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“DIARI DI CELLA” – La voce denuncia di Gianni Alemanno da Rebibbia

Dietro le sbarre non c’è solo un uomo. C’è uno Stato che si specchia nei suoi fallimenti.

Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma, ha scelto di trasformare la propria detenzione nel carcere di Rebibbia in un potente atto di denuncia e riflessione attraverso una serie di “diari di cella” — sino ad oggi dieci lettere – in cui racconta, con chiarezza e concretezza, la vita quotidiana dietro le sbarre.

Una comunità fatta di regole e solidarietà

Alemanno non cerca redenzione. Non fa vittimismo.
Denuncia. Documenta. Chiama le cose con il loro nome.

Nelle missive (come quella del 90° giorno di reclusione), Alemanno descrive un microcosmo di convivenza autogestita: i detenuti organizzano le pulizie, preparano pasti condivisi e riconoscono un’autorità non formale basata sull’anzianità di detenzione. In queste righe, il carcere emerge non solo come luogo privato di libertà, ma anche come comunità viva e interconnessa.

Condizioni strutturali durissime

Alle parole sulla solidarietà si affiancano dure critiche alle condizioni abitative degradate: celle con sei brande a castello, servizi igienici nello stesso locale dove si cucina, acqua fredda ai rubinetti e mancanza di climatizzazione estiva Alemanno richiama con forza l’attenzione sulle gravi inefficienze strutturali e sanitarie, denunciate anche in una lettera inviata al Ministro Nordio.

Riuso come resilienza

Tra ironia e realismo, l’ex sindaco osserva come ogni materiale — legno, lattine, elastici — venga riutilizzato in modi ingegnosi, suggerendo una riflessione profonda sulla resilienza umana nelle condizioni più avverse.

Una voce politica che va oltre la pena

Con il suo diario, Alemanno non si limita a narrare la propria esperienza, ma solleva interrogativi politici: la mancata applicazione delle leggi esistenti, il sovraffollamento, la carenza di personale penitenziario, le false speranze offerte dal sistema freddo delle misure alternative. Le sue lettere diventano così un grido d’allarme che arriva fino ai vertici politici: “Il carcere è un’intensa esperienza comunitaria. Ecco perché è stupido sprecarla”

Un ruolo sociale inatteso

Alemanno ha reso pubblica una narrazione che, partendo dalle mura di Rebibbia, tocca le questioni centrali della giustizia penitenziaria, della rieducazione, dei diritti umani e della dignità personale. Le sue dieci lettere svolgono così un ruolo significativo: denunciano le criticità del sistema e diventano uno strumento di conoscenza collettiva, invitando il lettore ad interrogarsi sul valore della pena nel nostro ordinamento.

I diari di Alemano non sono un mero sfogo personale, ma opere di denuncia sociale, capaci di accendere dibattiti sul senso e sulle condizioni reali del carcere italiano.

Da leggere

DIARIO DI CELLA 10:

ROBERTO HA 77 ANNI, CAMMINA MALE, NON CI VEDE E NON CI SENTE, RISCHIA DI MORIRE. COSA CI STA A FARE IN CARCERE?

Rebibbia, 2 giugno 2025 -153° giorno di carcere. Oggi non parliamo di pentole e di coperchi, ma di cose molto più serie Perche è il 2 giugno, Festa della Repubblica e della Costituzione italiana, che all’art. 27 sancisce il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità e il dovere di tendere alla rieducazione del condannato.

E anche perché così sono stato redarguito (“abbiamo ben altri problemi!”) da una giovane affascinante psicologa, marcatamente de’ sinistra ma molto seria e rigorosa nel suo lavoro di sostegno ai detenuti. Oggi parliamo di Roberto C., 77 anni, che si sta spegnendo nel Reparto G8 per letà e la mancanza di cure. Non è il più vecchio del Braccio G8, è il quinto in ordine di età. Prima di lui ci sono Antonio R., 87 anni, su cui ci sarebbe molto da dire, ma su cui è meglio sorvolare, visto che sta aspettando la decisione sulla scarcerazione del Tribunale di sorveglianza.

Poi c’è Santo B., 83 anni, ergastolano in carcere dal 2009, Mario F. che è appena entrato in carcere ad 81 anni (bella età per cominciare!) e Franco D, coetaneo di Roberto. Qui va subito notato che, salvo casi molto particolari, secondo la legge chi ha più di 70 anni dovrebbe scontare la sua detenzione agli arresi domiciliari. Ma torniamo a Roberto, questa persona minuta che si aggira stancamente nel mio Reparto, è stata arrestata nel 2019 per un reato di piccolo spaccio commesso nel 2016 e ha scontato quattro mesi di carceraziòne preventiva a Regina Coeli (carcere ottocentesco, tanto bello architettonicamente quanto invivibile per chi ci capita dentro). Poi, dopo la condanna definitiva, è stato arrestato nuovamente 3 anni fa e deve ancora scontarne altri 4 (superando così la soglia deg!li ottant’anni). Già questo è folle, ma non è la cosa più folle.

I problema è che Roberto non sta affatto bene. Negli anni passati è stato due volte operato ai polmoni per asportare dei tumori e oggi il medico di reparto gli ha prescritto una Tac toracica per vedere come vanno le cose. Ha avuto anche un’ischemia al cervello. Le gambe si gonfiano, facendolo camminare a stento, e per questo motivo il medico di reparto gli ha anche prescritto un esame ecodoppler alle gambe. Infine, non ci vede bene (non ci sente neanche, ma questa solo letà) perché ha le cateratte ad entrambi gli occhie un problema alle cornee, che lo specialista del reparto medico di Rebibbia (il G14) gli ha prescritto di indagare con una “microscopia endoteniale corneale” Tutti questi esami andrebbero svolti in strutture ospedaliere esterne al carcere, ma da mesi non si riescono ad organizzare, non per indisponibilità di queste strutture, ma per l’assenza di scorte della Penitenziaria che possano tradurre questa persona detenuta dove può essere esaminata e curata. La drammatica carenza di organico della Polizia Penitenziaria, a fronte del grave sovraffollamento carcerario, provoca anche queste situazioni inaccettabili.

Roberto ha inoltrato due reciami all’Ufficio di sorveglianza di Roma, il primo il 18.03.2025 e il secondo il 29.04.2025, ma ancora oggi sta aspettando di essere portato a fare questi esami, non inventati da lui, ma prescritti dalle strutture sanitarie del carcere Come non è l’unica persona detenuta del Braccio G8 a rimanere in carcere oltre i 70 anni, Roberto non è neanche l’unico -anzi è in buona compagnia – ad avere gravi problemi di salute che, per un motivo o per l’altro, non si riescono a curare adeguatamente.

Ora io mi domando: che ci sta a fare Roberto in Carcere? Quale vendetta sociale si deve ancora compiere su questa persona, che si fa fatica a camminare, che non ci vede e non ci sente, che rischia di morire in carcere e che ha già scontato quasi la metà delle sua pena? Non potrebbe essere mandato almeno agli arresti domiciliari, per cercare di curarsi a casa? Qualcuno mi risponda, o meglio risponda ai reclami presentati da Roberto, per favore.

Gianni Alemanno

P.S. È stata appena trasferita, promossa agli uffici centrali del DAP, la nostra Caporeparto. Donna carismatica, professionalmente inappuntabile, animata da una forte passione civile, ha contribuito in modo decisivo a rendere il G8 il migliore Braccio della nostra Regione. È stata salutata dall’applauso di tutti i detenuti. I fiori crescono anche in mezzo alle condizioni più difficili.

DIARIO DI CELLA 9.

L’ISOLA DEI DIVIETI (SENZA SENSO): PENTOLE SÌ, COPERCHI NO.

Rebibbia, 26 maggio 2025 -146″ giorno di carcere. Esiste “L’Isola dei Famosi”, stucchevole programma di reality, ed esiste “L’Isola dei Divieti”, ovvero gli stituti penitenziari. Qui il gioco è quello di imporre divieti a caso e trovare il modo di aggirarli. Premetto che non sto accusando nessuno, anche perché non so se questi divieti provengono dall’Ordinamento, dal Dipartimento della Amministrazione penitenziaria o dalle singole Direzioni dei carceri. Chiamiamola genericamente l’Amministrazione.

Posso però dire che, se la prendi bene, è quasi divertente. Ma non aiuta la rieducazione. Cominciamo dal cibo. Ho già spiegato che quasi tutti i detenuti sono costretti ad improvvisarsi chef e che i risultati culinari sono anche apprezzabili. Ma il nostro povero chef-detenuto non deve misurarsi solo con la difficoltà di cucinare tutto su tre o quattro forneli di camping gas. No, sarebbe troppo semplice. L’Amministrazione è come il Diavolo: fa le pentole, ma non i coperchi. Infatti i detenuti possono comprare le pentole, ma non i coperchi. Motivo? Probabilmente perché i coperchi, opportunamente affilati, possono essere trasformate in armi da taglio. Ma, a parte il fatto che non è certo facile affilare dell’alluminio morbido, non viene il dubbio che un camping gas, opportunamente surriscaldato, è leggermente più pericoloso di un’alabarda fatta con coperchi di alluminio?

