ne parla con Enzo Caputo
“Dal monte Monte Mancuso al Monte Soro Alla ricerca dei mondi nascosti”.
Il nuovo saggio storico di Gigliotti che svela e documenta l’ubicazione dell’insediamento greco. Nel mirino le affermazioni del Lenormant. Non è giustificabile è l’assoluta latitanza degli uffici statali preposti alla ricerca e alla tutela del patrimonio storico-archeologico.
Gigliotti la cercava da una vita quella che Giulio Giannelli nella Treccani descrive come una “Colonia greca della Magna Grecia, fondata dai Crotoniati alla fine del sec. VI o al principio del V a.C. – Il luogo dove la città sorse- scriveva Giannelli- non è ben identificato…” E infatti a contendersela erano i territori calabri di Nocera Torinese e Lamezia Terme. Un dilemma da perderci il sonno per lo studioso santagatese, originario proprio di Nocera Terinese, convinto com’era che l’antico insediamento greco si trovasse proprio nella zona che, anche adesso, viene chiamata Piano di Terina.
E così il cassazionista scrittore, autore di numerosi saggi e romanzi, ha fatto uno studio talmente accurato da non lasciare dubbi sulla reale ubicazione di Terina dipanando ombre e forse anche interessati campanilismi. Terina è proprio la dove da secoli la vuole la tradizione.
Insomma una pietra storica miliare.
Dell’ultima fatica letteraria 12 domande all’autore
1) D.: Terina, fondata nel 475 a. C., sorse in prossimità del mare: ad oggi, però, non è stata individuata la sua vera ubicazione che viene contesa da varie località calabre. Questo suo ultimo libro contribuisce a dipanare questa incertezza? Se si, in che misura?
R.: Ritengo che il contributo offerto da questo mio ultimo libro, per il metodo seguito nelle ricerche, dovrebbe essere decisivo per l’affermazione della verità storica. Partendo dalle affermazioni degli storici “veri” e dalla confutazione delle ipotesi e teorie di quanti hanno inciampato nella traduzione dei testi latini e greci, non possono residuare dubbi che Terina era ubicata sul Piano che, guarda caso, si chiama ancora oggi, Piano di Terina. È logico che quando ci troviamo di fronte ad una res nullius, ognuno di noi sia tentato, istintivamente, di farla propria, non retrocedendo neppure quando si presenta il legittimo proprietario. Il mio libro contribuisce a dipanare, se il lettore è in buona fede tutte le incertezze possibili.
2)D.: Di essa si saprebbe che era posta tra due fiumi, il “Savuto” e il “Grande”. Perché questi corsi d’acqua sono importanti per allocare con precisione il sito dell’antica città? E il colle Sabazio, che contributo può dare a determinare l’esatta allocazione?
R.: La prova che Terina fosse lambita da due fiumi la si ha in modo indiretto e, quindi, ineccepibile in quanto è proprio l’errore commesso dall’ermetico poeta calcidese, Licofrone, che ce lo conferma, quando, osservando il Piano dal mare vide che il luogo era bagnato dal fiume Ocinaro (oggi, Savuto) che lo lambiva da entrambi i lati nord-sud, per cui, credendo che fosse un solo fiume (e non già due così vicini) lo definì nella sua lingua “a forma di corna di bue”. Il termine greco usato da Licofrone venne da tutti i grecisti tradotto in modo a dir poco extravagante, mentre con i miei studi precedenti venne condotto nell’alveo della correttezza. così come è stato sopra riportato. Da Licofrone in poi Terina fu la città posta tra due fiumi anche nella lingua ufficiale, come quella delle leggi, decreti, delibere ecc. ecce. della Pubblica Amministrazione. L’importanza del colle Sabazio per influire sulla scelta fondativa di una colonia, è data dalla situazione naturale e caratteristica del luogo:facilmente difendibile; dotato di copiosità di acque (al punto che sono stati rinvenuti i resti di tre acquedotti con cui era fornita la città); ubertosità dell’ entroterra; dotato di uno scalo marittimo e, allo stesso tempo, servito, in prosieguo, da una importante via pubblica (Annia Popilia Meridionale) che lambiva la porta principale (Portavecchia) della città.
