Un doveroso omaggio a chi sfilava per un’idea.
C’erano anni in cui il Primo Maggio a Brolo non era solo una giornata di riposo o una scusa per una gita fuori porta.
Era un giorno di battaglia e orgoglio, una marcia di dignità lungo le vie polverose del paese, guidata da uomini semplici, con le mani segnate dalla fatica e lo sguardo fiero, pronti a sfidare un potere che li voleva muti e invisibili.
E ricordiamo i fratelli Lenzo, Vittorio e Michele, “scendevano” dalla contrada, portando con sé il peso del lavoro nei campi, ma anche la bandiera rossa del sogno socialista.
Dietro di loro, la banda suonava l’Internazionale, dando voce a chi voce non aveva. In quel corteo, magari piccolo nei numeri, ma immenso nello spirito, camminavano i volti veri della festa del lavoro: Giuseppe e Turi Lupica, Tindaro Castrovinci, i Giuliano, i Bonina… e tanti altri, senza dimenticare, ma con ruoli diversi, i socialisti storici: fratelli Ziino, Pippo Piccolo, Rino e Duccio Lenzo, e l’anarchico Arturo Caranna.
Era un altro mondo. Più duro, più ingiusto. Ma anche più sincero.
Nelle piccole fabbriche senza sicurezza, nei magazzini impregnati di vapori tossici, nelle fornaci dove la calce bruciava la pelle e negli agrumeti dei “padroni” si sudava senza diritti. Operai, braccianti, pescatori, con le scarpe rotte tutto l’anno e le idee chiare in testa: chiedevano, anche a Brolo, solo lavoro, rispetto, voce.
Eppure quei cortei, come quello del 1969 per ricordare i morti di Avola, mettevano paura. Le case si chiudevano al passaggio. I notabili del paese ridevano dietro il giornale o la briscola. Ma loro, i lavoratori, camminavano lo stesso. Perché non c’era una piazza, non c’era un dopolavoro, non c’era nulla: solo la Camera del Lavoro, un baluardo di difesa dei diritti, e un ideale incrollabile.
Il coraggio di ricordare
Nel 2009, Brolo provò a sanare una ferita aperta da decenni. Riabilitò i quindici operai condannati per i moti del 1921, scoppiati per il licenziamento di Carmelo Mirenda e per le condizioni di miseria diffusa. Ci fu una bambina uccisa, Angela Barà, ci fu sangue, repressione, silenzi. Ma finalmente, dopo quasi un secolo, ci fu anche un riconoscimento.
Lo si fece con giustizia sociale e coscienza storica.
Non per vendetta, ma per Verità.
Perché la Storia – quella con la “S” maiuscola – è fatta dalle voci dei dimenticati, dai passi dei braccianti, dai pugni chiusi alzati non per odio, ma per dignità.
Un docu-film che è un pugno allo stomaco
A raccontare tutto questo con straordinaria potenza è stato il docu-film di Italo Zeus, una lente puntata sulle ingiustizie, le passioni e i silenzi colpevoli di un tempo che pare lontano, ma vive ancora nei ricordi di chi c’era.
Un film – l’iniziativa partì dalla Sak be, mentre era sindaco Salvo Messina – da rivedere ogni Primo Maggio, da trasmettere a Scuola, da raccontarlo ai ragazzi brolesi, che diventa sociologia, storia vissuta, per capire davvero cosa significhi essere dalla parte dei lavoratori.
Oggi, tra nostalgia e memoria attiva
Oggi il corteo non c’è più.
Ma resta la memoria viva di chi ha camminato controvento. Resta l’esempio dei Lenzo, dei Lupica, dei Castrovinci. Resta il suono della banda che, anche solo nella memoria, continua a marciare.
Perché la festa del Primo Maggio, a Brolo, non è un retaggio del passato. È un monumento vivente di coraggio, fierezza e rivendicazione. È la storia di un popolo che ha saputo dire: “Noi ci siamo. Anche se pochi, anche se soli, marciamo. Per tutti”.
E questo, in fondo, è il senso più profondo del Primo Maggio.
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