Questa fobia per le lame, attraversa tutto il carcere, per cui le forbici sono quelle della Chicco, i coltelli sono di una plastichetta tanto fragile che fa fatica a tagliare pure lo stracchino. Così, anche solo per avere uno spicchio un limone, nella cultura del riuso che pervade le celle lo sport preferito è quello di inventarsi un qualche modo per tagliare.

Poi c’è la fobia dei fili e delle corde. Capisco che il detenuto non possa avere una cinta se non elastica, ma quando questa fobia giunge a vietare lacquisto del filo interdentale la situazione si fa inquietante. Nella spesa interna è possibile comprare un discreto numero di creme per la pelle, ma non la crema solare Per cui quando arriva l’estate il detenuto con la pelle sensibile, o non va più all’aria, o si ustiona. Ma io, che sono un “boia chi molla” con la pelle molto sensibile, ho vinto la mia battaglia: ho fatto una richiesta scritta l’ho fatta vidimare dal medico del carcere, I’ho inviata ai piani alti e, dopo profonde riflessioni durate più di una settimana, ho ottenuto che la struttura amministrativa possa comprare in farmacia questi prodotti. Si attende adesso che ciò avvenga, speriamo prima della fine dell’estate.

Passiamo alla cultura, che è vista con una certa aria di sospetto. Per carità, ci sono due Università autorizzate ad insegnare dentro le mura del carcere (io mi sono iscritto a Scienze della Comunicazione di Tor Vergata), ma sempre nella logica pentole si, coperchi no. Nel carcere non possono entrare libri con la copertina rigida, se li vuoi avere, devi devastarli stracciando questa pericolosissima copertina. Gli studenti universitari, solo loro, possono avere il collegamento web nel computer dell’aula universitaria, ma fortemente limitato, nel senso che non solo non puoi scrivere (cosa ovviamente giusta) ma non puoi neppure guardare molti siti. La cosa divertente è che tra questi siti esclusi c’è quello della Camera, del Senato e del Governo. Cultura del sospetto verso La Russa? Credo che sia più facile navigare fino ai siti pornografici, ma giuro che non lo so perché non ci ho provato. Sempre se sei studente universitario puoi comprare un computer portatile, ma è assolutamente vietato comprare o farsi portare pennette UBS o CD riscrivibili. Io sto scrivendo un libro sulla mia visione politica (ebbene sì, ne ho ancora una), ma non ho ancora capito come farò a far uscire dal carcere i file di questo libro. Poi c’è un mio dramma personale: la mediaticità. Ho scoperto di essere classificato come un “detenuto mediatico” e quindi – come tutti quelli così classificati – non posso andare agli incontri culturali e artistici (ci hanno provato anche con quelli religiosi) che avvengono fuori dal Braccio.

Qualche testata ha provato a farmi delle interviste, ma non è riuscita ad avere le autorizzazione.

Come se, per lettera o attraverso il servizio mail che abbiamo a disposizione, uno non potesse comunicare con l’esterno e commettere il grave peccato di far sapere come la pensa. Non parliamo ovviamente di cose molto più serie. Mentre ero già in carcere è morta Suor Paola, la mia Santa protettrice (non è un modo di dire) a cui sono legato da vent’anni, Ho provato a chiedere al giudice di sorveglianza il permesso di partecipare al funerale (ovviamente sotto scorta), ma niente da fare: si può sperare di andare solo ai funerali dei parenti più stretti. A qualcuno è successo che non lo hanno autorizzato ad andare a trovare la madre che stava morendo e poi, quando è morta, non è arrivato in tempo neppure il permesso per andare al funerale. in un’altra puntata torneremo a parlare delle lunghe attese e delle risposte negative dei Giudici di sorveglianza.

Diritti negati, principalmente, credo, perché i cumuli di pratiche sulle scrivanie sono troppo alti e i cancellieri sono troppo pochi: per fortuna ci sono gli Agenti della Polizia Penitenziaria (ho scritto bene Dottoressa?) che, nella stragrande maggioranza dei casi, fanno i salti mortali per aiutarti a fronteggiare tutti questi divieti casuali. Ma sono, anche loro, pochi, troppo pochi. qui torniamo al solito punto: non credo che nell’Amministrazione o nei Tribunali di sorveglianza ci siano i “cattivi”, credo che siano troppo pochi e troppo stressati di fronte all’enorme massa di detenuti che dovrebbero non solo sorvegliare ma anche avviare verso la strada della rieducazione e del reinserimento. II sistema penitenziario è collassato, ha bisogno di un’immediata riduzione di sovraffollamento che permetta una riorganizzazione complessiva. Vogliamo smettere di far finta di nulla? Perché questa “Isola dei Divieti” sarà anche divertente, ma non aiuta le persone detenute ad imparare a credere nelle Istituzioni.

Gianni Alemanno

DIARIO DI CELLA 8:

LA SPERANZA DIVAMPA. RIUSCIRANNO LA RUSSA, BERNARDINI E GIACHETTI A FARE IL MIRACOLO?

Rebibbia, 19 maggio 2025 – 139* giorno di carcere.

Un fulmine ha percorso le nostre celle, un passa parola così rapido come solo in carcere può avvenire: La Russa ha aperto sulla proposta Giachetti di una “liberazione anticipata speciale”. Rita Bernardini, Presidente di “Nessuno tocchi Caino”, ha interrotto il suo sciopero della fame in favore dell’indulto. Per farla semplice, potrebbe arrivare finalmente un provvedimento di clemenza per ridurre significativamente il sovraffollamento carcerario. Ma facciamo un passo indietro, per capire. Venerdi santo, tra le guardie carcerarie e la dirigenza c’è un clima di attesa, da grandi occasioni. La mattina, con passo felpato e aria sorniona, si presenta al braccio G8 Pierferdinando Casini, parlamentare PD in carica ed ex Presidente della Camera. Fa un giro tra le celle, si fa spiegare la situazione carceraria, si vede che rimugina. Mi porta in regalo anche una colomba pasquale, che viene trattenuta dalla Direzione del Carcere e mi viene consegnata 26 giorni dopo (tanto per far capire come funzionano qui le cose). Poi nel tardo pomeriggio, la sorpresa è ancora più forte: nelle celle di Rebibbia incede addirittura la seconda carica dello Stato, il Presidente del Senato ignazio La Russa, accompagnato dai suoi dirigenti. Dopo Papa Francesco credo che sia la personalità pubblica più importante che ha varcato i cancelli di Rebibbia. Entra nella mia cella, guarda le 6 brande a castello e, senza che nessuno gli dica niente, capisce tutto ed esclama: “ma qui non dovrebbero dormire solo 4 detenuti?”. Certo, è il famoso sovraffollamento carcerario. Per inciso, qul sono venute in visita decine di parlamentari, ma sono saliti a vedere le celle solo Casini, La Russa e, prima di loro, Maurizio Gasparri (che si è pure bevuto un caffè offerto dai detenuti).

La Russa, non dice nient’altro (non potrebbe, il regolamento carcerario non lo consente), continua il suo giro tra lo stupore dei detenuti e se ne va. I detenuti sorridono scettici, “va be’, sono venuti solo a farsi vedere…” E, invece, No! Dopo qualche giorno, dopo la morte di Papa Francesco, Pierferdinando Casini lancia la proposta di un mini-indulto di un anno. Smuove le acque, ma trova il muro contrario della maggioranza di governo. E poi, per approvare un indulto o un’amnistia ci vuole la maggioranza di due terzi del Parlamento. Rita Bernardini, secondo il metodo non violento di usare il proprio corpo per lanciare messaggi umanitari estremi, comincia uno sciopero della fame per sostenere questa proposta, Poi, il 15 maggio, tutti i media lanciano la notizia dell’apertura di Ignazio La Russa alla proposta dell’on. Roberto Giachetti, parlamentare di Italia Viva.

In cosa consiste questa proposta? Secondo l’Ordinamento penitenziario le persone detenute che tengonc una buona condotta hanno diritto ad uno sconto di pena di 45 giorni ogni sei mesi di carcere. L’on. Roberto Giachetti ha presentato una proposta di legge, che per passare ha bisogno solo di una maggioranza semplice, secondo cui questi giorni di sconto di pena vengono aumentati da 45 a 75 nel periodo di tempo che va dal: 2016 fino ad oggi. Dopo, per il futuro, l’aumento sarebbe limitato a 60 giorni, cioè lo stesso sconto di pena previsto in Germania.

