Un album, pubblicato a metà dell’anno appena trascorso, per l’etichetta tedesca ACT, dal titolo, “A tribute to Fabrizio De Andrè”, è tra i primissimi nella speciale classifica Top Jazz 2010, dove lo stesso artista occupa il primo posto tra i pianisti. Risultato più che meritato, che non sorprende chi segue Rea sin dai primi anni della sua carriera nella quale si è cimentato a fianco di artisti di mezzo mondo, e formato gruppi storici, tra cui i Lingomania e i Doctor 3.
Esibizione che, avvenendo ad appena tre giorni dalla ricorrenza del dodicesimo anno della scomparsa di “Faber”, ha assunto un particolare valore e lanciato un forte messaggio evocativo. Proprio per questo, l’inizio del concerto è stato anticipato dalla proiezione di alcuni tratti di un breve documentario sull’artista.
Il concerto è iniziato con il duo che ha proposto la “Canzone dell’amore perduto”, avvio romantico, quindi, di una serata che sarà ricordata per le infinite varietà espressive che hanno formato una scaletta nella quale il pubblico che gremiva il teatro ha fatto a gara per “rincorrere” i titoli dei brani, spesso innestati in altri, camuffati, o semplicemente accennati, seguendo assonanze di straordinaria fattura, create appositamente attraverso geniali virtuosismi. Come avvenuto, ad esempio, nel secondo brano, “Il pescatore”, dove il pezzo, ad un certo punto è “scivolato” in “Besame mucho”, a significare che De Andrè sarebbe stato in “compagnia” di altri storici autori, anche stranieri. “Via del campo”, che ha aperto un medley di venti minuti, è stata fatta “sposare”, tra l’altro, con famosissimi classici, come “My favorite things” e “Over the rainbow”, dove la tenera voce di una giovanissima Judy Garland, seppur per un lieve sprazzo, sembrava attraversare lo strumento di Rea.
A seguire “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers”, proposta in una vivace chiave jazz, ha fatto coppia, addirittura, con “Cam Caminì”, ma, a differenza della precedente, in maniera così fugace da non far neppur lontanamente “comparire” Mary Poppins. Bellissima, in quanto particolarmente raffinata, è stata l’interpretazione di “Valzer per un amore”, contaminata da un insieme di passaggi che hanno reso originale lo stile di Rea.
Il secondo raggruppamento di pezzi è stato così concluso con qualche accenno di opera, un’improvvisazione su Duck Ellington e “Tico tico”, brano eseguito magistralmente, tratto da “Piano solo” del 2000.
Tranne qualche eccezione, è stato, invece, interamente tratto dal repertorio del cantautore genovese l’ultimo medley, dove “La canzone di Marinella”, compresa nella “Ballata dell’amore cieco o della vanità”- musicata enfatizzando la componente swing del pezzo originale – “Girotondo” e “Amore che vieni amore che vai”, è stata soltanto intercalata da “Fiori di neve”, capolavoro del pianista, tratto da “Introverso” inciso nel 1997.
Al rientro Danilo Rea propone dei pezzi pregiati del suo repertorio, tre brani in sequenza, di genere completamente differente: “He comes the sun”, ovviamente targato Beatles, “Intermezzo”, da “La cavalleria rusticana” di Mascagni, e per ultimo “Senza fine”, di Gino Paoli, artista con il quale si è esibito l’ultima volta, questa estate, a Messina.
E i numerosi ammiratori di Fabrizio De Andrè e Danilo Rea, accorsi a Milazzo da ogni parte della provincia, avrebbero voluto che la splendida serata al “Trifiletti” fosse proprio “senza fine”, entusiasti del connubio di questi due straordinari personaggi, dei quali il secondo ha raccolto l’inestimabile patrimonio artistico e spirituale del primo, traducendo in versi e riletture musicali una poesia elevata al di sopra del tempo e dei confini.
testo e foto di Corrado Speziale
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