Gianluca Giagnorio, in arte MaLaVoglia, intervista Giulia Quaranta Provenzano
Oggi vi proponiamo la lettura dell’intervista che Gianluca Giagnorio, in arte MaLaVoglia, ha fatto alla poliedrica trentatreenne. Il primo è cantautore, che proprio Giulia Quaranta Provenzano ha intervistato spesso in questo 2022.
Come vivi l’arte? In particolar modo, la vedi e la senti oppure ti limiti a darne un pensiero soggettivo? “Quando mi viene chiesto un consiglio su cosa e come commissionare o creare una base, oppure un testo, invito sempre a non tradire se stessi… anche perché, in quanto animali, all’istinto non si riuscirà mai a mentire con successo… l’istinto è immancabilmente un passo avanti a ogni scusa o motivazione che si possa addurre per giustificare la debolezza di quello che è un tarocco, una contraffazione. Per ciò che mi riguarda, a maggior ragione quale diplomata secondo Metodo Mascialino, sono convinta che si debba perseguire la verità e che – sebbene ognuno abbia peculiarità ben precise e diritto all’opinione soggettiva – almeno gli addetti ai lavori e i loro consiglieri debbano ambire e riconoscere pubblicamente l’esistenza del significato oggettivo dell’arte e dei testi artistici… contribuendo così alla conoscenza dei mondi psichici del singolo, nonché al loro apprezzamento come espressione delle maggiori profondità insite nella personalità degli umani”.
Che cosa noti in un artista che possa coinvolgerti nella sua scoperta? Qual è la cosa più rappresentativa che, secondo te, non dovrebbe mancare a questi? “Qualsiasi parere è basato su un gusto personale e su alcuni assunti, invece che altri, utilizzati a metro… pertanto, per affinità o per antitesi, ogni parere appunto è specchio di chi si è o di chi si vorrebbe essere, divenire. Io, sia come fotografa d’arte che come autrice di testi di canzoni, sia come poetessa che come romanziera, vengo rapita e mossa dagli ossimori e proprio questi capto immediatamente quando vi sono in chi leggo, in chi osservo, in ascolto. Poi – dato che il mettermi alla prova è una costante della mia esistenza in quanto è essa stessa che lo esige da me dal giorno in cui sono nata puntuale al termine della scadenza e sono, però, stata subito portata al centro immaturi – il mio interesse va altresì a coloro i quali sono al mio opposto poiché mi forniscono una preziosa occasione per conoscere (e talvolta imparare anche) qualcosa che da sola non sarei mai stata neppure in grado di prendere in considerazione di approcciare e avvicinare. É un’umile quanto instancabile curiosità e sete d’esplorare, d’esperire profondamente e di mettermi in discussione che mi avvicina a chi impasta i propri giorni d’immaginazione ed è, non di meno, la stima per chi non si nasconde per convenienza che non mi ci allontana a prescindere dalle sue antitesi o no. Quello che più apprezzo è la sincerità, il che non significa che un cantautore o un musicista debba andare incontro alle mie discutibili preferenze e che un artista non possa crearsi un personaggio ma è bene che lo faccia se è una sua volontà e non se risponde al solo dettato di altri. Ammetto, inoltre, che è la dannazione a sedurmi come null’altro riesce… ipotizzo che il motivo sia che sono gli animi tribolati quelli che vanno incredibilmente a fondo in un instancabile interrogarsi che è, piuttosto, una lotta tra chiaroscuri non pacificati (per quanto sondati e auto-testati) e… di conseguenza, affascinanti per me che è nella tensione che trova stimolo al movimento. Il moto non è, difatti, suggerito e non si è incentivati verso di esso se si è incuranti e lontani dai suddetti ossimori…”.