Il risultato pratico di questa proposta è che i detenuti potrebbero avere immediatamente diversi mesi di sconto di pena, non tutti automaticamente come nell’indulto, ma solo quelli che hanno mantenuto una buona condotta. La proposta di Giachetti aveva già il consenso di quasi tutta l’opposizione di centrosinistra (salvo il Movimento 5 Stelle), se si trova un accordo con Ignazio La Russa, l’autorevolezza del Presidente del Senato potrebbe smuovere anche forze politiche dalla maggioranza di centro-destra. Insomma, la speranza divampa (prendendo in prestito una celebre frase del Signore degli Anelli) nelle celle di tutta Italla. Da queste stanze fatiscenti, in mezzo a questi letti accatastati in modo contrario ad ogni normativa nazionale ed europea, in questo caos generato dalla sproporzione tra il numero dei detenuti e quello del tutto insufficiente di educatori, psicologi e magistrati di sorveglianza, si apre la speranza di un qualche ritorno alla normalità.

Una normalità su cui ricostruire percorsi veri di rieducazione e reinserimento dei detenuti, una normalità con cui evitare le periodiche figuracce dell’Italia condannata dalla Corte Europea per violazione dei diritti dell’uomo per le condizioni delle sue carceri. E quindi, in attesa di un intervento di Papa Leone XIV sulle orme di Papa Francesco, speriamo che questa volta sia la politica italiana a fare un miracolo, nel segno coraggioso e beffardo del Presidente La Russa.

Gianni Alemanno

DIARIO DI CELLA 7:

LA FOLLIA DI EMANUELE DE MARIA. L’ERRORE CLAMOROSO DI UN MAGISTRATO NON PUÒ ESSERE PAGATO DA TUTTI I DETENUTI.

Rebibbia, 13 maggio 2025 – 132″ giorno di carcere.

Emanuele De Maria, un detenuto ammesso al lavoro esterno al carcere, ha ucciso una donna e ferito un suo collega, per poi suicidarsi gettandosi dalle logge del Duomo di Milano. Ovviamente esplode tutta la retorica del giustizialismo più superficiale: un detenuto condannato in via definitiva a soli 14 anni per l’omicidio di una donna che torna a commettere lo stesso gravissimo reato, dopo essere stato rimesso libertà a meno della metà della pena. Ecco i risultati del permissivismo di chi vuole mettere facilmente in libertà i detenuti in nome della rieducazione. Come è stato possibile? Buttiamo la chiave! Devono morire in carcere! Osserviamo meglio la realtà, senza un buonismo che certo non ci appartiene, ma anche senza la superficialità di chi vuole raccogliere voti, ma non risolverà mai nessun problema perché non perde tempo a studiarlo.

Non conosciamo ovviamente gli incartamenti relativi a De Maria, ma sappiamo solo una cosa: era finito in carcere per aver ucciso una prostituta. Un assassino di prostitute, il più gratuito e assurdo dei femminicidi! Il caso più classico dei serial killer! Chi è quel magistrato di sorveglianza che ha commesso questo clamoroso errore giudiziario, mettendo rapidamente in libertà un soggetto simile? Chi erano l’educatore e lo psicologo che hanno redatto le “sintesi trattamentali”, ovvero le relazioni tecniche propedeutiche a ottenere questo beneficio? Ne sapevano qualcosa di criminologia e di storia del crimine? In realtà esiste, qui nel carcere, un preciso punto del codice d’onore interno: chi ha fatto violenza contro una donna o contro un bambino non ha diritto neppure ad entrare in un reparto, viene immediatamente respinto da tutti gli altri detenuti, E, infatti, in tutti i carceri esiste uno speciale reparto riservato a questi soggetti e isolato da tutto il resto del carcere E l’unico modo per preservare gli stupratori, gli autori di femminicidi, i pedofili, i molestatori e i maltrattatori di donne e bambini, dal rischio di veri e propri linciaggi.

Quindi i detenuti, tutti i detenuti d’italia, sanno quello che il magistrato che ha liberato De Maria evidentemente non sapeva: che quando una persona giunge all’abiezione di prendersela con una donna o con un bambino dà prova di una perversione e di una infamia che non può non essere duramente colpita. E, allora, il clamoroso errore di quel magistrato che ha messo in libertà De Maria, dopo pochi anni di carcere e a fronte di una sentenza incredibilmente mite (quando nei Tribunali italiani volano decine di anni per reati anche banali), deve essere pagata da tutti i detenuti? Non si può più parlare di sovraffollamento dei carceri, di pene alternative e sconti di pena che non vengono concessi neanche quando ricorrono tutti gli estremi di legge? Non si può ricordare che le carenze d’organico portano i magistrati di sorveglianza, come gli educatori e gli psicologi, ad avere montagne di pratiche sulle loro scrivanie?

Non scherziamo sulla pelle di 62.000 detenuti chiusi in carceri dove, secondo I leggi nazionali e internazionali, potrebbero vivere al massimo 49.000 persone. Non giochiamo sulla pelle di qualsiasi cittadino italiano che, quando meno se l’aspetta e senza aver fatto nulla di male, può essere improvvisamente precipitato in questo romanzo kafkiano che sono la giustizia e le carceri italiane. No, non siamo buonisti, Chi sbaglia deve pagare. Ma chi ha diritto alla libertà deve ottenerla. E nessuno deve vivere anni e anni in una cella che assomiglia ad una grotta affollata.

Il magistrato che ha sbagliato su Emanuele De Maria pagherà? O dovranno pagare per lui tutti i detenuti italiani?

Gianni Alemanno

DIARIO DI CELLA 6:

DEDICATO AD ANTONIO, TRASFERITO COME UN PACCO POSTALE.

Rebibbia, 4 maggio 2025-124″ giorno di carcere.

Venerdì scorso, le 9 di sera. Finito di mangiare, ci predisponiamo ai nostri soliti rituali serali di cella: la partita a carte, la scelta del film da vedere alla televisione, All’improvviso si affaccia alle sbarre della nostra cella la più arrogante di tutte le guardie carcerarie del nostro Braccio, con in mano un rotolo di sacchi da immondizia. Chiama: “Antonio Z.” e subito dopo “Preparati, domani alle 6:30 sei trasferito. Quanti sacchi ti servono per mettere la tua roba?”. Antonio, seduto sulla sua branda al secondo piano del letto a castello, trasecola, il suo volto assume i tratti dello sgomento. “Perché, cos’ho fatto? Dove mi portate?” domanda con voce già incrinata. “Non ti posso dire niente. Dimmi solo quanti sacchi ti servono” la risposta sprezzante dell’uomo in divisa, Antonio accenna a ribellarsi: “non voglio essere trasferito, voglio rimanere qua”. II carceriere taglia corto: “se non mi dici quanti sacchi tì servono, me ne vado e domani ti portiamo via senza niente.”” intervengono i più anziani di cella, si fanno dare tre sacchi e la guardia si allontana. Antonio scoppia in lacrime tra le braccia di Ciro, il più giovane della cella, arrivato insieme a lui da un altro braccio. lo ingenuamente chiedo se è successo qualcosa, se Antonio ha fatto qualcosa di male, se ha litigato con qualcuno. I più anziani dei miei compagni di cella Luciano, Marco, Valerio – mi rispondono che Antonio non ha fatto nulla, che questa è una consuetudine del DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria): quando bisogna riequilibrare la distribuzione della popolazione carceraria tra i diversi istituti di pena, si trasferiscono i detenuti che hanno creato qualche problema e, se questi non sono in numero sufficiente, se ne scelgono altri più meno a caso. Antonio è uno di questi. Siamo stretti attorno a lui per consolarlo, poi comincia a raccogliere le sue povere cose e a metterle dentro i tre sacchi della spazzatura che gli sono stati consegnati.

Un po’ di vestiti, gli oggetti dell’igiene personale, un pacco di biscotti, qualche carta, la cartella di plastica con i libri di scuola. La branda viene disfatta per consegnare lenzuola e coperte all’ Amministrazione. Piccoli residui di un minimo habitat che ogni detenuto crea attorno a sé, tracce di un’esistenza umana messa all’angolo.

