Sbarca con un visto turistico, ma non convincono gli agenti doganali i suoi attestati e diplomi riposti nel bagaglio. Un lungo, quanto rude interrogatorio, il sequestro del telefonino, la sua craccatura e poi dalla lettura di tutti i messaggi la conferma che era andato per “provare” a lavorare negli States. Quindi l’espulsione, mentre a Roma, manco se era un gangster, ad attenderlo l’Interpol. La triste storia di un giovane pizzaiolo nebroidea, brolese d’adozione, visto che qui lavora da anni, che diventa un monito per tanti… Siamo tutti ad un passo da essere Clandestini e la certezza che in America tra muri e dogane non si passa… E sarà sempre peggio.
Sempre più spesso agli italiani capita di essere beccati, come clandestini, negli Stati Uniti.
Questa è la storia capitata ad un giovane pizzaiolo, brolese d’adozione, affermato e qualificato, che è stato bloccato alla dogana di Boston.
Una brutta avventura per lui da domenticare anche se al momento tutta da raccontare. Un racconto dove viene fuori anche tanta rabbia per le modalità del fermo, per essere stato trattato da delinquente, nell’impossibilità di chiamare un avvocato, un assistente, vedendo danzare i manganelli dei poliziotti a pochi centimetri da gambe e testa, perquisito brutalmente, e poi rimpatriato senza di fatto aver varcato la frontiera doganale usa.
«Mi perquisì un poliziotto – racconta – che non aveva creduto che ero solo in vacanza come avevo dichiarato.
E’ vero, – ammette – volevo provare a lavorare in america, non avevo contratto, solo un visto turistico, ci avevo provato, ma, senza qui discutere sul fatto che ero “illegale”, discuto invece metodi e brutalità.
Loro – i poliziotti – fanno forse il loro dovere ma senza quelle regole di un paese civile”.
Lui ha rischiato l’arresto per violazione delle norme sull’immigrazione, di questo è ora certo – si rammarica, forse per colpa anche dell’errore e della superficialità di chi l’aveva convinto che “passare” la dogana era cosa semplice, che si poteva “provare” per qualche mese, e quindi poi una volta visto se c’erano possibilità di lavorare definire il tutto, magari richiamare in america la famiglia, i figli.
Tutto troppo facile, ma non è così. O tempi cambiano anche in America e ora la sua avventura dal sapore amato, diventa un monito, un insegnamento per chi vorrebbe seguire le sue tracce.
Così lui pizzaiolo qualificato, già in contatto con un ristoratore italiano per tre mesi di lavoro in prova – ha rischiato grosso ed è finito anche sulla black list degli indesiderati su suolo americano.
Per accedervi dovrà avere un contratto di lavoro, far passar del tempo, ma sarà sempre un sospettato.
Certamente in America le opportunità di lavoro sono tante, a volte diverse e maggiori che in Italia, per certi mestieri e professionalità. Lui pensava anche ad un lavoro stabile e umiliato ha rischiato le manette.
Alle 18 atterra, per 3 ore resta in dogana perché durante i controlli la polizia nel bagaglio trova le uniformi da pizzaiolo, gli attestai professionali, poi viene portato in una stanza a parte e dalle valigie deve tirare fuori tutto.
«Non ho nulla da nascondere, mica sono un criminale” continua a ripetere.
Lo perquisiscono e lo interrogano.
Sono insospettiti perchè il soggiorno è presso una persona e non in albergo.
Un poliziotto di origine italiana fa da interprete ma le garanzie legali sono al limite.
Anzi forse non ve ne sono affatto.
Quindi il sequestro del telefono, che viene “aperto” – altro che privacy – letti i messaggi, visti i dialoghi.
Da qui è chiaro il motivo del soggiorno del pizzaiolo brolese a Boston.
Ci sono indirizzi, accordi scritti sul lavoro, si parla di cifre e compensi.
Nessuna possibilità di chiamare casa, nè il consolato, manco a parlarne di un avvocato. Dicono solo di stare tranquilli ma poi l’alternativa: o l’arresto e il sequestro dei soldi che aveva dietro, o il rimpatrio.
La seconda opzione è quella scelta.
Quindi caricato con forza su una camionetta, viene condotto sull’areo che ritorna a Roma dove ad attenderlo, come un criminale, ancora polizia, quindi il rientro, stremato, a Catania con decine di ore di volo sulle spalle, confusione in testa, amarezza, rabbia e delusione.
Poi il racconto dell’avventura agli amici anche per rimettere in ordine le idee: «Mi hanno fanno spogliare completamente, perquisito, sotto una fila di domande e la scena si ripeteva al mio fianco, per centinaia di altri come me… un verso girone dantesco in quegli uffici doganali. Un ammasso di razze, di etnie, di gente, di sguardi spauriti”.
Alla fine il cellulare, a pezzi, ed il passaporto gli vengono restituiti, insieme ai soldi, ma solo in Italia,
Gli Usa non sono come l’Italia c’è molta intransigenza sul fenomeno dell’immigrazione. – e con Trump sarà ancor peggio tra muri, filo spinato e controlli – prestano attenzione, sono inflessibili. Non si passa.
E per il nostro pizzaiolo che intanto si era licenziato, ora bisogna dimenticare questa esperienza scioccante e trovare un nuovo lavoro.
Alla fine, come negli anni venti, siamo tutti ad un passo dall’essere nuovamente Clandestini anche se invece che dai barconi sbarchiamo da comodi jumbo.
Di certo si parla molto poco di questo fenomeno – quello dei casi in cui a essere clandestini sono gli italiani. Anche sui media si trovano pochissime tracce del fenomeno. Ma basti pensare che, nel solo stato di New York, gli italiani illegali sembrano essere circa 20mila, come una cittadina di provincia per aver idea del fenomeno e delle sue dimensioni.
Gli italiani che restano illegalmente negli Stati Uniti si affidano, per lo più, ad altri italiani che si trovano legalmente su suolo USA.
C’è una specie di mafia o comunque di omertose complicità per trovare lavoro – chiaramente in locali gestiti da italiani – e anche per affittare una stanza. E, ovviamente, queste persone vengono sfruttate in tutti i sensi.
A volte costretti a fare i lavori più umili, dal lavapiatti al cameriere, guadagnando stipendi da fame proprio perché si trovano in competizione con vagonate di illegali provenienti, in particolar modo, dal Messico.
Molto spesso fanno affidamento su ciò che conoscono culturalmente, come le associazioni legate alla chiesa cattolica e le parrocchie locali.
I clandestini italiani a New York vivono a Brooklyn o nel Queens, non potendosi permettere di affittare un intero appartamento e, tanto meno, un contratto d’affitto regolare per il quale, solitamente, esistono specifici requisiti economici e di residenza….
E la storia si ripete, anche se lo Status di Clandestino in America, sembra essere diverso di quello dei Migrantes, e non sfuggiamo nè a guerre o epidemie.. ma andiamo anche noi alla ricerca di quel lavoro che non c’è.
Brutta storia.
per saperne di piu’
Formalità d’ Ingresso e Norme Doganali
http://www.americaontheroad.it/?q=ingresso-dogana