Questo articolo è dedicato non ai tifosi da tastiera delle opposte fazioni mediorientali, ma a chi crede ancora che la memoria abbia un valore.
È dedicato a una donna giovane, intelligente, coraggiosa: Maria Grazia “Graziella” De Palo.
Una giornalista di appena 24 anni che non si accontentava dei comunicati stampa, non cercava interviste accomodanti, non si piegava davanti al potere. Indagava. Scavava. E proprio per questo è scomparsa nel nulla, insieme al collega Italo Toni, a Beirut nel settembre del 1980.
La loro colpa? Cercare la verità. Non una verità qualsiasi, ma quella che faceva tremare i palazzi romani: traffici d’armi, diplomazia parallela, il Lodo Moro, gli intrecci tra servizi segreti italiani e le organizzazioni palestinesi. Tutto ciò che il potere, ieri come oggi, preferisce sotterrare sotto tonnellate di sabbia e segreto di Stato.
È la rappresentazione plastica della vigliaccheria della Repubblica. Quarantacinque anni di depistaggi, omissioni, rimozioni. Quarantacinque anni in cui i familiari hanno combattuto quasi da soli, senza una parte politica capace di rivendicarne davvero la memoria. Perché? Perché De Palo è stata uccisa dalla parte “giusta”. Ed è questa la bestemmia che non si può pronunciare: quando la vittima incrina la narrazione amica, il silenzio diventa la regola.
La sinistra non la rivendica, la destra non la onora. Il centro non esiste.
Tutti si tengono ben lontani.
Troppo scomoda, Graziella. Troppo bruciante ricordare che un’Italia inginocchiata davanti agli equilibri internazionali ha sacrificato due giornalisti pur di non disturbare né i falangisti né l’OLP, né i traffici d’armi né i giochi di intelligence.
E allora Graziella resta lì, confinata in una memoria privata, custodita con dignità dai suoi familiari e da pochi amici che hanno avuto il coraggio di non adeguarsi al silenzio.
Intanto, esperti, opinionisti e tifoserie social continuano a urlare slogan prefabbricati su Israele e Palestina, dimenticando che in quel groviglio di guerre e di ipocrisie diplomatiche è morta una ragazza italiana che aveva solo la colpa di voler raccontare i fatti.
La sua storia ci dice una cosa precisa: che la ragion di Stato in Italia vale più della vita dei cittadini, più della libertà di stampa, più della verità. E che la memoria, se non serve a sostenere il marketing politico di qualche fazione, viene sepolta.
Graziella De Palo non aveva paura di toccare i fili dell’alta tensione.
Noi, invece, continuiamo ad avere paura perfino di ricordarla.
È questa la nostra vergogna nazionale.
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