Si tratta di una cella solare ricoperta da uno strato composto da atomi di grafene, estremamente sottile. L’acqua precipitata vi si incolla, creando una sorta di condensatore naturale: la differenza di carica tra gli elettroni del grafene e gli ioni delle gocce di pioggia genera elettricità, che può poi essere veicolata ad uno strumento utilizzatore, immessa in rete per la distribuzione alle utente o immagazzinata nei sistemi che permetteranno di usarla in un secondo momento. Difficilmente un sistema di questo tipo potrà essere impiegato su larga scala nel breve periodo, ma l’idea è senza alcun dubbio interessante e potenzialmente innovativa.
Sono inoltre necessari perfezionamenti: allo stato attuale il pannello converte in energia utile solo il 6,5% di quella catturata, una quota di gran lunga inferiore rispetto a quella delle alternative più efficienti sul mercato che arrivano al 22%. Innalzando la percentuale attraverso un processo di ottimizzazione della tecnologia si potrebbe giungere alla creazione di celle dall’enorme potenziale: verrebbe teoricamente meno il gap che separa i territori maggiormente colpiti dal sole e anche laddove sono frequenti le precipitazioni si potrebbe beneficiare di un sistema efficace per la produzione di energia pulita e rinnovabile.
La strada che porta verso un futuro maggiormente sostenibile, un tema molto discusso in questo periodo (complice l’imminente referendum sulle trivellazioni), passa anche da idee, spunti e intuizioni di questo tipo. Che si arrivi poi a farne un prodotto commerciale e alla portata della collettività è una questione differente: riportare, leggere e condividere notizie di questo tipo contribuisce a rafforzare l’idea che la ricerca non si ferma, non si accontenta dei risultati ottenuti, guardando costantemente al futuro e sperimentando soluzioni sempre inedite.
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