Per Antonio, andarsene da Rebibbia significa abbandonare suoi amici, le sue abitudini, la sua frequenza a scuola per ottenere il diploma, la vita di cella dove un po’ di calore di ritrova negli ottimi piatti preparati da Valerio, nelle lunghe chiacchierate, nelle interminabili partite a carte. La preoccupazione di avvertire i familiari che, ovviamente, non sanno nulla del trasferimento e non si sa come la prenderanno, Ma chi è Antonio, questo pacco postale mandato verso l’ignoto? Un ragazzone di 47 anni, nato a Isernia, 110 chili su 1,80 d’altezza, soprannominato “er bruschetta” per la sua passione per il pomodoro sopra il pane abbrustolito, mansueto e giocoso come solo certi meridionali riescono ad esserlo, sempre pronto a fare il caffè o la camomilla per tutti, la cui imprecazione abituale è “porca paletta!” Perché è in carcere? Perché è stato scoperto a guidare senza patente durante un regime di sorveglianza a tui era sottoposto. Sullo sfondo svariati periodi di carcere, sempre per lo stesso maledetto vizio della droga ‣ per lo spaccio necessario a finanziare questo vizio. Ma Antonio negli ultimi tempi, prima di tornare in carcere, aveva trovato lavoro in un albergo, dove era apprezzato per la sua disponibilità e la sua voglia di fare, di cui anche noi avevamo un po’ abusato nella nostra vita di cella. Più tardi in quell’ultima serata insieme, è venuto un altro “assistente” (il modo con cui vengono chiamati i sottufficiali della polizia penitenziaria) ad aiutarci a sostenere Antonio, quasi a scusarsi della brutalità con cui veniva trattato. Perché la stragrande maggioranza degli uomini in divisa qua dentro sono cosi: persone corrette e cortesi che fanno il proprio lavoro, certe volte quasi degli amici.

Poi la mattina dopo, Ciro, che aveva accompagnato Antonio fino alle porte del Braccio, torna con la notizia: lo portano a Cassino”. I carcere di Cassino: uno dei più brutti e fatiscenti, teatro di una rivolta conclusa ton il trasferimento di massa dei detenuti e che adesso, dopo una rapida ripulitura, doveva essere nuovamente riempito. Chi dà il diritto a quattro oscuri burocrati dell’Amministrazione centrale del DAP di disporre delle vite delle persone detenute in questo modo? Non gente che ha sbagliato e che merita una punizione, non soggetti ericolosi che per sicurezza è meglio trasferire.

Ma persone come Antonio che non hanno fatto nulla e che ora a Cassino devono, per l’ennesima volta, ricostruire tutto da zero, magari trovando un ambiente ostile? Questi sono i percorsi di rieducazione che l’Ordinamento dovrebbe garantire, secondo i Principi, costituzionali? Certo, il sovraffollamento delle carceri porta anche a questo: operazioni semplicistiche di redistribuzione della popolazione carceraria, basate magari su un astratto dato anagrafico di residenza. La causa principale è sempre questo maledetto sovraffollamento che la Politica non vuole vedere. Antonio la sera ha pianto, ma la mattina si è avviato alle porte del carcere con il suo solito sorrisetto strafottente Dedico questa pagina di diario alle lacrime e al sorriso coraggioso di Antonio. Persona detenuta non pacco postale spedito in quel di Cassino.

Gianni Alemanno

DIARIO DI CELLA 5.

QUEL PAPA SCOMODO CHE HA SFIDATO L’IPOCRISIA. CHI OGGI LO COMMEMORA, SI RICORDERÀ DI QUELLO CHE HA DETTO?

Rebibbia, 28 aprile 2025 – 118° giorno di carcere.

Tutti i potenti della Terra, 400.000 persone in piazza, il mondo che guarda commosso la televisione, Trump e Zelensky che parlano, seduti da soli dentro la Basilica di San Pietro. Ormai fa parte della retorica comune dire che il mondo si è inginocchiato di fronte alla morte di Papa Francesco.

Anche qui in carcere, per una volta, le televisioni non sono sintonizzate sui programmi di Maria De Filippi, ma in tutte le celle si guarda in silenzio Piazza San Pietro.

Per le persone detenute Papa Bergoglio non era semplicemente un’autorità religiosa o un uomo giusto e famoso da apprezzare, era, ed è, un parente, un padre, un nonno, o uno zio (come qui vengono invariabilmente chiamati i detenuti più anziani), a cui si è affezionati perché lo si sente concretamente vicino nel proteggere e nell’aiutare.

Quante volte in questi mesi sono stato fermato anche dai detenuti più semplici che mi chiedevano: “Che farà il Papa? Perché non lo ascoltano? Lui è l’unico che può smuovere la situazione”. E Papa Bergoglio, fino all’ultimo, non ha deluso le aspettative: ha aperto una Porta Santa a Rebibbia, la sua ultima uscita fuori dalle mura vaticane è stata al carcere di Regina Coeli, ha lasciato 200.000 euro in eredità al Carcere minorile di Casal del Marmo. Tutto questo a coronamento di un Pontificato in cui non ha mai smesso di chiedere tre cose: fermare le guerre, salvare i migranti, aiutare le persone detenute.

Cosa hanno fatto i potenti del Mondo per rispondere a queste tre pressanti richieste? Cosa faranno ora che si sono commossi per la morte di Bergoglio?

E in Italia, culla del Cattolicesimo, cosa si farà per affrontare il più semplice di questi problemi, ovvero le condizioni di sovraffollamento e degrado in cui vivono gli oltre 60.000 persone detenute nel nostro Paese?

Il Ministro Nordio continuerà a dire che bisogna costruire nuove carceri, che nel caso migliore saranno pronte tra dieci anni? O a ipotizzare di mettere le persone detenute in prefabbricati e caserme abbandonate, come si fa per gli sfollati dai terremoti? Senza, per altro, avere le risorse per colmare tutti i paurosi vuoti d’organico che già oggi (senza le nuove carceri) mettono in difficoltà la Polizia penitenziaria, seconda vittima del sovraffollamento carcerario? Senza affrontare l’altrettanta paurosa carenza di psicologi, educatori e giudici dei Tribunali di Sorveglianza? È in queste condizioni di sovraffollamento e degrado che, anche se senza pensare al Papa scomparso, si pensa di offrire alle persone detenute la via della rieducazione imposta dall’art. 27 della Costituzione?

I politici di centrodestra, nonostante tutte le polemiche sulle follie della giustizia italiana, continueranno a chiudere gli occhi di fronte a questa riedizione contemporanea de “Il Processo” di Kafka che si vive nelle carceri italiane? Carceri fatiscenti e sovraffollati, in cui si mescolano innocenti, persone condannate a decine di anni per reati banali o cervellotici, altri che aspettano invano l’applicazione delle leggi previste per la rieducazione e per l’avviamento al lavoro, ottantenni e malati? Quanto potrà durare la menzogna che in questo modo si tutela la sicurezza dei cittadini, la certezza della pena e l’autorità dello Stato? Provocando sistematicamente il 70% di recidiva, attraverso carceri che in queste condizioni sono solo Università del crimine?

I politici di opposizione continueranno, per opportunismo, a far finta che non sia responsabilità anche della Magistratura se si vive in questa situazione, non cominciata certo oggi che governa la destra?

Ai funerali di Papa Francesco sono stati invitati a partecipare anche cinque detenuti (alcuni provenienti dal nostro braccio) che hanno atteso il feretro all’ingresso di Santa Maria Maggiore per offrire ognuno di loro un fiore. Perché, come Trump e Zelensky si sono parlati dentro San Pietro, il Ministro Nordio non ha fatto il gesto di incontrare queste persone detenute sotto le volte della Basilica della Salus popoli romani? Non sarebbe stato il modo migliore per onorare Papa Francesco nella sua volontà di aiutare chi soffre dietro le sbarre?

Papa Francesco, con la sua morte, offre a tutti una via d’uscita, una possibilità di ripensamento senza perdere la faccia. Anche di fronte al più feroce degli elettori, non si ha la potente giustificazione: ce l’ha chiesto Papa Francesco? Può avvenire, almeno una volta, che tutta la politica italiana si metta insieme per fare qualcosa di serio per cancellare, o ridimensionare, una vergogna, che tra qualche mese porterà la Repubblica Italiana di nuovo sul banco degli imputati della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo?

Le strade per attenuare questa situazione possono essere tante, anche evitando un semplice “colpo di spugna”, basta volerle percorrere con la necessaria determinazione.

Cari ex colleghi politici, Papa Francesco vi ha offerto l’opportunità di interrompere una grande ipocrisia. Non rispondete aggiungendo un’ipocrisia ancora più grave: piangere Papa Francesco continuando a ignorare quello che Papa Francesco ha chiesto.

Gianni Alemanno

DIARIO DI CELLA 4,

QUALCOSA DI VIVO E PROFONDO SI MUOVE TRA QUESTE MURA: IL SENSO RELIGIOSO NEL CARCERE.

Rebibbia, 14 aprile 2025 – 104° giorno di carcere.

Con l’avvicinarsi della Santa Pasqua non posso non parlarvi del senso religioso che si vive nelle celle di questo carcere. Quello che scrivo non vale per tutte le persone detenute, ovviamente. Ma qui non conta il numero, conta l’intensita.

