Caccia italiani bipartisan agli Emirati dei diritti negati
Per Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana condannata a morte per la lapidazione (poi pena tramutata in impiccagione… ma di fatto non cambia la sostanza ndr), si sono mobilitati intellettuali e rappresentanti di tutte le forze politiche.
Un coro unanime, legittimo, doveroso, contro una pratica indegnamente crudele, barbara, criminale. Sakineh non è purtroppo l’unica donna in attesa di essere “giustiziata”.
E l’Iran non è certo l’unico paese dove la lapidazione viene regolarmente applicata.
Nella lista nera degli stati lapidatori compaiono alcuni dei principali partner economico-industriali italiani, come l’Arabia Saudita, la Nigeria, il Pakistan e gli Emirati Arabi Uniti (EAU).
Alcuni di essi, rappresentano un vero eldorado per il complesso militare industriale nazionale (leggi Finmeccanica).
Ai paesi dove vige la lapidazione, sono state esportate nel 2009 più del 50% delle armi prodotte in Italia, con l’Araba Saudita al primo posto (valore delle commesse 1.100 milioni di euro), seguita poi dagli Emirati Arabi (176 milioni di euro).
Per facilitare l’export militare agli Emirati, il 28 ottobre 2009 il Parlamento italiano, con il voto unanime delle forze di centrodestra e di centrosinistra (488 favorevoli e 14 astenuti), ha ratificato l’accordo di “cooperazione nel settore della sicurezza” firmato sei anni prima dall’allora ministro della difesa Martino e dal principe ereditario di Dubai e ministro della difesa degli EAU, sceicco Mohamed Bin Rashid Al Maktoum.
L’accordo in particolare «esemplifica le procedure di trasferimento di armamenti, quali aerei, elicotteri, carri armati e altre componenti terrestri, munizionamenti, bombe, mine, missili, esplosivi e propellenti, satelliti, sistemi tecnologici di comunicazione e per la guerra elettronica».
Scambi che potranno avvenire anche in deroga alla legge che regolamenta l’export di armi italiane: sulla base «di intese tra le parti» sarà infatti possibile trasferire i materiali bellici acquisiti «a Paesi terzi senza il preventivo benestare del Paese cedente».
L’M-346 “Master” è un velivolo sviluppatosi da un prototipo prodotto da una joint venture (successivamente sciolta) tra lo Yakovlev Design Bureau di Mosca e l’allora Aermacchi, destinato a fare da addestratore per l’aeronautica militare russa. Oggi al programma del bimotore sono pure coinvolte altre aziende del gruppo Finmeccanica come Selex Galileo, Alenia SIA, Sirio Panel e Selex Communications.
Gli Emirati Arabi sono il primo paese estero che ha ordinato i caccia “made in Italy”. Nel luglio 2007, alcuni M-346 avevano già condotto sui cieli arabi una campagna di prove in volo in condizioni di alta temperatura, consentendo all’aeronautica locale una prima valutazione operativa dei mezzi da guerra.
Nonostante l’ampia copertura mediatica per la firma del contratto di vendita dei 48 M-346, tra gli industriali e i politici italiani serpeggia il timore che il trasferimento dei velivoli sia tutt’altro che in dirittura d’arrivo e che anzi ci sia il rischio di un ripensamento da parte degli Emirati. Il direttore generale di Finmeccanica, Giorgio Zappa, nega lo stop nelle trattative, anche se ammette che per «le dovute intese con il cliente» bisognerà attendere «i prossimi mesi».
L’attenzione per gli interessi e i fatturati dei mercanti d’armi è vissuto nel più completo stile bipartisan da parte del mondo politico nazionale. Così tre parlamentari del Partito democratico, gli onorevoli Daniele Marantelli, Fausto Recchia e Francesco Boccia, il 15 giugno 2010 si sono fatti promotori di un’interpellanza urgente al Presidente del Consiglio e ai ministri degli Esteri
e della Difesa. «Tutto sembrava procedere per il meglio tanto che si nutrivano speranze di una conclusione positiva della commessa in occasione del Salone Aeronautico di Dubai, nel novembre 2009», scrivono i tre. «Il 22 novembre 2009 il Presidente del Consiglio doveva recarsi negli Emirati per contribuire a perfezionare l’accordo, ma la sua missione fu rinviata e, ad oggi, non risulta che il contratto tra Alenia/Aermacchi e gli Emirati sia stato sottoscritto. Questa situazione di stallo suscita comprensibili preoccupazioni tra i lavoratori di Alenia/Aermacchi e le centinaia di piccole aziende dell’indotto; tale contratto permetterebbe tra l’altro un cospicuo rientro del finanziamento concesso dal Ministero dello Sviluppo Economico per la realizzazione del progetto».
I parlamentari del Pd affermano incautamente che «esportare nuovi prodotti in mercati extraeuropei è una scelta indispensabile per l’Italia», individuando proprio negli EAU un «decisivo cliente di lancio» dei velivoli da guerra. «Chiediamo di sapere – concludono Marantelli, Recchia e Boccia – quale sia lo stato delle trattative e la ragione delle difficoltà attuali del contratto con gli Emirati Arabi; e cosa si intenda fare per favorire una positiva evoluzione della vicenda, che ha implicazioni commerciali, finanziarie e occupazionali rilevanti per l’intero Paese».
Neanche se denaro e commesse d’armi provengono da paesi che sanciscono nei loro ordinamenti la lapidazione e altre forme di esecuzione capitale o dove è sistematica la violazione dei più elementari diritti umani. Secondo l’ultimo rapporto annuale di Amnesty International, solo nel 2009 negli Emirati Arabi sono state condannate a morte 13 persone «anche se non ci sono state notizie di esecuzioni». Nell’aprile di quest’anno, 17 prigionieri indiani sono stati condannati a morte per l’uccisione di un cittadino pakistano. I prigionieri – denuncia Amnesty – avrebbero subito svariate torture e «sarebbero stati obbligati a recitare in un video fasullo per incastrarli». Stando alle informazioni fornite da Lawyers For Human Rights (LFHRI), i prigionieri «sono stati colpiti con manganelli, privati del sonno per giorni, sottoposti a forti scosse elettriche e obbligati a rimanere in piedi per ore su una sola gamba». Un imputato di un processo per terrorismo ha asserito di essere stato torturato durante la detenzione pre-processuale: legato con cinghie ad una sedia elettrica, sarebbe stato «percosso sulla testa fino a perdere conoscenza». Torturare sarebbe un passatempo di alcuni dei membri più autorevoli della famiglia regnante di Abu Dhabi. Nel maggio 2009, le autorità hanno arrestato lo sceicco Issa bin Zayed Al Nahyan, dopo che era stato trasmesso un filmato del 2004 che lo riprendeva mentre torturava un uomo con un pungolo elettrico per bestiame. Lo sceicco è uno dei più stretti congiunti del capo di stato degli Emirati Arabi, Khalifa bin Zayed Al Nahyan.
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