello che dice, per quello che rivela. Come vanno realmente le cose tra gli uomini. L’ipocrisia messa a nudo nella sua totalità.
Céline è passato prima per gli orrori della Grande Guerra e le trincee delle Fiandre, poi è finito nelle colonie africane. È stato a New York e ha conosciuto la bella America delle donne e della gente ricca così come la brutta America delle catene di montaggio a Detroit. Infine è tornato in Europa, a Parigi, in tempo di crisi, a guadagnarsi da vivere a buttare la sua esistenza nella periferia della capitale francese, tra gente moralmente abietta e priva di ogni bene materiale. Céline però non fa sconti neanche con se stesso.
È l’errare umano sia nell’animo che nel corpo. Ci si deteriora, ci si ammala. Non c’è niente da fare. Rimane solo la scelta della morte. Perché il mondo è orribile, e la felicità se ne va via in fretta. Anche Bardamu l’ha conosciuta, la felicità. In America, con Molly. E Céline a proposito ci lascia un passo che è forse uno dei più bei passi d’amore mai scritti: “Buona, ammirevole Molly, vorrei se può ancora leggermi, da un posto che non conosco, che lei sapesse che non sono cambiato per lei, che l’amo ancora e sempre, a modo mio, che lei può venire qui quando vuole a dividere il mio pane e il mio destino furtivo. Se lei non è più bella, ebbene tanto peggio! Ci arrangeremo! Ho conservato tanto della sua bellezza in me, così viva, così calda che ne ho ancora per tutti e due e per me almeno vent’anni ancora, il tempo di arrivare alla fine. Per lasciarla mi ci è voluta proprio della follia, della specie più brutta e fredda. Comunque, ho difeso la mia anima fino ad oggi e se la morte, domani, venisse a prendermi, non sarei, ne sono certo, mai tanto freddo, cialtrone, volgare come gli altri, per quel tanto di gentilezza e di sogno che Molly mi ha regalato nel corso di qualche mese d’America”. Un pezzo del genere non andrebbe neanche commentato. Non è facile intuirne l’importanza, non è immediato. La levatura culturale è evidente solo dopo averlo riletto tre, cinque, dieci volte. Sta tutta qui, l’immensità di Céline. Le parole che ne fanno uno dei massimi scrittori mai esistiti. Nella profondità dell’accostamento di queste parole.
A tratti delirante, la narrazione distende su innumerevoli argomenti, fino a toccare praticamente tutti i sentimenti umani. È sorprendente la forza evocativa del raccontare, perché di mostrato c’è ben poco. Ogni ambiente sembra evanescente, un miraggio, qualcosa di poco solido e mal costruito, ma in realtà è lo stile di Céline che arriva al limite del vero, del conosciuto. Quando Bardamu è in Africa, c’è la descrizione di un tramonto che è da brividi. Te lo immagini poco, quel tramonto. Ma la descrizione rimane da brividi.
“Sono tornato a trovare Molly e le ho raccontato tutto. Per nascondermi la pena che le facevo, s’è data un gran daffare, ma comunque non era difficile vedere che ce l’aveva. L’abbracciavo più spesso adesso ma era un dispiacere profondo il suo, più vero che da noi, perché noialtri abbiamo piuttosto l’abitudine di dirlo più grosso di quel che è. Con gli americani è il contrario. Non osano capire, ammetterlo. È un po’ umiliante, ma comunque, è proprio pena, non è orgoglio, non è nemmeno gelosia, né scene, è nient’altro che la vera pena del cuore e bisogna ben dirsi che tutto questo ci manca dentro e quanto al piacere di provare della pena siamo a secco. Ci vergogniamo di non essere ricchi di cuore e di tutto e anche d’aver comunque giudicato l’umanità più bassa di quel che in fondo è davvero”. Oltre questo cinismo chiunque può notare una vena di speranza, una dolcezza d’animo poco comune. Più nichilista diventa Bardamu (così come Céline), più i pochi passi dove traspare la gentilezza sono delicati e unici. Fanno tenerezza. Ci ridanno quel poco di gioia che ci è rimasta da una lettura così moralmente negativa. È il semplice ritratto dell’uomo. Del resto, come dice lo stesso Céline: “La tristezza del mondo assale gli esseri come può, ma ad assalirli sembra che ci riesca quasi sempre”. Non siamo forse noi una prova vivente di questa cosa?