I contesti in cui ho partecipato ad una Santa Messa sono stati tra i più diversi, dalla Veglia pasquale celebrata dal Santo Padre a San Pietro, alle celebrazioni dei Frati francescani all’Ara Coeli sul Campidoglio, fino a una incredibile Messa di ringraziamento al Campo Base del K2, a 5.000 metri di altezza con il K2 sullo sfondo, in occasione del cinquantenario della conquista italiana della seconda vetta del mondo. Volevano farla celebrare al chiuso quella Messa, per paura delle reazioni degli Hunza, i portatori di fede islamica, che invece si alzarono rispettosamente in piedi quando percepirono la solennità della celebrazione. Ma raramente mi è capitato di partecipare a messe così intensamente vissute come quelle celebrate dal Vescovo ausiliario Monsignor Ambarus nella chiesa del Braccio G8 di Rebibbia. Fa impressione vedere tante persone dal volto non propriamente celestiale, dal corpo pesante e potente, spesso coperto di tatuaggi, cantare e pregare, ascoltare intenti le semplici e potenti omelie del Vescovo, sorridere gentili quando ci scambiamo il Segno della Pace nel corso della celebrazione. Fa tenerezza vedere la devozione a Maria, con baci ai pedi della Sua statua e con canti finali dopo la Messa che ricordano quelli del Divino Amore. Fa sorridere vedere tante persone detenute portare il Rosario al collo come fosse una collana o incollare immagini sacre sul muro della propria branda. Quella cattolica non è l’unica esperienza che si vive tra queste mura, c’è anche un’intensa attività evangelica e incontri settimanali di Buddhismo, perché il senso religioso, come lo definiva Don Giussani, può percorrere strade diverse. E ci sarà anche folklore in questi comportamenti, o tracce di doppie morali, ma non è solo questo. Il carcere spinge verso l’esperienza religiosa, la sofferenza individuale come il rallentamento dei ritmi di vita di tutta la comunità carceraria, costringono a guardarsi dentro, a mettersi in ascolto, a cercare

qualcosa. Questo è uno dei più potenti strumenti con cui si combatte il rischio di diventare uno dei

“morti viventi” che vegetano tra queste mura.

Anche per questo, credo, Papa Francesco ha voluto aprire una Porta Santa di questo Giubileo nel nostro carcere: non solo per pietas ma anche per la percezione di qualcosa di vivo e profondo che si muove tra queste mura, molto di più che nelle aule, nei bar e nei salotti in cui si giudica che ha sbagliato.

Santa Pasqua di Resurrezione a tutti.

Gianni Alemanno

DIARIO DI CELLA 3:

SUOR PAOLA, UNA SANTA NELLE CARCERI E PER TUTTA ROMA, NON SOLO SUI CAMPI DI CALCIO.

Rebibbia, 2 aprile 2025 – 92° giorno di carcere. Suor Paola è morta, questa dolorosa notizia è rimbalzata anche nelle nostre celle, coinvolgendo non solo laziali ma anche tanti romanisti. Ma fa un po’ impressione che i giornali riportino questa notizia nelle pagine sportive, rimandando all’intensa tifoseria sportiva che ha caratterizzato questa donna eccezionale. Certo, questo è quello che l’ha fatta conoscere al grande pubblico, rendendola un “personaggio mediatico”, ma per Lei è stata la leva per lanciare una grande attività sociale e una sincera opera di evangelizzazione. Lo disse con la sua consueta franchezza: “lo ho pensato che (andare in televisione a parlare di calcio) potesse essere una porta aperta per far crescere progetti di volontariato.” Perché Suor Paola è stata la fondatrice e la guida della So.Spe (Solidarietà e Speranza), un’organizzazione di volontariato fondata nel 1998 che ha aperto – letteralmente lavorando con le sue mani, raccogliendo i finanziamenti senza sussidi pubblici – centri di solidarietà e di accoglienza dove, nel corso degli anni, hanno trovato rifugio donne maltrattate con i loro bambini, immigrati, anziani, padri separati e persone senza fissa dimora.

Perchè Suor Paola, insieme a Padre Vittorio, è stata un sostegno e una guida spirituale per i detenuti di Regina Coeli. Perchè Suor Paola ha promosso centinaia di tour di solidarietà nelle periferie romane portando generi alimentari e aiuti materiali agli indigenti, organizzando ogni anno il più affollato spettacolo di solidarietà – quasi sempre condotto dal suo amico interista Paolo Bonolis – della nostra Capitale. E, per quasi quindici anni, seduto in prima fila al suo fianco c’ero io. Non solo quando ero Sindaco – e la potevo aiutare (come avevano fatto prima di me i miei predecessori Rutelli e Veltroni) ad aprire i suoi centri di solidarietà nella Città – ma anche quando non avevo nessuna carica istituzionale e, ancor di più, quando era cominciato il lungo calvario giudiziario che mi ha portato in questa cella di Rebibbia. Capite? lo ero accusato delle cose più gravi e assurde, quelle da cui sono stato prosciolto o assolto molti anni dopo, ma proprio per questo

Lei mi voleva al suo fianco, mentre magari dall’altro lato c’erano Maria Elena Boschi, o Carlo Calenda o qualche assessore del Partito Democratico. Insomma, Suor Paola non apparteneva certo a quella categoria di opportunisti che ti esaltano (magari anche con qualche finalità positiva) quando sei potente e ti abbandonano discretamente quando sei in disgrazia.

Non è certo un caso che sono stato nelle sue strutture, quando ho voluto o dovuto fare volontariato sociale. Ma ancora non ho detto tutto, anzi ho detto pochissimo. Suor Paola sprigionava nella sua massima intensità quel carisma cristiano che porta gli umili a diventare forti, i semplici a sfidare i dotti e i potenti. Ti guardava in faccia e ti chiedeva, ogni giorno, cosa stavi facendo per essere una persona umana degna di questo nome.

Te lo chiedeva anche senza parlare, semplicemente guardandoti in faccia, ed eri “costretto” a rimboccarti le maniche per metterti a costruire o a lottare. Poi scoppiava a ridere come una bambina dispettosa, perché il suo Cristianesimo non è mai stato un cristianesimo triste, nei talk show televisivi come in mezzo ai drammi dell’umanità.

Con lei la retorica buonista e melensa non attaccava, contavano solo i fatti e la gioia di vivere in mezzo alla gente. Quindi Suor Paola, al secolo Rita D’Auria, ragazza calabrese diventata suora a vent’anni contro la volontà della famiglia, morta esattamente nel ventennale di San Giovanni Paolo I di cui era una granitica seguace, è una Santa. Non solo sui campi di calcio, ma nelle carceri e per tutta Roma. leri glielo dicevo fingendo di scherzare, oggi ne sono assolutamente sicuro. Il suo sguardo non ha cessato di trafiggermi.

Gianni Alemanno

DIARIO DI CELLA 2:

IL CARCERE È UN’INTENSA ESPERIENZA COMUNITARIA. ECCO PERCHÉ È STUPIDO SPRECARLA.

Rebibbia, 31 marzo 2025 – 90° giorno di carcere. Chi ha vissuto un periodo della sua vita “dietro le sbarre” è testimone di un’esperienza difficilmente comunicabile a chi invece il carcere non l’ha mai conosciuto. Nelle celle si vive un’intensa esperienza comunitaria, con i forti connotati romantici ed emozionali propri di tutte le vicende comunitarie. Tra i compagni di cella si condivide tutto, dalle derrate alimentari ai lavori quotidiani, dalle emozioni ai ricordi. Ai più anziani (di permanenza in carcere) viene riconosciuta piena autorità sulle regole comuni, a prescindere dai titoli di studio e dalle origini sociali, regole totalmente autogestite ma ferree per pulire gli ambienti, preparare i pranzi, lavare i piatti.

C’è un continuo lavoro artigianale di ogni detenuto per migliorare le condizioni di vita, a fronte di celle fatiscenti, ognuna con 6 brande a castello, di un cesso che sta nella stessa stanza dove si cucina e di un lavandino senza acqua calda, della mancanza di apparati di condizionamento quando fa caldo. Sicuramente condizioni di vita che meriterebbero quel 10% di sconto di pena previsto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo “per condizioni di detenzioni inumane” (ma di questo ne parleremo un’altra volta). Ogni pezzo di legno, ogni lattina, ogni elastico, viene utilizzato in modo geniale per risolvere qualche problema pratico di una vita a metà strada tra il campeggio e la caverna. Altro che “cultura del riuso” da ambientalisti chic, qui si fa sul serio… In ogni cella c’è almeno un detenuto che, in base ad esperienze pregresse (in genere altro carcere), si improvvisa come cuoco, cucinando su fornelli camping gas quello che può essere riciclato dal vitto quotidiano o quello che viene acquistato come “sopravvitto”. I risultati, soprattutto nelle celle dove vivono persone di origine calabrese, sono assolutamente al di sopra della media delle nostre case, dove ormai domina la cattiva abitudine dei cibi d’asporto.

