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GIOVANNI FALCONE – Le sue idee camminano anche sulle gambe di mio figlio

 di Ornella Fanzone

Diciassette anni oggi, una data che noi siciliani non dimenticheremo mai e mai nessun italiano di buon senso. Non faccio nessuno sforzo nel riportare alla mia mente quell’afoso 23 maggio del 1992.  Ero incinta del mio primo figlio, Luca.

Quel pomeriggio, nel terrazzino di casa mia, ero alla  spasmodica ricerca di una fresca  brezza che, vista la temperatura, rimaneva un mero desiderio.

 L’estate prepotentemente aveva fatto irruzione, proprio come in questi nostri giorni, con un anticipo che faceva presagire i mesi che poi sarebbero seguiti, tra i più caldi degli ultimi anni. Stancamente e quasi annoiata, la tv  trasmetteva un programma che nessuno della casa, me compresa, ascoltava. Ciascuno impegnato in attività evidentemente più interessanti, io … intenta a fantasticare sul futuro del mio tanto desiderato bambino, che in agosto, avrebbe terminato il suo “viaggio” dentro di me, per venire alla luce.

Alla trasmissione che nessuno di noi degnava d’attenzione però, di lì a poco era seguito il telegiornale, con la sua apertura drammatica, attraverso la  voce concitata di un telecronista, che, visibilmente scosso, annunciava la drammatica notizia di quella che apparve subito a tutti un’immane tragedia, per la gravità umana e per il simbolico significato che l’evento rappresentava: un duro colpo al cuore dello stato, da  parte di quell’anti-stato che, l’operato di uomini come Falcone , aveva contribuito a destabilizzare.

Ero una madre trepidante, con qualche ansia in più legata alle contingenti problematiche  della mia gravidanza,  che mi erano state assegnate dalla sorte. Ciò però non aveva minimamente scalfito l’intensità e  la bellezza dell’avventura meravigliosa che stavo vivendo.

“Lavoravo” a questo progetto con qualche difficoltà, ma ero una madre consapevole e libera nella sua scelta di procreare, pertanto le paure, le ansie, i pericoli a cui io e mio figlio andavamo incontro insieme, non erano riusciti a privarmi di quella magica, inspiegabile e, se vogliamo, insensata sensazione di onnipotenza di cui ogni madre fa esperienza, accostandosi all’infinito, quando custodisce e protegge dentro di sé un figlio.

Di colpo però la morte  mi  aveva riportato, bruscamente,violentemente, alla mia finitezza, ai limiti dell’essere umano, ad una drammatica visione, ad uno scenario di brutalità insopportabile e lo sgomento si era impossessato di ogni fibra del mio corpo ….

Non m’aspettavo, assieme al mio bambino, di dover precipitare in un buco così profondo di angoscia e sconforto …

 Il dolore fu grande e mi investì in piena faccia , facendomi barcollare, come  un vento caldo che proveniva da Capaci, sprigionato  dall’esplosione di  cinque tonnellate di tritolo, che in un solo attimo avevano spezzato cinque vite umane e con esse  le  speranze di tanta gente onesta e fiduciosa …

 Rimasi ammutolita, impietrita e cominciai a “parlare” al mio bambino.

 Gli chiesi innanzitutto scusa. Volevo presentargli un modo sicuramente più bello di quello che in quegli istanti si scontornava  sotto i miei occhi.

Ma mi sono sempre detta, e ne sono fermamente convinta, che ogni esperienza, piccola e grande, non attraversa le nostre vite invano.

Che per diventare materia trasformativa ogni esperienza deve essere assimilata, digerita e convertita, come accade al cibo, quando si trasforma in molecole di vita. Cominciai così, da quel momento e sempre durante la sua crescita, a raccontargli di cosa quest’uomo aveva fatto per la sua terra, così bella e così martoriata … Che lottava la mafia, e, con essa, l’ingiustizia, la sopraffazione, l’ottusità, l’indifferenza, la vigliaccheria, la disonestà. Che col suo impegno, votando la sua intera vita, instancabilmente, alla lotta alla mafia, per insegnare a credere nell’onestà, nella giustizia e nel trionfo di una verità condivisa e giusta, aveva contribuito a risanare,  a migliorare la nostra realtà. Che aveva indicato una strada che tutti i siciliani onesti, tutti gli italiani che credono nella dignità dell’uomo, devono seguire, affinché il riscatto dell’uomo sia realizzabile, affinché si invertano rotte che sembrano immutabili.

Ogni evento si inserisce tra due poli: quello del destino e della memoria, in una continuità che solo col nostro apporto quotidiano riusciamo ad attuare.

