L’insulto come gioco, l’insulto come provocazione divertente e divertita.
Handke propone degli attori che non vogliono recitare nulla, mentre Allen presenta degli attori che tentano in tutti i modi di mettere su uno spettacolo, ma che devono arrendersi al fallimento.
Il testo di Allen sembra la dimostrazione pratica dei concetti espressi da quello di Handke: anche se provate a recitare non verrà fuori nulla. In realtà è vero il contrario: tutti i tentativi e i fallimenti di questi attori sono in verità già teatro, così come lo sono tutte le negazioni, le provocazioni e gli insulti: è impossibile che il teatro non avvenga anche se lo si nega o lo si fallisce.
Il discorso sul corpo è centrale nello spettacolo e lo spettacolo del corpo in scena è proprio la Danza. Il corpo degli attori e quello delle danzatrici diventano un tutt’uno dall’inizio dello spettacolo. Naturalmente questa identità non è piena, non è totale, ma è come se la Danza sublimasse il gesto teatrale e lo portasse ad un altro livello, più alto, più intuitivo, più musicale, più indiretto.
«Patrizia Bellitti e io abbiamo scelto di mettere in scena questo spettacolo- afferma il regista Stefano Molica – perché sembra importante in questo particolare momento riflettere sul ruolo del pubblico a Patti».
Infatti, finalmente Patti ha il suo Teatro e la sua stagione teatrale, il movimento teatrale sta crescendo, ci sono molti giovani e giovanissimi che si avvicinano a questo mondo e il successo dei corsi de La Macchina dei Sogni, organizzati dall’ Associazione Nuovi Teatri lo testimonia. Come del resto è una realtà ormai consolidata la GymnicaContempodanza di Patrizia Bellitti per la Danza. «Di conseguenza – continua Stefano Molica – ci sembrava giusto iniziare questa nuova fase con uno spettacolo che parlasse del rapporto fra artisti e spettatori, perché tutti insieme ci rendessimo conto che questo “patto” fra il pubblico e i teatranti è fondamentale e importante. Il Teatro senza il sostegno della gente, sia a livello economico che emotivo, non esiste.
Quindi alla fine, i provocatori “insulti” del titolo non sono altro che un grande abbraccio, un atto d’amore nei confronti delle persone che ci consentono di continuare a lavorare e a fare Teatro a Patti: il pubblico».
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