Sono poche le persone detenute, anche quelle che all’entrata si presentano con un carattere individualista e aggressivo, che riescono a sottrarsi a queste regole. Le varie celle compongono altri cerchi comunitari, che sono i reparti, i bracci e i singoli istituti penitenziari. lo, ad esempio, sono al Reparto 2B (ovvero in uno dei due corridoi del secondo piano) del Braccio G8 del Carcere di Rebibbia Nuovo Complesso (nuovo nel senso che risale agli anni ’60 e non all’800 come Regina Coeli). Il G8 è sicuramente il braccio più vivibile di tutti i carceri romani, dove sono fiorite molte attività, tutte gestite in ogni aspetto da persone detenute, volontari o lavoranti interni (per poche centinaia di euro al mese). Vige la consuetudine di salutarsi tutti ogni volta che ci si incontra nei corridoi, all’aria, nella doccia, nelle sale comuni, quando ci si affaccia in un’altra cella. Ci deve essere assoluta cortesia reciproca, pena reazioni collettive anche pesanti.

Ogni attivita del carcere è molto frequentata dalle persone detenute, certamente in cerca di modi per passare la giornata, ma anche molto attente a tutto quanto li può far sperare di avere una vita migliore durante e dopo la carcerazione. C’è voglia di partecipare, non di tutti, perché c’è anche chi si lascia andare e diventa un morto vivente. Ma questa voglia c’è e certe volte è sinceramente commovente. Ne sono testimoni tutti i volontari, i docenti e gli operatori esterni che cercano di organizzare le diverse attività. Insomma, la natura comunitaria dell’esperienza carceraria permette di alimentare la speranza di quella “rieducazione” di cui parla l’Art. 27 della Costituzione.

Proprio per questo è un peccato, e anche una vergogna, quando le istituzioni preposte non riescono a valorizzare queste potenzialità, non dando coerenza e continuità ai percorsi che dovrebbero portare dalla rieducazione all’accesso alle pene alternative. Non parliamo del personale che lavora nelle carceri (dirigenza e polizia penitenziaria) che sono vittime dei malfunzionamenti e delle carenze di organico quasi quanto le persone detenute. Parliamo di chi fa le leggi e di chi le deve applicare, che può e deve fare di più.

Gianni Alemanno

DIARIO DI CELLA 1:

QUANDO LA POLITICA DELUDE

Rebibbia, 23 marzo 2025 – 82′ giorno di carcere.

Giovedì scorso ho assistito a uno spettacolo senz’altro raro nelle celle di un carcere. Tanti detenuti, forse per la prima volta nella loro vita, ascoltavano intenti, attorno ai tavoli delle loro celle, la radio. Che c’è di strano? Lo strano era che non ascoltavano una partita di calcio o un programma della De Filippi (che qui, come in tutta Italia, va per la maggiore). Ascoltavano un dibattito parlamentare.

Capite? Ascoltavano i deputati durante la seduta straordinaria della Camera sull’emergenza carceri. Nonostante anni di delusioni, davano ancora una volta credito alla politica, speravano in un segnale di attenzione per una situazione veramente indegna e insostenibile. Ma questo segnale non è arrivato. Il dibattito, imperniato sulla mozione di maggioranza e su due mozioni dell’opposizione (Giachetti per PD, Azione, IV e AVS; D’Orso per M5S), si è svolto secondo i più banali e prevedibili dei cliché.

Il centrodestra, a parte qualche frase di circostanza sulla necessità di aiutare la riabilitazione dei detenuti, ha fatto prevalere nel voto la linea securitaria della “certezza della pena”, ovvero “più i detenuti stanno i carcere, meglio è”. Le opposizioni – con poche eccezioni come Giachetti e La Boschi, che hanno persino citato la lettera inviata ai Direttori del Tempo e dell’Unità da me e dallo scrivano Fabio Falbo sulla situazione delle carceri – si sono più che altro concentrati sulle polemiche contro il Governo, mettendo in secondo piano ogni tentativo di trovare un’intesa trasversale per affrontare seriamente il problema. La capogruppo PD Serracchiani è riuscita a infilare nel suo intervento perfino la polemica sul Manifesto di Ventotene (?!). Alla fine non è stato facile sostenere gli sguardi delusi dei colleghi di cella e di reparto, le domande “e allora?”. “E allora niente, non hanno capito nulla e non succederà niente, nonostante il Giubileo, gli appelli del Papa e della CEI, le denunce degli organismo europei, le esortazioni di tanti personaggi di rilievo” ho dovuto ripetere decine di volte. E in effetti non hanno capito, o non hanno voluto capire.

In un aula formata prevalentemente da deputati non eletti dal popolo, ma scelti dai vertici dei partiti, conta solo l’ordine di scuderia, il messaggio demagogico da far rimbalzare sui media. “Abbiamo difeso la certezza della pena” diranno a destra, “abbiamo denunciato l’insensibilità sociale delle destre” ribatteranno a sinistra. Ma la realtà è un’altra cosa, è rimasta mille miglia lontana da Montecitorio. Una realtà fatta di carceri sovraffollati, dove la riabilitazione è quasi sempre una chimera, dove l’esperienza carceraria è solo una leva per moltiplicare la recidiva. Non solo: non ci si rende conto che prima ancora di inventare nuove leggi, bisognerebbe ottenere l’applicazione di quelle esistenti, che troppo spesso rimangono lettera morta con Tribunali di Sorveglianza ed educatori in grave carenza di organico (per non parlare di una Polizia penitenziaria ridotta allo stremo). Il centrodestra, in particolare, non capisce che non sarà credibile fino a quando limiterà la sua polemica sulla giustizia solo alle inchieste sulla politica e terrà separato il tema della sicurezza da quello della legalità. Dal canto suo l’opposizione di sinistra continuerà a concentrare i suoi attacchi solo sugli avversari di governo, perché non osa mettere in discussione gli altri apparati dello Stato.

La politica delude. Se delude per un problema relativamente semplice come quello delle carceri, come potrà dare risposte a problemi epocali come quello delle guerre, del fallimento dell’Unione Europea, della fine della globalizzazione liberale? Ma noi non ci fermeremo, anche dal profondo di queste celle continueremo a combattere.

Gianni Alemanno

ALTRE LETTERE DAL CARCERE

AVEVAMO SCRITTO A PAPA FRANCESCO PRIMA DI PASQUA. È STATO IL NOSTRO ULTIMO SALUTO.

Mercoledì scorso avevamo scritto a Papa Francesco per chiedergli di tentare ancora una volta di svegliare le coscienze delle persone che possono intervenire per migliorare la situazione carceraria.

La mail era stata ricevuta giovedì mattina dal suo segretario personale monsignor Fabio Salerno, lo stesso giorno in cui Papa Francesco è andato a visitare il carcere di Regina Coeli.

Purtroppo il Santo Padre non ha avuto il tempo di rispondere, ma noi lo ricordiamo come l’unica personalità pubblica che aveva veramente a cuore il destino delle persone detenute. Il Suo Spirito non ci abbandonerà, ispirerà il suo successore e continuerà a darci speranza. A Dio Papa Francesco.

A Sua Santità

Papa Francesco

Città del Vaticano

Padre Santo,

c’è un’immagine che è rimasta scolpita nel cuore delle tante persone detenute, non solo del Carcere di Rebibbia ma di tutte le carceri del mondo. È l’immagine della Sua Santa Figura, ritratta faticosamente in piedi, nell’atto di aprire la Porta Santa nel Carcere di Rebibbia all’inizio dell’Anno Giubilare. Molti hanno notato che solo in questo caso, tra le diverse cerimonie di apertura delle Porte Sante, Ella ha voluto sfidare i limiti della sofferenza per ergersi in piedi nel compiere questo Rito.

Il Suo gesto ci ha ricordato il terribile sforzo con cui San Giovanni Paolo II nel 2002, nonostante la sua malattia, raggiunse il più alto scranno della Camera dei Deputati per pronunciare un discorso al Parlamento italiano, con il quale chiese un atto di clemenza per la popolazione a quel tempo detenuta.

Abbiamo letto nella Bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell’anno 2025 la Sua denuncia e il Suo appello: “Penso ai detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le privazioni economiche, le condanne imposte e, in non pochi casi, la mancanza di fiducia. Propongo ai Governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; percorsi di amnistia o di condono pena dove la pena è apparsa inutile a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrispondano un concreto impegno nell’osservanza delle leggi”.

È questo il segno della speranza nei cuori di chi vive dietro le sbarre, una speranza di riscatto non solo individuale ma collettivo: non essere rifiuti umani, gli scarti di una società informata solo da valori effimeri e materiali.