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Ecco che la morte di  Giovanni Falcone ha innescato una determinazione in più, in me madre ed educatrice. Il non dimenticare mai e non stancarmi mai di ribadire le verità che si librano alte da un sacrificio così grande, che assurge ad eroico esempio di vita.

Luca sa che la vita è una conquista seria, anche faticosa. Che, nonostante le brutture a cui assistiamo giornalmente, nonostante l’indifferenza, votata all’alienazione, allo svuotamento di significato di tanti gesti  che si dispiegano sotto i nostri occhi, l’essere umano deve continuare sempre a credere di poter vedere trionfare il bene, a dispetto di qualunque illogico comportamento. Adoperarsi in prima persona, non lamentarsi senza agire, non recriminare, nascondendosi dietro una sterile critica, senza “scendere in campo” coraggiosamente , con passione e sentimento. Falcone con la sua testimonianza di vita ha dato conferma costante che l’impegno, coraggioso e severo, dà dei frutti, produce cambiamenti concreti che centuplicano, in un processo a catena, le potenzialità  nascoste di ogni singola conquista. Ogni tentativo, contiene già “in nuce” un successo percorribile.

 Ho affermato e ribadito sempre a Luca che la cultura, il progredire nella conoscenza, ci riscatta dalla cecità e ci tutela dalla schiavitù dei potenti, ci rende liberi e grandi, dotandoci degli strumenti per elaborare correttamente le esperienze che ci derivano dalle difficoltà, restituendoci sempre, e comunque, a noi stessi.

 Che, ogni giorno, con il nostro operato, con le nostre scelte responsabili, progettiamo per noi e per gli altri una strada su cui muovere i nostri passi per realizzare la nostra natura più alta.

 E ancora, che non possiamo, né mai dobbiamo demandare ad altri la realizzazione del futuro che ci piace apparecchiare per la nostra vita.

Che saper credere in un ideale di giustizia, come  Giovanni Falcone ed anche Paolo Borsellino, conferisce il coraggio di poter parlare ed agire da uomini liberi, senza mai arretrare davanti alle prepotenze, alle prevaricazioni.

 Che occorre credere nell’onestà e nella correttezza a tutti i costi e saper rinunciare anche ai vantaggi più allettanti, se essi si sostanziano di realtà indirizzate al compromesso e allo svilimento dei principi più alti a cui l’uomo deve aspirare.

 Che la legalità la perseguiamo e la onoriamo non solo quando rispettiamo le leggi che regolano la  civile convivenza, ma anche quando impariamo ad agire con buona educazione e garbo con i nostri simili, nel rispetto delle differenze.

 Luca ha appreso che è solo  coltivando ogni giorno, col nostro personale e coerente comportamento, il disprezzo per ogni atteggiamento mafioso, che possiamo ottenere la legittima realizzazione dei nostri diritti, in ogni ambito, da quello personale-esistenziale, a quello sociale e lavorativo, convincendoci  che occorre lottare ed imparare a ribellarci per tutto ciò che ci ripugna, che si impiglia nelle maglie della nostra coscienza di uomini liberi.

Vedo tutti i giorni davanti a me un ragazzo onesto, coraggioso, cosciente e responsabile delle sue azioni. Libero. Buono. Pulito.

Mio figlio. E, con lui, tutti quei giovani che hanno  saputo sviluppare, da questi eventi drammatici, la coscienza di uomini liberi.

 Non ho mai dimenticato quel momento di 17 anni fa, in cui, giovane madre, mi trovai ad un passo dall’ interpretare, in quel drammatico evento, segnali di cattivo auspicio per questa giovane vita che si apprestava a compiere il suo passaggio in una realtà tanto devastata e così brutalmente offesa. Non certo quella che ogni madre, di qualunque parte della terra, desidera offrire alla propria creatura.

 Allora fui tentata di farmi inghiottire dallo scoramento, dalla delusione, dal pessimismo, che niente può mutare, che un evento del genere ci riporta indietro. Il  venire al mondo di mio figlio, in quel preciso momento storico, mi caricava di tensione e paura. Mi faceva sentire piccola e in colpa.

Poi … non ho mai più avuto paura …

Ho offerto a mio figlio, con onestà e dedizione, tutto il mio amore, e, con esso, ogni sostegno possibile e costruttivo per aiutarlo a diventare una Persona.

 E continuo ad insegnargli a credere, con sincero ottimismo e convinta fiducia in se stesso e nel prossimo, che si può sperare e lavorare sempre per un avvenire migliore, per sé e per gli altri.

 

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