Nel tuo passato hai amato più l’idea dell’amore, o ti sei davvero innamorata di qualcuno? “L’unico amore che conosco è il verbo all’infinito, è amare. L’amore non ha davvero modo, né tempo, né declinazione bensì é l’assoluto che non è mosso da ragione e non si accontenta della forma poiché desidera ed è connotato da moto perpetuo e ascendente. Amare è la cometa che non ci si aspettava di seguire fedeli alla sua scia, comparsa alla finestra in una notte non di San Lorenzo. Se davvero si ama, si è in continuo viaggio, si è creatori di un qualcosa che è figlio delle stelle e ci si avvicina cioè all’eterno. La prigionia del finito e i limiti sono umani, non di chi però è un padre o una madre ossia di chi dà vita. Ciò che non è amare è tutto quello che tenta di incasellare nella prima citata forma, statica e definita, quindi limitata e limitante – staticità che è più propria della morte… E proprio di fronte all’incontrovertibilità della morte terrena di personalità rare é l’unica circostanza nella quale piango. Lacrime, le mie, di colei che sente che si è persa la fortunata possibilità di godere del meraviglioso e non scontato. Morte, tuttavia, che al contempo rende immortale un’intelligenza e forza di volontà, immaginazione e passione, eccelsa. Amo ossia le menti, i corpi, che anche temendo qualcosa guardano negli occhi e si mettono davanti ai loro demoni – affrontandoli nonostante tutto e nonostante tutti, nonostante la scomodità di sporcarsi le mani e il viso. Amo chi si immerge nel dolore, nella sofferenza, nel dubbio lancinante e non vi soccombe bensì continua a danzare sotto il temporale e ha fiducia nel venire alla luce di un meraviglioso arcobaleno qual ponte verso nuove avventure. Amo quello che non si può nemmeno sfiorare ma che si tatua nella carne come soltanto l’invisibile sa fare; amo quell’impalpabile che è tensione e motore per coloro che osano e, con coraggio e determinazione, portano a consapevolezza e ne fanno atto che l’amare è sinonimo di rischio e il rischio é un vocabolo neutro… Sta infatti a ciascuno di noi di tale elastico – sì, considero e vedo il rischio come un elastico! – renderlo tesoro, proiettandolo e accompagnandolo contemporaneamente in avanti e non tirandosi indietro con esso per poi spezzarsi così solamente. (…) Ricordo che quando era un’adolescente, già scrivevo sul giornalino della scuola e su alcune testate locali. Commisi forse l’errore di non considerare mai la mia penna quale mezzo per un ricavo economico pertanto conducevo ricerche, analizzavo, argomentavo e soprattutto interrogavo e mi interrogavo e dopo scrivevo pezzi su pezzi senza mai pensarlo ed esigerlo come lavoro, retribuito: era un’esigenza, uno sfogo… e lo è ancora, soltanto che adesso mi indigna l’aver portato a coscienza che invece qualcuno guadagna sulla mia anima, sulla mia sensibilità, sulla mia dedizione, sul mio tempo, sulla mia passione e mi sfrutta ovvero come fossi la meretrice del pappone. Beh, al di là di codesta ammissione, sono ritornata agli anni della scuola media e del liceo per dire che fu allora che scrissi un articolo in cui sostenevo che l’amore è un’illusione, non esiste. Probabilmente quella ragazza tanto timida, riservata e sensibile quanto arrabbiata per non poche cattiverie e non imparzialità che ha dovuto combattere esiste ancora e ancora, in un certo qual senso, crede che l’amore sia come sabbia che scivola tra le dita… è tuttavia un fuoco fatuo soltanto se considerato quale sostantivo, non quale appunto verbo all’infinito… perché sicuro, se si cerca di razionalizzare e vivisezionare un determinato “quid” esso è già morto. Ogniqualvolta in cui si fa i farmacisti, i matematici, gli economisti, gli assicuratori è poiché si vogliono trovare ragioni a supporto di un’incognita e di un conto che è costituito unicamente da addendi egoistici e l’egoismo, il vantaggio, sono proprio ciò per cui affermai che l’amore non esiste. Se si prova un qual certo piacere e lo si indaga e rincorre ossessivamente, lo si pesa e soppesa, propendo a ipotizzare che sia in quanto non è l’incontenibile e l’assoluto che muove… non si è cioè invasi e attori dell’amare”.
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