Intervista realizzata da Giulia Quaranta Provenzano
Oggi la blogger Giulia Quaranta Provenzano ci propone l’intervista alla designer di gioielli d’autore, creazioni – quelle della milanese – caratterizzate dall’equilibrio di colori, forme, materiali e da una quasi maniacale precisione nella realizzazione dei soggetti. Francesca Mo è dal 1996 che dà vita a pezzi unici, nei quali è evidente la sua formazione quale architetta…
Buongiorno! Architetta milanese, lei è da anni nel campo della gioielleria d’autore… tant’è che crea gioielli unici dal 1996, dunque le domando subito qual è stato il cosiddetto motore interiore e l’intenzione che l’hanno portata a dedicarsi a ciò [clicca qui https://francescamogioielli.it/ per visionare il sito Internet di Francesca Mo]. “Buongiorno Giulia! Ho trovato recentemente alcuni monili intagliati nel legno e dipinti con acrilico (un anello e una o due spille) che avevo fatto da bambina, immagino come regalini per i compleanni di mia mamma. Ecco quindi che – anche se non mi ricordavo di ciò – probabilmente da sempre, fin da piccola, i gioielli mi incuriosivano… Ma poi tutto è nato qualche anno dopo, nel 1996 appunto, ed è stato qualcosa di assolutamente casuale. In studio (io sono un’architetta), tenevo sulla scrivania una ciotola contenente dei sassi trasparenti e alcuni scarti di vetri di bottiglia levigati dal mare – scarti di vetro ai quali le onde, lavorandoli, aveva dato una nuova valenza estetica-poetica e trasformati in pietre preziose. Mi sono detta <<Perché, dunque, non incastonarli nell’oro!?>> e, tale, è stato l’inizio della mia piccola storia con i gioielli. È poi arrivata la mia prima mostra, alla Galleria Jean Blanchaert”.
Da piccola di cosa, forse, immaginava d’occuparsi di professione una volta divenuta adulta e che bambina è stata? Inoltre le chiedo l’ambiente geografico e sociale (compreso quello familiare!) e l’epoca in cui vive, ma altresì i primi input ricevuti durante l’infanzia, quanto e come sono stati e chissà se sono fonte di ispirazione e determinanti per la sua creatività. “Da piccola, volevo diventare una scrittrice. Mi piaceva molto leggere e immaginavo che i miei romanzi sarebbero stati letti in tutto il mondo (ero leggermente megalomane…). Sono nata a Milano ma presto ci siamo trasferiti a Pavia, in una bella casa con un grande giardino che si affaccia sul Ticino. Mio padre Carlo Mo era uno scultore, mentre mia madre scriveva e traduceva libri. Le loro figure sono state, per me, di grande importanza. Mio papà mi ha, anzi, ci ha (siamo 4 fratelli) insegnato a guardare le cose da più punti di vista e senza condizionamenti. Ricordo le passeggiate, soprattutto d’inverno, lungo il fiume in cui raccoglievamo arbusti e tappi di bottiglia, fili di ferro e sassi, con cui poi creavamo le più varie immagini. Mia madre invece mi ha insegnato il piacere di leggere e di approfondire ed entrambi mi hanno mostrato cosa sia il grande amore e, di conseguenza, il rispetto per la natura”.
Lei ha affermato che – la cito – la sua ricerca si basa su due fondamenti e cioè l’osservazione di come la natura, nel tempo, si riappropria dei manufatti antropici stravolgendone le forme, le tinte e le proporzioni originarie e lo studio dell’accostamento cromatico dei colori. Ebbene ci racconta un po’ in che senso tale constatazione della restituzione, operata appunto dalla natura, della verginità primordiale ai vari manufatti antropici incide nella sua creatività e quali sono gli accostamenti cromatici dei materiali che predilige [clicca qui https://instagram.com/francescamojeweldesign?igshid=YmMyMTA2M2Y= per accedere alla pagina IG di Francesca Mo]? “Le mie collezioni sono molto diverse una dall’altra… dai vetri di mare ai gioielli in plexiglass, dagli anelli scrigno che contengono sabbie e movimenti di orologio a quelli simili a sculture, da quelli che celano pietre preziose al loro interno fino ad arrivare agli ultimi pezzi realizzati con scarti di plastica gettati sulle spiagge dalle onde. L’unicità del gioiello, a mio avviso, non deriva dalla materia preziosa ma sta nella composizione, nel colore e nella proporzione dell’oggetto stesso… e, su questo fronte, la natura – che rielabora e ridà nobiltà ai poveri materiali abbandonati dall’uomo – mi è di grande ispirazione e aiuto”.
