– di Corrado Speziale –
200 pasti al giorno, 365 giorni all’anno, 35 anni di storia dedicata a chi ha bisogno: “La risposta sincera e radicale a chi non ha la forza e la possibilità di mettere un piatto in tavola”.
“Se facciamo poco ciascuno, insieme si può fare tanto”. Questo sostiene da sempre Padre Claudio Marino, direttore dell’Istituto Antoniano Cristo Re, sede della Città della Carità, struttura ampia e polifunzionale, la più grossa in questo settore a Messina, suddivisa in varie attività. Tra queste spicca la Mensa del povero, intitolata a Padre Annibale. Numeri importanti, in tutti i sensi, che purtroppo segnano un andamento preoccupante in virtù della crisi economica che stava investendo molte famiglie già in tempi pre-Covid, figuriamoci adesso. “Purtroppo – scrivono sul sito i responsabili del centro – sono numeri che per una città come Messina non rendono onore. Ma ciò che è grave è che i numeri vanno ad aumentare. (…)
Un primo caldo, un secondo, un contorno, la frutta. La domenica, o in occasioni particolari, c’è anche il dolce. Una tavola apparecchiata con delle pietanze sembra una condizione scontata, usuale, quando, invece, non è affatto così. Le portate principali di un pranzo semplice e gradevole non possono prescindere da due ingredienti fondamentali: la carità e la solidarietà. E non è per niente un caso se da 35 anni come oggi, fatto salvo un breve periodo per lavori di ristrutturazione, ciò a Cristo Re è avvenuto in maniera puntuale e costante. Ma con costi, purtroppo, elevati. Circa 200 pasti giornalieri, trasformati in piena pandemia in 70 – 80 buste da asporto giornaliere, a secondo delle esigenze, anche contingenti, per ragioni di impossibilità ad assembrarsi nella mensa:
Quanto ai costi, ne avevamo scritto all’inizio dell’anno in un servizio su questo giornale, e le cifre, garantisce padre Claudio, si mantengono costanti. I consuntivi richiedono attenzione e soprattutto aiuto: i costi della mensa variano tra 10.000 e 15.000 euro mensili.
Solo per l’acquisto della carne se ne spendono da 5.000 a 6.000. Parte dei prodotti per i primi piatti provengono dal Banco alimentare, il resto è tutto a carico della “casa”, grazie alle azioni dei benefattori. E lo Stato, gli enti, i fondi di solidarietà pubblica? Totalmente assenti. Dunque, occorre “rimboccarsi le maniche” e andare avanti da sé, con la preziosa opera dei volontari, mentre la struttura deve impegnare necessariamente a rotazione il lavoro di tre dipendenti, con i relativi costi.
La Mensa del povero è la parte più impegnativa della struttura che già in sé comprende due dormitori per persone senza fissa dimora; due case-famiglia e due comunità alloggio; un centro per sordi; un centro d’ascolto; lo sportello “Informa tutto”; un laboratorio medico e un centro vocazionale.
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