3) D.: Nel suo libro Lei esamina in chiave critica l’importanza sproporzionata che viene attribuita ai ritrovamenti archeologici rispetto alle fonti scritte che, a volte, mettono in forse anche i contenuti di editti e privilegi di Re e Imperatori. Ciò suona alquanto strano. Ci può chiarire meglio questa sua posizione?
R.: È evidente che, in presenza di determinate problematiche, tra storia e archeologia intercorra una certa complementarità scientifica, la quale, se usata in modo corretto (ma nella fattispecie ciò non è avvenuto e non avviene a causa della manifesta latitanza della ricerca archeologica) potrebbe risolvere definitivamente il problema. È accaduto, al contrario, che sul Piano di Terina (sul quale la stragrande maggioranza delle fonti storiche scritte pongono l’antica città: Barrio,Marafioti, Fiore, Grimaldi, Quattromani, Pagano, Amato, Cluverio, Olstenio, Cellario, Aceti, Morisani, Romanelli, Bisogni) non si è avuto alcuna campagna di scavi archeologici, mentre nella Piana di Lamezia (che nessuna delle fonti storiche indica quale sede di Terina) gli scavi continuano, malgrado non siano venuti alla luce reperti riferibili con certezza a Terina. Ecco perché la politica archeologica dovrebbe seguire il percorso esattamente inverso. Per quanto mi riguarda, traducendo Omero (Odissea), ho scoperto che la Scheria, ossia la terra dei Feaci (tutti gli altri linguisti hanno tradotto isola dei Feaci!), viene ubicata proprio nell’istmo di Catanzaro. Da ciò si deduce che i reperti rinvenuti nella Piana appartengono ad un’altra realtà storica. Anche sul Piano di Terina i reperti venuti alla luce sono stati centinaia e centinaia. La differenza sta nel fatto che in questo caso i reperti hanno visto la luce in modo fortuito e clandestino, per cui si sono letteralmente dispersi.
4) D.: “LIGEA QANEI…”, a seguire tre lettere dell’alfabeto greco. Che contributo possono dare o danno all’esatta identificazione del sito dell’antica Terina?
R.: I termini sopra riportati, assieme alle tre lettere acronime in lingua greca antica, formano l’epitaffio che si trovava scritto sul cenotafio della sirena Ligea edificato dai Terinei sulla riva dell’Ocinaro (Savuto). Mi permetto esimermi dal dare la risposta, preferendo che, per me, lo faccia frà Girolamo Marafioti (Polistena,1567-1626 [?], autore de Croniche et Antichità di Calabria, in Padova ad istanza de gl’Uniti MDCI), il quale scrive che “fino al suo tempo vedevasi in un vecchio muro di poco alzato da terra all’uscita del fiume Lavato, altre volte indicato col nome di Ocinaro, sotto la città, nei tempi antichi di Terina, in questi presenti Nocera della Pietra della Nave di Arata (oggi Nocera Terinese) il sepolcro della sirena Ligea” e ne riporta la scritta in greco di cui egli traduce LIGEA QANEI (Ligea muore), “lasciando” – come egli stesso scrive “a più alto ingegno la traduzione delle altre lettere.”Queste ultime, poi, dopo alcuni secoli, sono state da me tradotte. Nessuno (ripeto, nessuno) ha mai precisato quali siano i motivi per i quali il Marafioti non sia degno di fede, mentre, al contrario, sono in grado di precisare che altri autori, che affermano di avere visto i ruderi della città di Terina sul colle Sabazio e il sepolcro con il medesimo epitaffio. sono, almeno, una decina. Ho il dovere di ricordare anche il cappuccino Giovanni Fiore, autore dell’opera fondamentale Della Calabria illustrata. Opera Varia Istorica, Napoli MDCXCI. Perché neppure Fiore è degno di fede?
5) D: “Terina, Terina delle mie brame, non potresti tu essere in alto, molto in alto, magari a Tiriolo?” -Francois Lenormant, famoso archeologo, numismatico, assiriologo ed egittologo, “con ferma voce e signoril coraggio, senza libri, provò che paggio e maggio scrivonsi con du “g” come cugino”. Parafrasando Gioacchino Belli e speso che non ce ne voglia, ma si può, le chiedo, accettare che la storia antica possa essere scritta senza tener conto dei testi e, soprattutto, si possono zittire gli altri studiosi?