Cosa rappresenta per lei e di cos’è sinonimo dal suo punto di vista la bellezza, l’artigianalità, l’arte più in generale e quale ritiene che sia il loro principale pregio e potere? “Qualsiasi forma d’arte rappresenta, per me, la miglior parte di ogni essere umano …Mi fa dimenticare il tempo breve che ci lega a questo mondo e, allo stesso tempo, provoca in me una sorta di empatia per la comune condizione dell’uomo. Il grande potere dell’arte appunto è che arriva direttamente al cuore senza passare dal cervello, insomma essa è più forte di noi e dunque non possiamo farne a meno”.
Quale ruolo le pare che giochi e quale le piacerebbe avesse l’immagine visiva nella società e nel veicolare significati nei più differenti campi e ambiti della vita – ad esempio a livello emozionale, d’impegno verso un qual certo “quid”, psicologico a riguardo di sé e di coloro con i quali ci si interfaccia? “Mi piacerebbe – e qualche volta ci sono riuscita – vedere che i miei oggetti regalano un’emozione… che, cioè, quando una persone li indossa è anche perché ha un filo emotivo con essi al di fuori dei materiali. Sarei molto felice di trasmettere questa mia passione a quei ragazzi che hanno teste pronte ad accogliere e a imparare”.
Lei è dell’avviso che i gioielli e gli accessori tutti – i loro modelli, colori, materiali e fantasie – abbiano o non abbiano un genere in base al sesso di nascita ossia pure, quando li progetta e poi li dà alla luce, ha in mente che una medesima sua opera possa essere indossata sia dalle femmine che dai maschi oppure invece segue certe categorizzazione che vogliono una distinzione tra cose “da femmine” e cose “da maschi”? “Circa questo argomento, ho da sempre un’idea molto chiara per il fatto stesso che i miei gioielli sono – almeno credo – già loro medesimi fuori da ogni schema convenzionale. A mio parere, ciascuna persona può e dovrebbe indossare quello che emotivamente ritiene meglio per sé”.
La sua primissima collezione di gioielli si chiama “Vetri di mare”, in vetro frantumato di bottiglia, modellato dalle onde, montato su oro sia rosso che giallo e bianco. Altra sua collezione di gioielli è poi quella denominata “Arlecchini” che consta di residui di piastrelle, anch’essi plasmati dal mare, in cui la terracotta contiene detriti di smalto colorato nonché paesaggi e frammenti di colore. Ci spiega, dunque, la genesi intellettiva ed emotiva di entrambe le collezioni e qual è la speranza, il messaggio, che ha voluto veicolare tramite esse? “Il messaggio che desidero veicolare, che cerco di trasmettere dal 1996, ora è quasi un monito… ossia la natura si riappropria delle lordure che gli uomini abbandonano senza alcun rispetto sulla Terra, ma alla lunga – se continuiamo a riempire gli spazi dei nostri scarti – essa non ce la farà più”.
Ennesima sua collezione di gioielli è quella che ha chiamato “Ghiaccio”, caratterizzata da una forma pulita e tagliente esaltata da tinte diverse e, spesso, accese. Nella collezione di gioielli denominata “Clessidre” invece i materiali che ha utilizzato sono scarti di sabbia e pietre semipreziose – che si muovono tra due sottili pezzi di vetro – che li contengono e in alcuni di essi, come nei piccoli deserti, riaffiorano di tanto in tanto ciottoli lucenti e minuscoli meccanismi di orologeria. Da una sua passione per la meccanica e i viaggi, muovendosi tra Paesi e paesaggi con ghiacciai e altri con deserti, hanno avuto origine tali due sopracitate collezioni o da quale altro motivo nello specifico? “La collezione <<Ghiaccio>> è puro colore – che, per me, è fondamentale. Le forme squadrate e rigide penso che derivino dai miei studi di architettura. I viaggi, sia grandi che piccoli, hanno avuto e hanno una grande importanza per quello che mi concerne perché mi danno sempre altri ennesimi scorci, altri nuovi e inediti punti di vista rispetto ai precedenti”.
Nella collezione di gioielli che si chiama “Stones” ci sono pietre semipreziose di molti colori, tagliate a mano mentre altre collezioni sono di bracciali, orecchini e collane composti da tante piccole tessere di bronzo, argento e oro ma altresì altre con intrecci di tessuto e parti rotanti. Il gioco e l’immaginazione quale declinazione e valore hanno nella sua vita quotidiana e ciò anche in relazione al rispetto per il Pianeta che ci ospita e al lusso piuttosto che alla modestia e viceversa? “Vorrei parlare del gioco ché ho avuto e ho, nonostante l’età, la grande fortuna di divertirmi con il mio lavoro e di entusiasmarmi quando realizzo che un oggetto è proprio come me lo immaginavo. È, questa, la cosa più bella del mondo per me”.
Infine, prima di salutarci, vuole condividere con noi quali sono i suoi prossimi progetti e qualche eventuale novità in anteprima? “La novità, in anteprima, è che creerò un gioiello con la ceralacca (che presenterò prossimamente) …E, a settembre, la mia partecipazione agli eventi di Brescia e Bergamo quali capitali dell’arte”.
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