Non stiamo parlando per noi. Siamo due persone detenute che, per strade diverse, non dovranno aspettare molto tempo per giungere alla fine della propria pena e non abbiamo nulla da chiedere per noi in termini di clemenza e di facilitazione del nostro percorso.

Ma non possiamo dimenticare i nostri compagni di cella, di reparto, del carcere e le altre persone detenute nei diversi luoghi di sofferenza, considerando che vi sono molti anziani, molti malati senza cura, troppi giovani senza percorsi di riabilitazione, tanti “morti viventi” che trascorrono in modo inerte le loro giornate, in attesa di una libertà che arriverà solo quando saranno molto vecchi. Né possiamo dimenticare chi si è suicidato – tanti, troppi – o è morto per mancanza di cure.

Sappiamo di essere perfino dei privilegiati, perché il nostro Reparto è uno dei più vivibili in Italia rispetto a tutti gli altri, ma proviamo lo stesso un’angoscia e una sofferenza come le persone detenute in carceri ottocenteschi come Regina Coeli, nei reparti di alta sicurezza, nelle sezioni dove il sovraffollamento, presente in tutti le carceri, raggiunge i limiti del 200%.

Molti di noi hanno sbagliato, per altri è stata la macchina della giustizia a sbagliare. Nessuno chiede un colpo di spugna, una libertà facile, ma una speranza sì. Questo è un diritto che non può essere negato a nessuno, è scritto nella nostra Carta costituzionale e nella cultura cristiana e umanistica che fa parte della nostra identità e civiltà.

Cosa Le chiediamo, Santità? Le chiediamo, alla vigilia della Santa Pasqua giubilare, di compiere un ulteriore gesto concreto di misericordia e di tenerezza per chi non ha mai vissuto dietro le sbarre e solo in poche circostanze rituali e in modo stereotipato. Persone che operano nell’informazione, che rappresentano gli apparati dello Stato dedicati all’amministrazione della Giustizia, che decidono le leggi nel Parlamento e nel mondo politico.

Come possono queste persone non vedere che nelle nostre carceri il sovraffollamento è superiore ad ogni parametro di vivibilità stabilito in sede nazionale ed europea e che le vittime di questa situazione non sono solo le persone detenute, ma anche il personale che lavora con sempre maggiore difficoltà negli istituti di pena? Come possono sopportare il fatto che migliaia di percorsi di rieducazione previsti dalla legge ma bloccati dalla burocrazia, dalla carenza di personale, da una malintesa cultura della sicurezza che invece di difendere il cittadino dal crimine, diventa ideologia dell’odio sociale e della vendetta? Come possono attendere passivamente l’ennesima condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, procedure d’infrazione che sono autentiche vergogne che la nostra comunità nazionale, con la Sua guida e la Sua cultura, non merita?

Che Pasqua di Resurrezione sarà, Santità, se un segnale di speranza non arriverà anche nelle carceri italiane? Che Anno Giubilare sarà stato, se si dovesse concludere senza aver scalfito l’ignavia e la menzogna che rendono ancora più chiusi e invivibili questi istituti penitenziari? Insieme con il Presidente Sergio Mattarella, siete le uniche persone che possono ottenere questa svolta, con le vostre autorità morali e con il potere di testimonianza nella Fede.

Santità, la Porta Santa del carcere di Rebibbia rimane ancora, come Ella ha scritto, “un simbolo che invita a guardare all’avvenire con speranza e con rinnovato impegno di vita”.

Con questi sentimenti chiediamo la Sua paterna apostolica benedizione per tutte le persone detenute e il personale delle carceri.

Con filiale devozione. Giovanni Alemanno e Fabio Falbo

Roma, Carcere di Rebibbia, il 16 aprile 2025

LETTERE DAL CARCERE

AL MINISTRO NORDIO ALLA GIUSTIZIA, Al SOTTOSEGRETARI E ALLE COMMISSIONI GIUSTIZIA DI CAMERA E SENATO

Al Ministro della Giustizia dott. Carlo Nordio e p.c. al Vice Ministro sen. Francesco Paolo Sisto ai Sottosegretari on. Andrea Delmastro Delle Vedove sen. Andrea Ostellari al Presidente, ai Vicepresidenti e ai Capigruppo

Il Commissione permanente (Giustizia) Camera dei Deputati al Presidente, al Vicepresidenti e ai Capigruppo 2a Commissione permanente (Giustizia) Senato della Repubblica

Signor Ministro siamo due persone detenute nel Reparto G8 del Carcere di Rebibbia NC: Giovanni Alemanno, da sempre mpegnato in politica e nell’opera di solidarietà sociale, e Fabio Falbo, “Lo Scrivano di Rebibbia” laureato in Giurisprudenza in carcere. Le stiamo scrivendo perché vogliamo sensibilizzare le istituzioni e l’opinione pubblica sull’attuale situazione carceraria, che a noi, e non solo a noi, appare insostenibile e contraria ai Dettati costituzionall. E quindi non potevano non rivolgerci a Lei che ricopre l’alto incarico di Ministro della Giustizia. la nostra testimonianza può essere utile a Lei e alla Sua struttura per comprendere i problemi delle persone detenute e quindi individuare le strade migliori per decongestionare gli istituti penitenziari e attuare, quindi, quel principio di rieducazione e reinserimento previsto nell’art. 27 della Carta costituzionale. La situazione carceraria attuale è emergenziale, e come tale comporta il ricorso parametri valutativi eccezionali e a interventi immediati, che superano per ampiezza e urgenza il programma di costruzione di nuovi carceri, di moduli prefabbricati e di riutilizzo di edifici demaniali abbandonati messo in campo dal Suo Ministero. Mai come in questo momento va ricordato come nel nostro sistema processuale il carcere debba costituire l’extrema ratio. Devono quindi essere utilizzate tutte le misure alternative al carcere, che possono alleggerire la pressione delle presenze negli istituti penitenziari non rese obbligatorie dalla legge, Vogliamo anche ricordare che sulle morti in carcere per mancata sanità, già in occasione della presentazione del Docufilm “Viaggio in Italia della Corte Costituzionale nelle carceri” del 4 ottobre 2018, il Prof. Giuliano Amato affermava: “non si deve morire in carcere perché non ci sono state cure adeguate, ma, perbacco, questo è inammissibile: ci battiamo perché non accada in Africa e I’Africa ce l abbiamo nelle nostre carceri, questo non è ammissibile, non può succedere”, Le vogliamo indicare quelle che secondo noi sono le priorità per far fronte al sovraffollamento negli istituti di pena e, in particolare, alla situazione tragica delle morti, dei suicidi, dell’assistenza sanitaria inadeguata, di tutti gli ultrasettantenni in carcere, dell’affettività negata, della mancata scindibilità dei cumuli ẹ dell’accesso limitato al lavoro in aziende private attraverso l’art. 21 O.P. e del principio di progressività trattamentale.

La mancanza di un’adeguata assistenza sanitaria diventa particolarmente grave per due diverse questioni. La prima attiene a ciò che ha scritto il Garante Regionale del Lazio Stefano Anastasia nella sua relazione annuale, in numerose dichiarazioni pubbliche e interventi nelle sedi istituzionali competenti (Commissione consiliare sanità e politiche sociali, Osservatorio regionale della sanità penitenziaria, Tavoli tecnici aziendali per la sanità penitenziaria). In quelle occasioni ha ripetutamente richiamato lattenzione sulle gravi inadempienze del Nucleo traduzioni e piantonamenti della Polizia penitenziaria di Roma, in parte non dipendenti della sua organizzazione interna, ma causate dall’esiguità del personale a disposizione, che non riesce a coprire le necessità di servizio. La seconda concerne le tante certificazioni mediche dell’area sanitaria, che I più delle volte definiscono “condizioni generali mediocri” della persona detenuta le situazioni sanitarie appena sufficienti alla sopravvivenza, omettendo di pronunciarsi in merito alla possibilità di raggiungere un’effettiva guarigione all’interno delle strutture carcerarie, sili Uffici di sorveglianza non tengono conto della sentenza n. 56/2021 della Corte costituzionale che ha stabilito che Jondannati che hanno più di settant’anni possono beneficiare della detenzione domiciliare. In realtà qui a Rebibbia sono diversi gli ultraottantenni, anche non recidivi, che continuano a vedersi rigettare le loro richieste di accedere a questa misura, e quindi devono languire – si spera non morire – in questa situazione, spesso di sofferenza addizionale, considerato che questi “nonnetti” sono allocati anche in celle con altre 5 persone detenute.

