Categories: Cronaca Regionale

LEGALITA’ – Le mafie hanno paura dei giovani liberi

 

Il “radar” puntato sulla legalità.

Uno strumento fondamentale, fatto di impegno civile e testimonianze di resistenza alla ‘ndrangheta.

“Radar” è del resto il nome che il Comune, attraverso l’assessorato alla Cultura guidato da Marina Machì, ha voluto assegnare a un progetto diretto alle scuole, alle nuove generazioni, a un “esercito del bene” da “armare” a suon di conoscenza e spirito critico.

Il primo tentativo c’è stato ieri mattina, nella Città dei ragazzi, dove gli studenti di alcuni istituti superiori bruzi (tra loro i tre liceali del “Fermi” che hanno vinto il premio nazionale dedicato alla vittima del racket Libero Grassi) hanno avuto l’opportunità di relazionarsi con storie emblematiche, spesso tragiche, ma con un fondo di speranza da far proprio e custodire gelosamente.

Ad animare la manifestazione ci ha pensato il giornalista Paride Leporace, cosentino doc e direttore del “Quotidiano della Basilicata”.

Con lui personaggi d’eccezione, in grado di raccontare vicende eccezionali, magari poco note, ma esemplari di scelte e comportamenti che riscattano una terra martoriata.

Come quelle di Rocco Mangiardi e Francesco Palmieri, due commercianti di Lamezia Terme, due uomini normalissimi che non hanno alcuna intenzione di essere chiamati eroi.

Eppure, qualcosa di eroico l’hanno davvero fatto. Perché entrambi, quando si sono ritrovati di fronte gli emissari del racket, quei sanguisughe che uccidono il duro lavoro della gente onesta e il tessuto economico di un intero territorio, li hanno cacciati fuori dai loro negozi e poi li hanno denunciati.

Un’azione che «da quel giorno mi ha fatto diventare libero», ha detto Mangiardi ai ragazzi.

Lui, il “pensierino” di 1.200 euro al mese a “zio Pasquale” (Pasquale Giampà, condannato per quel tentativo di estorsione) non aveva alcuna intenzione di concederlo.

E ha trovato la forza di rivolgersi ad Ala, l’associazione antiracket fondata a Lamezia da Tano Grasso. «Quello che ho fatto non è coraggio – ha aggiunto – ma semplicemente riprendersi la propria dignità». «Ho denunciato il racket – ha poi sottolineato Palmieri – per la mia famiglia, per i miei figli».

Gli interventi hanno riguardato trasversalmente altri settori della nostra società: il giornalismo, con il caposervizio della redazione cosentina di Gazzetta del Sud, Arcangelo Badolati; la magistratura, con la testimonianza del sostituto procuratore presso la Procura bruzia, Antonella Donato; la politica, con il presidente della commissione regionale antimafia Salvatore Magarò.

Quest’ultimo, pungolato dalle domande di Leporace, ha pronunciato parole rimarchevoli: «Servono partiti più puliti, non conviene vincere le elezioni con l’aiuto della ‘ndrangheta».

I riflettori si sono concentrati anche su chi fa della resistenza alle mafie un impegno quotidiano, costruito spesso su piccoli ma significativi passi. Come Adriana Musella, figlia dell’ingegnere Gennaro Musella, dilaniato da un’autobomba nel 1982 per aver denunciato le ingerenze di un cartello ben assortito (‘ndrangheta reggina e cosa nostra catanese) nella costruzione del porto di Bagnara, centro a pochi chilometri dalla città dello Stretto.

La Musella, coordinatrice nazionale dell’associazione “Riferimenti”, ha battuto il tasto su una delle note più dolenti: quella della cosiddetta “zona grigia”, quell’area costituita da professionisti, esponenti politici, amministratori, pezzi marci delle istituzioni e delle forze dell’ordine, uomini di Chiesa colpevolemente silenti, che permettono alla criminalità organizzata di perpetuare il suo potere.

Altre importanti testimonianze sono arrivate da Fulvio Librandi, ideatore del museo della ‘ndrangheta, che ha invitato ad «una rabbia lunga che diventi progetto»; da Francesca Laganà e Maria Rosa Vuono, rappresentanti rispettivamente del mondo della cooperazione e delle Arci; da Lucia Lipari e Sabrina Garofalo, esponenti di Libera a Reggio Calabria e Cosenza.

Fabio Melia by http://www.gazzettadelsud.it

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