– di Corrado Speziale –
Si è svolto alla Feltrinelli di Messina un incontro organizzato dai Giovani Democratici sul tema dell’eutanasia legale, in questi giorni oggetto di dibattito in due sedi differenti:
“Eutanasia legale: quanta vita c’è nella morte?” Anche se il titolo calza, altresì, invertendo il quesito: in certi casi, “quanta morte c’è nella vita…?”
Alla Feltrinelli di Messina, si è svolto un dibattito su questo tema, organizzato dai Giovani Democratici, coordinato dalla segretaria cittadina Erika La Fauci, dottoranda in Diritto Costituzionale, con gli interventi della prof,ssa Tiziana Vitarelli, ordinaria di Diritto Penale e del prof. Stefano Agosta, ordinario di Diritto Costituzionale, entrambi dell’Università di Messina. Giuristi e giovani attivisti politici, tutti intorno a un tavolo con al centro un unico tema che in questa “coincidenza” storica vede due articoli del Codice penale, contigui, sottoposti a differenti esami, in differenti sedi, con differenti procedure. Art. 579, “omicidio del consenziente”; Art. 580, “istigazione o aiuto al suicidio”. Due norme parallele che devono cedere un po’ della loro forza alla disciplina sull’eutanasia. Lo dicono i tempi e le esigenze. Lo ha sentenziato, nel secondo caso, la Corte Costituzionale.
Alla base ci sono i contenuti della legge 219 del 2017 sul consenso informato e sulle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) che ha fatto da apripista alla pronuncia della Corte Costituzionale, la quale ha messo alle strette il Parlamento.
“Parlare di eutanasia legale oggi è una sfida – ha detto Erika La Fauci. Non abbiamo una soluzione in tasca, ma nostro intento è porsi più domande e avere più coscienza di prima. Giuridicamente, non solo eticamente, questa è una questione delicata. Quando la sofferenza di vivere diventa morte, il dramma si acuisce e la scelta diventa sempre più drammatica”. La riflessione. Erika legge la lettera che tale “Mario” ha scritto all’associazione “Luca Coscioni”, al fine di sensibilizzare il Parlamento: “La vita è bella, va vissuta fini alla fine, ma solo fino a quando si ha la possibilità di viverla con dignità. Per me non è più così…Per questo ho fatto richiesta al suicidio assistito”. In sala, tutti d’accordo: in questi casi, la dignità e la libera scelta vengono prima di tutto. Ma i due professori di Diritto, riguardo all’argomento, mettono in guardia attenzionando alcune criticità. “La Corte Costituzionale – dice Tiziana Vitarelli – nel solco tracciato dalla legge 219 del 2017, ha ritagliato uno spiraglio minimo di liceità all’aiuto al suicidio, traendo spunto dalla vicenda di DJ Fabo (Fabiano Antoniani, nel 2017, “caso Cappato”, ndr).
I dubbi sull’ammissibilità del referendum: “Si creerebbe un vuoto normativo. Renderebbe legale qualunque causazione della morte di una persona che validamente lo richiedesse, senza tutte quelle condizioni che invece la Corte Costituzionale ha stabilito per poter accedere ad un aiuto al suicidio legale”. Infine, il parallelismo tra le due questioni legate a entrambi gli articoli del c.p.: “Sono due aspetti che dividono l’opinione pubblica tra lecito e illecito. È il legislatore, sollecitato più volte dalla Corte Costituzionale, che deve attivarsi e darsi una nuova disciplina, ristrutturata, sull’eutanasia volontaria attiva”.
Stefano Agosta: “La Corte Costituzionale, con l’ordinanza del 2018 e la sentenza del 2019, ha mandato un messaggio forte sulla valenza soggettiva della dignità umana. Oggi forse sarebbe più corretto parlare di tante dignità, quanti sono gli esseri umani portatori”.
Analogie e differenze tra la pronuncia della Corte e il referendum: “Entrambi tendono a ridurre la portata di un articolo. Ma sono due casi profondamente diversi. Nel primo vi è una condotta propria del soggetto, nel secondo vi è una condotta altrui. Nell’ipotesi prevista dalla Corte – precisa il docente – il soggetto è solo il malato. Nel secondo caso, se dovesse passare il referendum così com’è, chiunque potrebbe togliere la vita a qualcun altro, tranne in tre casi”.
Un passaggio tecnico con un sillogismo su cui Agosta ha riflettuto: “La Corte individua un’eccezione a una regola. Dunque, l’art. 580 resta tale, salvo questa eccezione. Il referendum si muove con un presupposto completamente diverso. Se la Corte individua un’eccezione alla regola, vuol dire che quest’ultima, per logica, non è in discussione. Quindi la Corte presuppone la regola dell’art. 579, che il referendum vuole rimuovere. Sono due cose abbastanza diverse. Con questo referendum – prosegue il docente – non si aggiunge un principio, ma si rimuove per sostituirlo con un altro. Sarebbe un esito difficilmente compatibile con la Costituzione. La stessa Corte, nella sentenza 242, sostiene che non esiste un diritto a morire”. Dopodiché, esprime cautela sulle previsioni del giudizio: “La giurisprudenza costituzionale, in materia di referendum, è la più ballerina e contraddittoria di tutte”.
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