“L’egoismo degli esseri che si sono mescolati alla nostra vita, quando si pensa a loro, da vecchi, si dimostra innegabile, cioè come se fosse d’acciaio, di platino, e persino più durevole del tempo stesso”. Alla fin fine si potrebbe dire che Céline dice le stesse cose per tutto il romanzo, ma con parole diverse. C’è da dire che non mi aspettavo il finale tragico che c’è stato. Avrei voluto forse una consapevolezza positiva del protagonista, ma non sono stato accontentato. Tutta la narrazione è costellata di eventi più o meno drammatici, come l’episodio di Bébert, che personalmente è quello che più mi ha toccato. C’è stata quasi la lacrimuccia. Incredibile, dato il cinismo con cui Céline descriveva il tutto. Eppure io trovavo un dispiacere e una sincera commozione in mezzo ai lunghissimi periodi negativi. Forse sono troppo buono. “Si è mai visto qualcuno scendere all’inferno per sostituire un altro? Mai. Si vede che ce lo butta giù. È tutto”. Non ci leggete anche voi, in queste parole, un’insana voglia da parte di Bardamu di interpretare colui che scenderebbe all’inferno per sostituire qualcuno? Lui lo farebbe, ma agisce da essere umano. La usa un po’ come scusa, questa argomentazione. “Era solo dentro di me che quello capitava, per farmi sempre la stessa domanda. Ho finito per addormentarmi sulla domanda, nella mia notte privata, quella bara, tanto ero stanco di camminare e di non trovare niente”. Céline riesce a dirci, con pochissime parole, quanto ci sia dentro ogni uomo, quanti interrogativi ci poniamo nella vita, dimenticandoceli magari appena ci addormentiamo alla sera. È di una tristezza infinita. Che poi, è proprio così che facciamo nella vita vera. Può ognuno di noi affermare con tristezza che si offrirebbe di morire in cambio di qualcun altro? Un bambino magari. Uno sconosciuto. Invece, in tanti casi, non salveremmo neanche chi amiamo e ci ama. Alcuni lo farebbero. Altri no. Non possiamo saperlo se non nelle condizioni specifiche. “Tanto vale non farsi illusioni, la gente non ha niente da dirsi, ognuno parla soltanto delle proprie pene personali, si capisce”.
Molti si staranno chiedendo dove voglia andare a parare. Oppure si stanno chiedendo se non intenda fare altro che un elenco dei temi trattati da Céline riportando i dovuti esempi. Voglio solo dirvi che questo romanzo è un’opera di una portata abnorme, che leggerlo potrà solo arricchirvi ma al tempo stesso anche demolire le vostre convinzioni. È un inferno leggerlo. Proprio un viaggio, come dice il titolo. La notte è l’oscurità che ci avvolge. La miseria umana. E il libro è appunto un viaggio ai confini di questa miseria.“Scoppieremmo se avessimo un po’ di coraggio, ci limitiamo a decadere da un giorno all’altro. La nostra tortura prediletta è rinchiusa lì, atomica, nella nostra stessa pelle, col nostro orgoglio”. Un tale accostamento di termini varebbe non uno, ma dieci premi nobel. Tanti stupidi scribacchini si sono aggiudicati quel premio, ma Céline no, Céline era antisemita e quindi niente Nobel. Ma eccolo qui, tra gli immortali, a mettere crudelmente a nudo la nostra schifezza interiore e morale, a dirci che l’uomo è una contraddizione con le gambe.
Marco Tamborrino
A fine Ottocento, Courbevoie è un villaggio a nord della Francia, un “ambiente piccolo borghese fatto di commercianti, modiste e bottegai”. È lì che, il 27 maggio 1894, nasce il primo e unico figlio di Fernand e Marguerite Destouche. Si chiama Louis-Ferdinand e, col nome di Céline, è destinato a diventare uno dei più grandi e controversi scrittori del secolo scorso. Céline è considerato uno dei più influenti scrittori del XX secolo, celebrato per aver dato vita a un nuovo stile letterario che modernizzò la letteratura francese ed europea. La sua opera più famosa, Viaggio al termine della notte, è un’esplorazione cupa e nichilista della natura umana e delle sue miserie quotidiane, dove la misantropia dello scrittore è costantemente ravvivata da un acuto cinismo. Lo stile del romanzo – con il continuo mischiarsi di linguaggio popolare ed erudito e il frequente uso di iperboli ed ellissi – impose Céline come un innovatore nel panorama letterario francese. Per le sue prese di posizione e affermazioni durante la Seconda Guerra Mondiale, esposte in alcuni pamphlet accusati di antisemitismo, Céline rimane oggi una figura controversa e discussa.
fonte http://unbuonlibrounottimoamico.wordpress.com/
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