R.: La risposta è: “No!”. Il Lenormant si è rivelato di una ignoranza in materia da lasciare allibiti tutti coloro che si occupano della questione con competenza e passione. A tale ignoranza egli ha aggiunto una presunzione tale da lasciare esterrefatto e sanza parole il mondo della scienza. Egli stesso, dopo avere affermato che Terina non poteva trovarsi nel posto dove si trova Nocera Terinese (sic!), scrive: “Ciò che mi attirava a Nicastro non era la località di per se stessa dove sapevo già che non avrei trovato quasi niente per i miei studi, ma il desiderio di esaminare il terreno…” Da tale esame (egli si fermò nella Piana solo alcune ore) maturò la certezza (dall’esistente niente) che proprio lì fosse ubicata Terina. Incommentabile!
6) D.: Nocera Terinese fu a te strappata, ahimè, da interessi di bottega, fiumi di soldi pubblici per scavare senza riscontri adeguati mentre l’insediamento greco portato alla luce dalle ruspe della Salerno-Reggio Calabria si dissolveva tra i polveroni del vento. È azzardato parlare di campanilismi regionali e di nuove voraci dimensioni territoriali emergenti che inficiano la verità storica?
R.: Certamente non è azzardato, ma mentre i campanilismi regionali, pur essendo dannosi, sono sempre comportamenti umani, quello che, invece, non è giustificabile è l’assoluta latitanza degli uffici statali preposti alla ricerca e alla tutela del patrimonio storico-archeologico.
7) D.: “Presso il mare sono visibili le vestigia della città di Terina. Il luogo di Terina è alto, d’ogni parte circondato da rupi…” scriveva Gabriele Barrio nel 1737. Quanto è vera questa affermazione?
R.: Questa affermazione, oltre ad essere vera, è storica, confermata, cioè, da altri elementi oggettivi, trasfusi nel mio libro a cui rimando, i quali vanno ad aggiungersi all’affermazione del Barrio che testimonia che ai suoi tempi i ruderi di Terina erano visibili sul colle Sabazio.
8) D.: Quanto può avere influito nella localizzazione di Terina il fatto che la lingua greca antica non aveva un termine specifico per un indicare di un fiume la foce a delta?
R.: In fondo tale mancanza non ha prodotto gravi conseguenze. Ha solo costretto Licofrone a creare il neologismo (riferito ai suoi tempi) di bucheros (a forma di corna di bue: altre traduzioni, pur esistenti, sono da ritenersi erronee)
9) D.: Prima di baciare la sua petrosa Itaca, Ulisse fece una capatina nella terra dei Feaci? Ciò cosa composta per gli studiosi?
R.: La ricerca della terra dei Feaci, la Scheria, di cui scrive Omero nell’Odissea, mi ha spinto ad effettuare una conseguente ricerca. Dalla Traduzione dei versi omerici, ho scoperto, intanto, che Omero non ha MAI scritto che la terra dei Feaci fosse un’ISOLA, bensì una TERRA, dalla cui descrizione ho ricavato la esatta coincidenza con i luoghi dell’Istmo di Catanzaro, altrimenti detto anche Istmo Dei Due Mari, posto tra Tirreno e Ionio. Questo è stato un mio dono alla Piana di Lamezia. Il resto si trova nel libro.
10) D.: Lei ha sempre avuto un interesse particolare per la viabilità di ieri. Sembra di vederla percorrere assorto e stupito le meraviglie ingegneristiche del tempo. Che posto hanno nel suo libro?
R.: La viabilità (con ciò che essa comporta: strade e ponti) creata dagli uomini rappresenta una testimonianza dell’ingegno umano, quando l’umanità si è vista impedita ad andare avanti dalle montagne e dai corsi dei fiumi e ciò sia quando l’essere vivente era solo un cacciatore-raccoglitore (e, quindi, costretto al nomadismo), sia quando divenne agricoltore e, quindi, con fissa dimora. Nella viabilità si può leggere tutta la caparbietà storica dell’intera umanità.
