di Manuela Messina
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Teheran, dicembre 2009. Malgrado il tentativo del governo di occultare le ragioni e le proteste dei manifestanti nei confronti del premier Ahmadinejad e della guida suprema Khamenei censurando le notizie sui mezzi ufficiali, la cronaca della rivolta viene ogni giorno raccontata dai tweets del secondo social network più popolare nel mondo occidentale.
L’Avana, dicembre 2009. La giornalista cubana Yoani Sanchez riceve l’ennesima intimidazione: viene brevemente arrestata, subendo abusi verbali e percosse, mentre si reca ad una manifestazione contro la violenza insieme ad un gruppo di amici. Il suo blog, Generation Y, malgrado le censure imposte dal governo cubano, è diventato scomodo.
Luogo non precisato, dicembre 2009.
Due giovani creano un gruppo su Facebook e organizzano una manifestazione. Si tratta del No- B day. Per la Questura partecipano 90 mila persone. Per gli organizzatori, sono un milione.
Solo alcuni esempi che indicano che il fenomeno del social network è esploso. In tutta la sua forza. E forse non è utile solo a ristabilire i contatti con i vecchi compagni delle elementari.
Milano, Piazza della Scala, dicembre 2009. Il premier italiano Silvio Berlusconi viene colpito in pieno volto con una statuetta del duomo. L’assalitore è Massimo Tartaglia, un quarantenne in cura psichiatrica da ormai da molti anni. Presto su Facebook si affollano i video che riprendono il gesto , vengono caricate le foto del viso ferito del presidente, le bacheche si affollano di suggerimenti di adesione ai gruppi pro- assalitore. Il giorno seguente le pagine dei quotidiani sono piene di articoli correlati alle vicende del giorno precedente, e fra queste le migliaia di adesioni ai gruppi violenti fanno notizia.
Giampaolo Pansa, in un’intervista al Corriere della Sera, annuncia: siamo in un clima da anni ’70. Oggi il discorso politico si fa rovente, le fazioni avverse vengono colpite con appellativi che rimandano al linguaggio della guerra, la crisi economica è forte, la disoccupazione è ai massimi storici. Negli anni ’70 le ideologie venivano difese con la violenza, la militanza intesa come abbandono del vantaggio individuale a favore di quello collettivo. Ma aderire con un clic a un gruppo violento di Facebook è un gesto che può oggi essere paragonato alla militanza, alle occupazioni, agli slogan, ai titoli, agli striscioni dei giovani degli anni ’70?
E’ un dato di fatto che sui social network si creano tribù virtuali, all’interno delle quali si condividono passioni in comune, musica, articoli di giornali on-line, video, foto, all’interno delle quali possono nascere passioni politiche, fiorire movimenti. Ma Facebook dàsoprattutto la possibilitàdi crearsi un’identitàsimile a quella reale, ma nuova, forse migliore. Un’identitàelettronica in continuo mutamento, liquida, frammentata. In cui basta un clic per dichiararsi amanti di Artaud, il giorno dopo neo- fascisti, e nello stesso istante fan del Mahatma Gandhi e di Massimo Tartaglia. Un’identitàalla portata di tutti, senza sforzi, senza sacrifici. Un’identitàin una realtàin cui si affaccia scegliendo accuratamente che lato mostrare di sé. Un’identitàin cui non serve essere, ma, come dice il titolo di un fortunato documentario di questi mesi, “basta apparire†. Un io virtuale che può trasformarsi in realtàquando si abbandona la postazione e si scende in strada, a protestare contro la censura iraniana, cubana, cinese, italiana.
Negli anni ’70 esistevano i servizi d’ordine, in cui i giovani si difendevano dagli attacchi dei membri delle fazioni avverse e della polizia durante i cortei e le manifestazioni. Oggi,quello stesso servizio d’ordine è rappresentato da persone di media stazza, non necessariamente avvezzi alle azioni violente, donne, ragazzini. Perché i manifestanti pacifici hanno finalmente compreso che per difendere il proprio diritto a esprimere le proprie idee e difenderle dagli attacchi esterni oggi bastano le immagini. I servizi d’ordine moderni non portano armi bianche, hanno in spalla una telecamera.
I social network trasportano sulle loro veloci connessioni le notizie, le immagini, le foto. Ma lo fanno in modo diverso dai quotidiani on-line. Sui social network si riscopre lo stesso sentimento di identificazione che si prova acquistando il giornale a noi più prossimo in termini di idee, convinzioni. Un’identificazione basata sulla conoscenza, seppur virtuale, di chi scrive. Perché attraverso Facebook posso scoprire il profilo di chi scrive, e fidarmi di lui. E alla fiducia non si possono opporre censure.
Il Nobel per la letteratura 2009, Herta Muller, nel suo romanzo “Il paese delle prugne verdiâ€Â, racconta come un gruppo di giovani intellettuali dissidenti facenti parte di una minoranza tedesca durante il regime di Ceausescu, per essere sicuri che le lettere spedite non fossero state aperte e controllate da nessuno, mettessero nelle buste un capello. Se il capello veniva ritrovato, le lettere erano sicure.
Oggi gli iraniani dissidenti distraggono i potenti firewall imposti dallo stato riuscendo a comunicare al mondo cosa sta succedendo nelle strade e nelle piazze. Evidentemente il loro profilo su Twitter è più rassicurante di quello del loro premier.
Milano, Piccolo Teatro, novembre 2009. Riccardo Luna, direttore di Wired, insieme a Chris Anderson e David Rowan, a capo dell’edizioni americana e inglese della rivista, annunciano la sua candidatura. Internet concorreràinsieme a nomi illustri del mondo scientifico, intellettuale, culturale, nella lista per l’assegnazione del Nobel per la pace. Fra i maggiori sostenitori, c’è Shirin Ebadi, avvocato iraniana e pacifista. A proposito di Nobel.