Lo sport piange la scomparsa di Cesare Rubini, capitano del Settebello oro a Londra e mito dell’Olimpia Milano
– di Saverio Albanese –
Torino, 8 febbraio 2011– Lo sport italiano e mondiale piange la dipartita di una delle sue leggendarie figure: Cesare Rubini, negli ultimi anni malato di Alzheimer, deceduto questa notte a Milano dopo essere stato ricoverato per le complicazioni di una broncopolmonite, all’età di 87 anni. Atleta poliedrico, tecnico vincente, dirigente elegante e moderno Cesare Rubini, un uomo dai tanti volti, per tutti semplicemente il “Principe”, per il suo “aplomb” inglese, sempre molto elegante, educato e mai sopra le righe, ma fermo nelle sue disposizioni.
Cesare Rubini era nato il 2 novembre del 1923 a Trieste e la sua leggenda ha sfidato il tempo rinnovandosi sempre, fino all’ultima consacrazione: primo italiano a figurare nel 1994 nella mitica Naismith Basketball Hall of Fame di Springfield, Massachussetts e nel 2000 è entrato a far parte della International Swimming Hall of Fame. E’ stato l’unico campione al mondo a farne parte in due diverse discipline, la pallacanestro e la pallanuoto, altro suo grande amore.
Al basket, però, ha dedicato tutta la sua vita, una passione sconfinata quella per la pallacanestro come allora era da tutti conosciuta, anche se la sua prima Olimpiade, nel ’48 a Londra, la vinse in acqua con il primo Settebello di pallanuoto. Fu uno dei figli prediletti della Trieste sportiva accanto a personaggi illustri come Nino Benvenuti nel pugilato oppure Nereo Rocco o Cesare Maldini nel calcio. “Sono venuto dai ‘grembanì del Carso”, era solito dire. Partendo da Trieste ha attraversato tutto il dopoguerra dello sport italiano, sempre da protagonista. Di famiglia dalmata, suo padre Rubcic era ufficiale di macchina, un irredentista che scelse l’Italia come suo Paese, per questo motivo il suo cognome cambiò in Rubini. Il comunismo nel quale il giovane Cesare crebbe (“ma comunista di mondo, di religione, non di partito”) si spense quando a Trieste arrivarono i partigiani di Tito. Nel capoluogo giuliano aveva la casa a metà strada fra mare e palestra: così nacquero i suoi due grandi amori, la pallanuoto e la pallacanestro. Come pallanuotista giocò a Trieste, Milano, Napoli, Camogli, vincendo sei scudetti; come cestista a Trieste e Milano. In acqua vinse l’europeo di Montecarlo del ’47, oro olimpico a Londra nel ’48, nel ’52 il bronzo a Helsinki. È stato 56 volte azzurro, con sei titoli tricolore, nella duplice veste di allenatore-giocatore. Nel basket ha vinto 15 titoli (i primi cinque come allenatore-giocatore) tra il 1950 e il ’72, ed è stato azzurro per 39 volte, conquistando tra l’altro l’argento agli Europei di Ginevra del 1946. A Milano conquistò, da allenatore, anche la prima Coppa Campioni (nel ’66) della storia del basket italiano, con Bill Bradley in squadra come straniero, oltre a due Coppe delle Coppe e ad una Coppa Italia.