11) D.: Dalla Calabria terra natia “all’adottata” Sicilia: Solusapre (quasi un’isola che non c’è) e Agatirno, che di sicuro sembra esserci solo che ci fosse. Cosa lega nel libro queste terre dirimpettaie?
R.: Quasi tutto. Qui sotto (Italia meridionale e insulare) è nato ed è stato coltivato il pensiero umano, i cui frutti si sono, poi, sparsi per l’intero continente.
12)D.Demenna, Fragalà e Monte Soro rivivono nel suo libro. Perché si parte dal monte Mancuso e si arriva, gravati dal peso sofferto della verità storica, ai 1817 metri di “Munti Soru”.
R.: Queste terre, con queste emergenze orografiche, come le chiamo io, rappresentano il mio bozzolo vitale. Spero solo che i risultati ottenuti siano di natura… serica.
Michele Manfredi Gigliotti?
Michele (Nocera Terinese 1941) poeta e scrittore, di professione avvocato, vive a Sant’Agata Militello. Trasferitosi dopo le scuole dell’obbligo dalla Calabria in Sicilia, dove ha conseguito la maturità classica e la, la laurea in Giurisprudenza, frequentando, anche, il corso di scienze politiche sostenendone tutti gli esami, tranne l’inglese per una sua libera scelta, non potendo sopportare che la nostra lingua, l’italiano, stia, ogni giorno di più, contraendo con la lingua inglese. Ha svolto il praticantato presso lo studio legale del Grande Maestro di diritto Pietro Pisani, a Messina. Produzione letteraria Per quanto riguarda la produzione letteraria ha pubblicato:Croce del Sud (saggio sulla poesia sociale, 1971); Pane Nero (romanzo, 1975); Ma il sole sorge ancora (poesia, 1976); Tini (romanzo storico, 1984); Terenewn (memorie storiche sull’antica città di Terina, 1984); Passi perduti (alla ricerca dell’antica viabilità dei Nebrodi, 1990); Temhsh (memorie storiche sull’antica città di Temesa, 1994); Gli animali non ridono (romanzo, 2001); Variae Historiae fragmenta (saggistica, 2003); Un caso insoluto (romanzo, 2005); Demenna nella letteratura arabo-sicula (saggio storico, 2006); Ipotesi su San Pietro di Deca (saggio archeologico, 2008); La mia Calabria (romanzo-saggio, 2010); Licofrone e il fiume Savuto (saggio-storico, 2010); Il principe e il contadino (romanzo, 2012); Altri passi perduti (saggio, 2015); Variae historiae fragmenta II (saggistica, 2020). Si è occupato frequentemente di letteratura nell’ambito della quale ha prodotto i romanzi Pane nero sulle condizioni della Calabria ai primi del ‘900 (testo adottato in varie scuole medie calabresi e siciliane); Tini (diminutivo demotico di Valentino) sulla guerra partigiana in Friuli-Venezia Giulia, terra di sua madre (adottato dalla scuola media Marconi di Sant’Agata Militello, i cui studenti (da Pane Nero, hanno ricavato una sceneggiatura teatrale); Un caso insoluto, di natura giudiziaria, segnalato al premio letterario Maria Messina; Gli animali non ridono, ambientato in Calabria di cui offre uno spaccato socio-economico e che contiene una visione nuova della Magna Grecia; La mia Calabria (il cui titolo parla da sé e che segue la traccia di ricordi individuata da Scipio Slataper con Il mio Carso, segnalato al premio letterario Rhegium Julii; Il principe e il contadino, ricostruzione sui generis del percorso dei Normanni nell’Italia meridionale e, in particolare, in Sicilia (segnalato al premio letterario Francesco Florio). Nei suoi interessi anche l’archeologia (Passi perduti e Altri passi perduti ricostruendo la viabilità antica nella Sicilia settentrionale, attraverso la ricerca dei ponti di cui sono ancora visibili i ruderi. Ha fatto parte della squadra di archeologi che ha portato alla luce la necropoli etrusca di Tuscania (Viterbo), in località Le Scalette.
Enzo Caputo