Per ciò che concerne il sovraffollamento degli istituti di pena, ricordiamo la sentenza Torreggiani c/italia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che già dal 2013, owvero 12 anni fa, aveva imposto all’Italia, con il termine perentorio di un anno, di porre rimedio alla disumana condizione di sovraffollamento A ben vedere questo termine perentorio p stato trasformato in ordinatorio, visto che tutte le strutture penitenziarie italiane sono al collasso con tassi di sovraffollamento di oltre il 150%, senza considerare che, tome Lei stesso ha rilevato, le persone detenute crescono circa 5 volte di più rispetto all’aumento dei posti in carcere. Nonostante ciò gli Uffici di sorveglianza continuano a rigettare i reclami ex art. 35 ter O.P. per l’applicazione dello sconto del 10% di pena conseguente alla violazione dell’art, 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell”uomo e delle libertà fondamentali, come risarcimento per le tondizioni di detenzione contrarie al senso di umanità. Il ragionamento elementare da fare è questo: se 1 Jati diffusi dal vostro Ministero ci dicono che in tutti gli istituti di pena vi è un sovraffollamento dal 150% al 200%, con uno spazio nelle celle per ogni singola persona detenuta inferiore agli standard previsti dall’Ordinamento, come mai nella maggior parte dei casi il Magistrato di sorveglianza non concede = dovuto? Un intervento legislativo potrebbe rendere automatico questo sconto di pena per tutte le persone detenute recluse in carceri dove si registra un sovraffollamento superiore al 100% dei posti disponibilil Ugualmente ignorata dalla Magistratura di Sorveglianza rimane la sentenza della Corte costituzionale n. 253/19, che ha ammesso al beneficio del permesso premio coloro che mantengono un comportamento carcerario virtuoso a prescindere dalla collaborazione nelle vicende giudiziarie, facendo scemare le preclusioni assolute in relative, avvalorando così il principio di progressione trattamentale.

Anche questa sentenza potrebbe essere recepita da una norma di legge tale da risolvere ogni problema interpretativo inoltre si potrebbe introdurre per legge un “permesso trattamentale” che superi i limiti di applicazione del permesso premio” che oggi non può essere concesso a chi ha pene brevi. Per quanto concerne l’affettività negata, dobbiamo denunciare la drastica riduzione dei colloqui telefonici e I mancato rispetto della recentissima sentenza n. 10/2024 della Corte Costituzionale, visto che ancora ogg nessuna persona detenuta a Rebibbia O in diverse altre strutture hanno avuto accesso a spazi riservati all’affettività. E urgente che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ripristini un numero adeguato di colloqui telefonici e dia impulso, anche in via sperimentale, alla creazione di spazi dedicati all’affettività nei diversi istituti penitenziari.

Un altro intervento legislativo dovrebbe evitare la mancata scindibilità dei cumuli, che rende vano l’accesso a tutti gli altri istituti giuridici già citati e anche all’istituto dell’art. 21 O.P. È un dato di fatto che la magistratura di sorveglianza, non solo di Roma, non ottempera a quello che i Supremi giudici hanno stabilito: “in sede di applicazione di determinati benefici penitenziari, stabilire incidentalmente se il singolo peneficio lo consenta e se sia stata espiata o meno la condanna per i reati ostativi.” (cfr.Cass.Sez. I^ del 22.04.2008 N”21336; ed ancora N’37848/16 Cass. Sez. I^ del 04.03.2016 T.A.; ed ancora N”17892/17 Cass. Sez. I^ del 22.02.2017; ed ancora e non per ultima Sez. I^, N”34569/17 del 24.05.201…) l’accesso limitato all’art. 21 O.P. per il lavoro in aziende private lo si rileva nei dati dei colloqui fatti a Rebibbia con aziende private: Su circa 160 che hanno chiesto manodopera solo 30 aziende circa hanno avuto la possibilità di assumere. Questo dovuto, anche e non solo, alla scelta da parte delle direzioni delle tarceri di indirizzare le persone detenute a lavorare presso il demanio, senza considerare che in questo modo le persone detenute non potranno continuare a lavorare dopo il fine pena. Diversamente accade se la persona detenuta è assunta da un’azienda privata, se considerano gli sgravi fiscali previsti nei successivi 18 mesi. Inoltre si deve poter far rispettare la norma in questione con l’accesso nei termini previsti, mentre oggi la persona che ha un fine pena alto non accede al beneficio, senza tralasciare il dato degli ergastolani che in questo modo non vi accederanno mai.

Per comprendere la gravità dell’abuso della carcerazione preventiva basta citare il dato delle 1.180 domande di risarcimento per ingiusta detenzione per un totale di quasi 27,4 milioni di euro pagati dallo Stato italiano. Questo abuso non chiama in causa le responsabilità del suo Dicastero, ma come Lei ben sa contribuisce in modo rilevante ad aggravare il sovraffollamento delle carceri. Nel contempo questo sovraffollamento spesso pl la motivazione che induce molti magistrati a scarcerare persone in attesa di giudizio nonostante il rischio di reiterazione del reato, creando grave allarme sociale. Bisogna anche tenere presente che si calcolano in circa 100.000 condannati “liberi sospesi”: vi deve avere consapevolezza di questo esorbitante numero, anche perché in caso fossero resi definitivi in tempi rapidi tutti i procedimenti e si dovesse arrivare all’azzeramento di questi “liberi sospesi”, assisteremo al collasso totale di tutto il sistema carcerario e di quello dell’esecuzione penale esterna. Anche nell’ipotesi in cui vi fosse la mancata applicazione di un beneficio al 10% di questi “liberi sospesi”, questo implicherebbe inevitabilmente la presenza di altre 10.000 presenze in carcere. È inutile sottolineare a quale stress andrebbero incontro gli uffici di sorveglianza, queli del U.E.P.E, Ser.d, CSM, comunità. Non potrebbe esserci l assorbimento necessario ed efficace affinché percorsi esterni possano essere attuati. stesso discorso può essere fatto anche per il limitatissimo accesso alla detenzione presso il domicilio ex legge 199/2010, nonostante la spesa di diversi milioni di euro per acquistare i cosiddetti “braccialetti elettronici” che rimangono in larga parte inutilizzati.

In particolare si registra un insufficiente e ritardato utilizzo della legge in questione che dovrebbe ammettere a questa concessione una buona parte delle persone detenute giunte a 18 mesi dal fine pena. Anche qui, sarebbe necessario un intervento legislativo che rendesse automatica la concessione di questa detenzione presso il domicilio, anche se nel cumulo della pena sono presenti reati ostativi già espiati. Quando si parla di intervenire contro il sovraffollamento delle carceri si pensa subito a provvedimenti emergenziali come l’indulto e l’amnistia, che sono vivamente la via più semplice e immediata per ridurre in modo significativo la popolazione carceraria, ma anche provvedimenti meno drastici, come quelli sopradescritti, potrebbero dare un forte contributo in questo senso, riducendo il carico di lavoro e quindi i ritardi e dinieghi spesso incomprensibili della Magistratura di sorveglianza? Signor Ministro, è merito Suo se è stato avviato con la collaborazione del CNEL il progetto “Recidiva Zero” per aprire il carcere alla società, puntando sul lavoro, la scuola, la formazione e ricongiungendo le reti della società civile, i soggetti pubblici e privati attivi in questo ambito, le forze sociali e il mondo del volontariato.

Non è un caso se il CNEL ha voluto istituire dei tavoli anche in carcere per confrontarsi su questo progetto, tavoli a cui noi siamo stati ben lieti di portare il nostro contributo per mettere a sistema le buone prassi. Ma questa progettualità non può diventare realtà se non viene accompagnata da un forte impegno per ridurre il sovraffollamento delle carceri. Cionondimeno, per concludere, crediamo che un’ulteriore forma di ristoro contro il sovraffollamento carcerario debba essere concessa, così come è stato fatto con la liberazione anticipata speciale 75 gg. dal 2010 al 2015, che adesso potrebbe essere estesa sino a fine pandemia Covid, per pol concedere el liberazione anticipata ordinaria a 60 gg. a semestre come in altri Stati europei (ad esempio la Germania). In questo senso Le chiediamo di valutare la Proposta di legge già presentata dal’Onorevole Roberto Giacchetti. Signor Ministro, le persone detenute sono un pezzo della società e sono un pezzo vulnerabile della stessa, come tante volte ci ha ricordato il compianto Papa Francesco. Compiere un atto di riconoscimento delle condizioni insostenibili in cui vivono queste persone, non vuol dire cedere ad una tentazione permissiva contraria al principio della certezza della pena. Significa solo compiere una necessaria conciliazione tra questo principio e quello della finalità rieducativa della pena previsto dall’art. 27 della nostra Costituzione Ringraziandola per l’attenzione, La salutiamo con osservanza.

Giovanni Alemanno e Fabio Falbo

Roma Rebibbia, 30 aprile 2025

Redazione Scomunicando.it

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