Commentare fatti tragici come quello che oggi si è verificato a Brindisi è cosa esageratamente complessa. Inopportuna, per alcuni, perché c’è un dolore immenso che pressa e forze comprime la capacità di elaborare riflessioni chiare.
Volendoci comunque provare, mi vengono in mente le parole di un libro, per precisione, di una saggio che sto leggendo proprio in questi giorni. Si tratta della disamina del fenomeno mafioso di Gaetano Mosca, giurista e storico delle dottrine politiche, vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento.
Sebbene risalente nel tempo, le parole di Mosca, riescono a rispondere agli interrogativi più comuni sulla mafia e sul suo opposto, la lotta alla mafia. Prima fra tutte la domanda “che cos’è la mafia?”. Gaetano Mosca dice che la mafia, o meglio, lo “spirito di mafia”, è essenzialmente un fenomeno antisociale, che non ha confini, che crea un disordine di principi fondamentali che nulla dovrebbe intaccare.
Oggi questa antisocialità si è manifestata nella sua forma più brutale. Essa è variamente declinabile a secondo degli elementi che si considerano.
Innanzitutto le immagini a seguito della deflagrazione: il “disordine”, quello spaventoso era negli zaini, nei libri sparsi ovunque ed intrisi di sangue, le macchi sull’asfalto. Poi occorre guardare al luogo, e non è cosa di poco conto, anzi, è l’elemento centrale. Il fatto che l’attentato sia avvenuto innanzi ad una scuola è fortemente indicativo, perché una scuola è un luogo di formazione, che crea cittadini insegnando quelle regole sociali che qualsiasi mafia rigetta ed attacca. Il fatto che l’attentato sia avvenuto innanzi ad una scuola è fortemente indicativo su quale sia la strada giusta da seguire. E’ quella della lotta alla mafia fatta non solo di repressione. La prospettiva nuova è quella che mira a realizzare l’antimafia delle opportunità e dei diritti, l’antimafia della cultura. Tutto questo, inizia nelle scuole.
Giovanni Falcone affermava che l’impegno dello Stato nella lotta alla criminalità organizzata è emotivo, episodico, fluttuante. Motivato solo dall’impressione suscitata da un dato crimine o dall’effetto che una particolare iniziativa governativa può suscitare sull’opinione pubblica. Si tratta di un problema non superato ancora oggi, a vent’anni dalla scomparsa del magistrato. Però c’è un dato certo, oggi come allora: che la cultura spaventa chi è abituato a seminare paura ed imporre silenzio.
Determinante è quindi impegnarsi nel diffondere la cultura della legalità che già Mosca, un secolo fa, considerava importante. E’ la cultura della legalità che innesca una “rivoluzione”.
Dal rispetto della legalità scaturisce il disgusto per le violenze.
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