Mostra del Cinema di Venezia 2019. Un riconoscimento meritatissimo per un grande artista che ha ricevuto una marea di premi in tutto il mondo, compresi gli oscar al miglior film straniero “Tutto su mia madre” e alla sceneggiatura di “Parla con lei” e le innumerevoli candidature.
E forse sono questi film i punti più alti della sua produzione cinematografica, insieme a “Volver”, premiato a Cannes, dove il regista è amatissimo e dove presenta quasi sempre in anteprima i suoi lavori, come l’ultimo “Dolore y Gloria” (prossimamente la recensione), che ha fatto conquistare la palma d’oro come miglior attore a Banderas, che di premi non ne aveva vinti molti.
Banderas nasce e cresce nei film di Almodovar, come Penelope Cruz. Film dei tardi anni ottanta che esplodono di anticonformismo e critiche politiche per la libertà ottenuta dalla caduta di Franco, che aveva tranciato di netto l’espressione artistica. I primi film sono girati con delle telecamere super8, anche male e in maniera approssimativa. Ma già dal primo”Pepi Boom e le altre del gruppo” mostra una poetica acerba si, ma dirompente. La prima immagine che vede una giovanissima Carmen Maura orinare su una pianta di marijuana la dice lunga. Seguono” Labirinto di passioni” (Laberinto de pasiones) (1982) dove debutta Antonio Banderas, l’esilarante “L’indiscreto fascino del peccato” ambientatoin un monastero con delle suore allucinanti, (Entre tinieblas) (1983) “Che ho fatto io per meritare questo? “(¿Qué he hecho yo para merecer esto?) (1984), lo struggente “Matador”(1986) La legge del desiderio (La ley del deseo) (1987).
Questi titoli cominciano a mostrare le tematiche Almodovariane (dichiaratamente omosessuale e ateo), ma sono più un’analisi delle periferie, del disagio sociale, delle ingiustizie, raccontate a volte con grande ironia a volte in maniera più profonda, anche se i due registri tendono spesso a mischiarsi.
Ma è con “Donne sull’orlo di una crisi di nervi” che Almodóvar ottiene la consacrazione a livello internazionale, coronata da una nomination agli Oscar e da una lista interminabile di premi e riconoscimenti in tutto il mondo.
Devo dire che alla prima visione il film mi ha lasciato del tutto indifferente, ed è con questa pellicola che ho conosciuto il regista. Poi per caso mi sono passate per le mani le “videocassette” degli altri suoi film, ed è stato grande amore. Tutto era collegato come in un’unica storia, gli attori, l’ossessione per i colori e i dettagli strettissimi, il politicamente scorretto, la sfacciataggine, l’esagerazione e le sempre più improbabili sceneggiature.
Adesso Almodovar, insieme a Lynch e Woody Allen sono i miei registi stranieri viventi preferiti.
Seguono “Legami”, “Kika”, “Tacchi a spillo” con una bellissima interpretazione di Miguel Bosè, il tragico “Il fiore del mio segreto” che segna la rottura con una sua attrice simbolo Carmen Maura, “Carne Tremula” con Javier Bardem alle prime armi e la nostra Francesca Neri, e un cameo della giovanissima Penelope Cruz che partorisce su un autobus. Questi sono film che mostrano una crescita nell’uso della camera e del racconto e preparano al capolavoro “Tutto su mia madre”.
Cecilia Roth è la protagonista, già apparsa in altri suoi film, ma c’è anche Penelope Cruz nel ruolo di una suora rimasta incinta da un travestito, ex marito di Cecilia Roth.
Raccontare le trame dei film di Almodovar lo ritengo inutile, come per Woody Allen e per Lynch, anche se i tre sono assai diversi, la storia è solo un pretesto.
Il racconto di “Tutto su mia madre” è uno, ed è quello iniziato col primo film. Una marea di premi per la pellicola e grande successo in tutto il mondo.
Il film si chiude con un sipario, ed è lo stesso sipario che si riapre sull’altro capolavoro che è “Parla con lei” e che ci mostra una coreografia di Pina Baush. Come a dire: “il racconto continua, seguitemi. La Spagna non appoggia la candidatura del film a miglior film straniero, ma lui lo vince con la straordinaria sceneggiatura.
Temi tipici del regista sono i rapporti fra donne, l’ambiguità sessuale, l’amore e la passione omosessuale (spesso trattata con tocco ironico ed autoironico), la critica alla religione.
Proprio sulla religione il controverso “La mala education” dove compare un’altra scoperta Gael Garcia Bernal. Pedofilia, corruzione, travestitismo. Dura critica alla chiesa.
E arriva un altro capolavoro: “Volver” tornare, come il ritorno di Carmen Maura nelle vesti di un fantasma ma in carne e ossa. Una folla di donne, la Cruz in testa, per un film corale che vince la palma d’oro alla sceneggiatura e un premio globale per tutte le attrici presenti nel film.
Seguono il drammatico “gli abbracci spezzati” sempre con Penelope Cruz, l’incomprensibile “La pelle che abito, film quasi fantascientifico in pratica, che non amo molto, interpretato da un folle Antonio Banderas.
Poi un ritorno alla commedia pura all’Almodovar “gli amanti passeggeri”, l’intimo e delicato “Julieta”, e infine “Dolore y Gloria”.
Il colore è un altro attore sempre presente in ogni film, c’è il rosso Valentino ma di sicuro c’è il rosso Almodovar. Basta un’immagine e sai che è un suo film. C’è il volto di Picasso di Rossy de Palma e il modo di dire “donne sull’orlo di una crisi di nervi”, c’è la musica, fondamentale, c’è il coraggio di aver reso quasi normali delle cose surreali. Il suo maestro di riferimento del resto è Bunuel…
Congratulazioni, il leone d’oro ruggirà nella sua casa di produzione El Deseo, il desiderio.
Italo Zeus
Tra gli attori ispanici che più frequentemente hanno lavorato con lui, si annoverano Carmen Maura, Marisa Paredes, Penélope Cruz, Cecilia Roth, Victoria Abril, Antonio Banderas, Rossy de Palma, Chus Lampreave e Javier Bardem.
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