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GRAMMATICHE URBANE – La città perduta e da ritrovare, nell’arte di Francesca Borgia

– di Corrado Speziale –   

L’artista messinese, sempre sensibile ai temi sociali, nella mostra personale tenuta nello spazio allestito sul viale S. Martino, attraverso le sue opere ha rappresentato le criticità urbane che incidono negativamente nelle relazioni umane e nel rapporto tra il cittadino e il luogo in cui vive. La trattazione del tema, attraverso la cura dei dettagli, si articola tra indignazione e proposta, da una città perduta e da ritrovare, a quella ideale, che non può prescindere da scelte condivise e dalla difesa dell’ambiente. Lavori in ceramica ingobbiata, dipinti in acrilico su tela e installazioni realizzate con materie naturali e autoctone, esprimono un linguaggio forte, ben comprensibile, dal senso compiuto.  

Urbanistica: materia per pochi o per tutti? Chi disegna la città? Perché il cittadino deve “subire” scelte poco consone al proprio modello di vita con pregiudizio per le relazioni umane all’interno del tessuto urbano?

“In grammatica generalmente si attua la correttezza delle regole per esprimersi al meglio. (…). Perché l’urbanistica non torna, col suo intervento, a coniugare uomini e spazio?”

Questi e tanti altri interrogativi pongono le basi per riflettere su un argomento che Francesca Borgia, artista messinese da sempre sensibile ai temi sociali, ha offerto ai cittadini di Messina, proponendo “Grammatiche Urbane”, mostra intrisa di mille spunti e motivazioni che riguardano la città dello Stretto ma che ben si adatta a tante altre realtà urbane.

Avevamo lasciato l’artista alla fine del 2021 con “Connessioni”. La ritroviamo adesso, in un capitolo successivo, alla ricerca di quelle “relazioni” perdute dentro le complessità e i grovigli di una città come Messina, densa di problemi e contraddizioni, a fronte di bellezze naturali e paesaggistiche uniche al mondo. La mostra fonda le proprie tematiche sul territorio, sul rapporto tra la comunità cittadina e l’urbanistica, intesa come strumento tecnico e politico. Un regolatore, in questo caso “sgrammaticato”, per rendere l’idea.

Il cittadino, assuefatto, se non addirittura ignaro e inconsapevole, subisce scelte e trasformazioni parziali e spesso precarie che ne compromettono la qualità della vita. Condizione sociale che richiede riflessione, consapevolezza, indignazione. E ancora: sogni, visioni, idee e proposte. Francesca Borgia dal taglio delle sue scelte artistiche dimostra d’avere prospettive chiare, ma deve “distanziarsi” dai luoghi e dagli oggetti per poterli descrivere con obiettività.

L’artista non si perde in retoriche varie e dispersive, non ricerca cause o effetti, ma va in fondo al tema attraverso il linguaggio dell’arte, facendo leva su quanto di meglio forme e lavorazioni possano offrire per arrivare alla mente e al cuore del visitatore. II racconto della quotidianità origina da elementi urbani immortalati, che fanno riflettere: prospettive negate, barriere, scale, ringhiere, percorsi contorti, calchi di caditoie in ferro, muri che contrastano e isolano, serrande chiuse, simboli e dettagli di una città privata del bene comune, dove dominano gli “inciampi visivi”. Elementi di una città in perenne difficoltà, deficitaria di spazi che ne migliorino la vivibilità, che discendano da scelte collettive condivise. Città che, innanzitutto, non sta recuperando il rapporto con il proprio mare.

La mostra consta di spazi separati ma connessi dentro un’elaborazione di ambienti in divenire che partono dalla criticità per giungere alla città ideale, all’utopia possibile, al luogo che desideriamo.

Opere in ceramica ingobbiata e invetriata, di piccolo taglio, realizzate nell’ultimo anno, svelano e improntano perimetri di città costituita da comparti vuoti, spazi negati, aree intercluse, non comunicanti tra loro. Un luogo / non luogo, di isole senza legami e relazioni che richiama sentimenti e rimpianti: “La città portava come disegno un’intelligenza di connessioni; lo sguardo, sempre in movimento, scarrellava tra la Falce e Capo Peloro…” scrive l’artista nella sua nota. Non solo la città: l’intera Sicilia, che offre il proprio volto da sola su una parete, è coinvolta, svuotata della sua anima, dei figli, del futuro.

Ma a seguire c’è la natura che concede speranza: un tappeto di mare che regala riflessi di luce, con a fianco la presenza inconsapevole di pesci in una vasca di vetro; la materia autoctona, le colline viste in un’installazione con pietre e terra dei Peloritani. Mare e colline, due preziosità rare che ancora stentiamo ad apprezzare: ce lo svela l’arte materica di Francesca Borgia, contornata da ampie tele dipinte in acrilico che danno respiro.

Alla fine, si coglie l’habitat ideale, il verde che riempie i vuoti e si lascia alle spalle le aridità del passato, i suoni e gli effetti della natura soppiantano i vecchi grigiori. È l’effetto della riconciliazione del cittadino con gli spazi che egli stesso abita, adesso rivitalizzati.

È questione di “Amor loci” – “Suolo, ambiente, cultura civile”, l’opera di Paolo Pileri ed Elena Granata (R. Cortina ed.), da cui la mostra trae due citazioni.

In virtù dell’argomento, è risultata significativa la presenza, tra i partner dell’iniziativa, oltre alla Trapper onlus, della Fondazione Architetti nel Mediterraneo e dell’ordine degli Architetti di Messina.

Redazione Scomunicando.it

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