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LIPARI – Il molo romano si è rivelato un valido indicatore dell’aumento del livello del mare

Basi di colonne e imponenti strutture murarie nei fondali marini dell’isola di Lipari, nell’arcipelago delle Eolie. A riaffiorare al centro dell’attuale area portuale di Sottomonastero, vicino al molo di attracco degli aliscafi, i resti dell’antico porto romano. Grazie a questa recente scoperta, una ricerca multidisciplinare dal titolo New insights on the subsidence of Lipari island (Aeolian islands, southern Italy) from the submerged Roman age pier at Marina Lunga, coordinata dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), è riuscita a fare luce sui meccanismi che hanno portato al cambiamento della costa dell’isola eoliana e, di conseguenza, alle dinamiche evolutive del graduale inabissamento del molo nel corso degli ultimi 2100 anni. Lo studio, finanziato dal Dipartimento della Protezione Civile (DPC), è stato pubblicato su Quaternary International. “Una indagine batimetrica”, spiega Marco Anzidei, ricercatore dell’INGV e primo autore del lavoro, “effettuata con ecoscandaglio ad altissima risoluzione in collaborazione con l’IGAG-CNR e L’Università La Sapienza, insieme a osservazioni subacquee effettuate dagli archeologi della Soprintendenza del Mare della Sicilia, ha permesso di evidenziare sul fondale di Marina Lunga, Sottomonastero, una morfologia ascrivibile ad un molo di circa 140 metri di lunghezza e 60 m di larghezza, situato in corrispondenza dell’attuale posizione del porto principale dell’isola di Lipari”. In parte scoperto accidentalmente nel 2008 durante gli scavi preliminari per la costruzione di nuove infrastrutture portuali, il molo romano si è rivelato un valido indicatore dell’aumento del livello del mare causato dai cambiamenti climatici e della subsidenza costiera indotta dall’attività vulcanica e tettonica, avvenute dal tempo della sua costruzione. I rilievi hanno permesso di individuare resti di pavimentazione a circa 9 m di profondità, fondazioni del molo a circa -11,6 m e l’antica linea di costa a 12.3 di profondità. “Dati geodetici acquisiti in tutte le Eolie con tecniche spaziali GPS a partire dal 1996 e modelli matematici sull’aumento del livello marino per questa stessa zona”, aggiunge Anzidei, “hanno permesso di stabilire che l’attuale sommersione del molo può essere spiegata grazie all’effetto combinato dell’aumento del livello del mare indotto dallo scioglimento dei ghiacci terrestri dopo il termine dell’ultimo massimo glaciale di circa 18.000 anni fa, e della subsidenza del suolo dovuta ad isostasia e fenomeni vulcano-tettonici che tra le isole di Lipari e Vulcano si verifica ad una velocità anche di circa 10 mm all’anno”. L’insieme di queste concause hanno portato ad un aumento del livello del mare a Lipari a un ritmo medio di circa 6 mm all’anno durante gli ultimi 2100 anni. Questo valore, incrociato con dati archeologici raccolti sui sedimenti che hanno coperto il molo per quasi 2000 anni, sono in accordo sull’ipotizzare che il momento della sommersione del porto e il suo conseguente disuso sia avvenuto intorno al IV secolo d.C. “I risultati ottenuti apportano nuove indicazioni sulla recente dinamica di questa zona vulcanica attiva, che mostra tassi di subsidenza tra i più alti nel Mediterraneo. Valori che richiedono sempre più attenzione da parte dei policy makers per attuare strategie di pianificazione territoriale collegate sia alle caratteristiche vulcano-tettoniche sia ai futuri cambiamenti della costa di Lipari, oggi patrimonio dell’UNESCO, soggetta a ingressione marina, i cui effetti saranno sempre più forti nel prossimo futuro a causa dei cambiamenti climatici”, conclude Anzidei.

 

Redazione Scomunicando.it

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