Bruno Lorenzo Castrovinci, Ds del Comprensivo di Brolo prende spunto del caso di cronaca per considerazioni argomentate che dal personale diventano generali.
La storia di due ragazzi educati e con tanta voglia di apprendere
Correva l’anno scolastico 2015 – 16, il periodo della “Buona Scuola”, ma anche da pendolare sul “treno della scienza”, in quanto da docente vincitore di concorso, pur essendo arrivato tra i primissimi in graduatoria fui assegnato, per assenza di posti in organico, alla provincia di Palermo.
Erano gli anni in cui per raggiungere la sede di servizio bisognava alzarsi all’alba, in quanto il viaggio durava quasi due ore, e bisognava necessariamente lasciare una macchina alla stazione di Campofelice di Roccella per poi raggiungere le sedi di servizio più lontane.
Ricordo con piacere quell’anno scolastico nonostante i disagi, peraltro condivisi con tantissimi docenti che ogni mattina prendevano “il treno della scienza”, storie di uomini e donne che affrontano la quotidianità con molti sacrifici partendo da casa a volte alle 4:00 del mattino, per ritornarci la sera alle 17:00.
Fu proprio in quell’anno scolastico che mi fu assegnata come sede di servizio Caccamo, come completamento alla sede di titolarità, la “Paolo Balsamo” di Termini Imerese, insieme all’istituto di Campofelice di Roccella.
L’esperienza di Caccamo è stata una delle migliori della mia breve carriera da docente, in quanto la scuola, a differenza di altre, aveva un alto riconoscimento da parte del contesto territoriale, che si rifletteva sul lavoro dei docenti, altissime professionalità rispettate dai genitori, con un elevato livello di preparazione e in continuo aggiornamento.
Lavorare in un contesto di confronto e di crescita professionale è stato molto gratificante, senza prime donne, senza pettegolezzi, ma con un’idea di alto valore della professione docente.
Ricordo che in sala docenti e nei corridoi si parlava di didattica, di riforme, di scuola insomma, non ho mai sentito nessuno parlare di altro, e pensare che in quella scuola c’erano dei ricercatori universitari che avevano rinunciato ad una carriera accademica per un posto più tranquillo da insegnante.
I ragazzi, unici, educati, con tanta voglia di apprendere, una dirigenza rigorosa, una scuola ordinata, pulita, con tutto quello che serviva per svolgere bene il proprio lavoro.
Apprendere oggi dalla cronaca che una mia allieva di quella scuola è rimasta vittima di un brutale femminicidio, nel quale è coinvolto anche un altro mio ex allievo, mi lascia senza parole.
Per un docente immaginare di sopravvivere ad un proprio allievo è un atto impensabile, eppure a me in questi anni è successo spesso, ed ogni volta rimane un vuoto che difficilmente si colmerà.
La riflessione è com’è possibile che dei ragazzi che a 10 – 13 anni sono tranquilli, educati, di sani valori, possano poi, crescendo, essere vittime o di se stessi o di altri, in azioni indescrivibili per la crudeltà dei fatti commessi.
Evidentemente, nella fase di passaggio dalla pubertà all’adolescenza, è successo qualcosa che non ha funzionato, in un tempo come il nostro, caratterizzato da rapporti sociali sempre più rarefatti, con il virtuale a farla da padrone nelle relazioni.
Con i social che dominano incontrastati, dove i like alimentano l’autostima, e ogni comunicazione è confinata entro i limiti dei pochi input e output che la tecnologia oggi riesce ad avere.
Se riflettiamo la maggior parte delle comunicazioni avviene attraverso il canale visivo, con la sola vista interessata come senso, e pertanto tutto il resto del messaggio viene ricostruito a livello cognitivo attraverso un bagaglio sempre più povero, in quanto privo di quegli input che gli altri sensi riescono a dare.
C’è da dire anche che è la stessa tecnologia che consente ai nostri ragazzi di attingere a contenuti per noi un tempo impensabili. Attraverso internet, un ragazzo può venire a conoscenza degli atti più scellerati, e non solo limitati alla sfera sessuale, ma anche di episodi di violenza fisica.
Se poi a questo aggiungiamo il messaggio inconscio dei video giochi otteniamo un quadro inquietante.
Infatti, nel gioco, il protagonista muore, oppure uccide una vittima o un avversario, ma alla fine della partita questi magicamente tornano vivi ricominciando daccapo.
In questo modo viene meno il senso della morte, della fine, in quanto se il messaggio veicolato è che poi si può ricominciare, allora tutto è lecito, anche provare azioni pericolose, lasciarsi andare alla rabbia, o a volte allo sconforto.
E noi adulti?
Mi chiedo se siamo davvero consapevoli di quello che sta succedendo, oppure anche per noi tutto diventa scontato, così come siamo immersi nella nostra vita quotidiana, anche noi alle prese con gli stessi mezzi, che fanno parte ormai della nostra ordinarietà.
La storia di Caccamo, due ragazzi educati e con tanta voglia di apprendere. Così li ricordo io, nel brevissimo tempo che ho trascorso con loro, entusiasti di sperimentare e costruire un mondo che purtroppo per una di loro non avrà futuro e per l’altro è stato fortemente compromesso.
Da Dirigente Scolastico, oggi, il mio pensiero va ai miei 927 allievi, con la domanda, che mi pongo, cosa posso fare io per evitare che questi episodi si ripetano, che questi giovani siano risucchiati da falsi modelli di riferimento.
Allo stesso tempo mi chiedo se il mondo della scuola, più volte sollecitato dagli episodi di cronaca e dal mondo delle associazioni, ha veramente compreso che i tempi sono cambiati e che se da un lato la tecnologia apporta dei benefici dall’altro apre nuovi e inquietanti scenari a cui noi non siamo preparati.
BLC
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