Era considerato il primo professionista della storia di questo sport. Personaggio burbero ma schietto, da molti era considerato un “duro” per il suo amore di dire le cose sempre in faccia, e per questo si fece anche molti nemici. Rimaneva comunque il prototipo dello sportivo vero. A lui si deve la leggenda delle mitiche “scarpette rossè” di Milano. Insieme con Adolfo Bogoncelli costruì all’ombra della Madonnina la grande Olimpia, dapprima con il marchio Borletti, poi con quello leggendario di Simmenthal ingaggiando per anni un duello con Varese (allora Ignis) che rimane una delle pagine più gloriose della storia del basket italiano. Da dirigente ha vissuto in prima linea i primi grandi allori: l’argento olimpico di Mosca e il titolo europeo di Nantes, quando alla guida della Nazionale c’era un suo vecchio allievo, Sandro Gamba. Poi vennero i bronzi agli Europei di Stoccarda e Roma. Lasciò dopo la mancata qualificazione olimpica per i Giochi di Barcellona 1992. Nella pallanuoto, oltre all’oro alle Olimpiadi del ’48 e al bronzo a quelle del ’52, conquistò l’oro agli Europei di Montecarlo del 1947 e il bronzo a quelli di Torino del 1954. In Nazionale 42 presenze da capitano, nel 2001 è entrato a far parte della Hall of Fame. Dirigente federale per il basket dal ’76 come responsabile della squadra nazionale allenata da Gamba, ha conquistato l’argento alle Olimpiadi di Mosca 1980 oltre a un oro (’83), un argento (’91) ed un bronzo (’85) agli Europei. Tra le cariche dirigenziali è stato presidente onorario del Comitato nazionale allenatori e dell’Associazione mondiale allenatori. Cesare Rubini, un campione vero, uno sportivo raro: un uomo di altri tempi che resterà sempre il mito dello sport azzurro.
La notizia della scomparsa di Cesare Rubini ha toccato il mondo del basket italiano.
Dino Meneghin, attuale presidente della Federbasket, uno dei miti della nostra pallacanestro, ha ricordato, con grande commozione, la figura leggendaria di Cesare Rubini: “E’ uno dei grandi della storia del nostro basket, che ha portato un po’ di America nella nostra pallacanestro, modernizzando il modo di giocare. Solo così puoi spiegarti la sua forza e come sia riuscito a far parte di due Hall of Fame, quella del basket e quello della pallanuoto. E’ stato un innovatore, insieme ad Adolfo Bogoncelli, il presidente all’epoca dell’Olimpia Milano. Ha inventato la pallacanestro moderna, la sua spettacolarizzazione, la creazione della notizia per portare il basket fuori dal basket. Ricordo la sua signorilità, il suo modo di stare in panchina, aveva un carattere forte, decisamente incuteva rispetto, anche solo con la sua presenza e senza proferire parola, ma al contempo era capace di grandi gesti con i suoi giocatori“.
Sandro Gamba, ex giocatore ed allenatore dell’Olimpia Milano, è stato allenato dal “Principe” per 25 anni, poi è diventato suo assistente dopo il ritiro, ha dichiarato: “Lo sport italiano perde un grande alfiere. Rubini è stato il mio mentore: mi ha visto giocare su un campo polverosissimo del 1947 ed ha influenzato da subito la mia carriera”. E’ stato proprio Rubini a far scegliere a Gamba la strada di allenatore: “Quando ho deciso di smettere di giocare, mi ha chiamato il giorno dopo per sapere se volessi fare il suo assistente: è stato lui a darmi la più grande opportunità della mia vita e a vedere in me un potenziale allenatore”. Del “Principe” ricorda in particolare il grande carisma: “Caratterialmente era un burbero, non un chiacchierone, ma stava benissimo con i suoi giocatori. Non parlava tanto, ma la sua presenza era sufficiente per fornire grandi motivazioni a tutti noi”.
Dan Peterson, tornato dopo 23 anni sulla panchina dell’Olmipia Milano, ha così commentato la triste notizia della scomparsa di Cesare Rubini: “E’ una giornata triste per tutta l’Olimpia. Perdiamo un gigante, un grande uomo di sport e soprattutto una leggenda della nostra squadra e della nostra società. La notizia della sua scomparsa mi ha profondamente toccato e sono molto triste.Inutile raccontarvi cosa significhi Rubini per lo sport italiano: unico ad essere inserito in due Hall of Fame di due sport diversi. Un grande uomo di sport, che ha dato tantissimo all’Olimpia e che l’Olimpia porterà sempre nel cuore”.
La carrellata di ricordi si conclude con il presidente della Hall of Fame del basket, John L. Doleva, che rende omaggio a Cesare Rubini: “Cesare era uno straordinario atleta e allenatore. Il suo impatto sul basket in particolare e sullo sport in generale non potrà mai essere sottovalutato”.