In un’epoca in cui la libertà d’informazione è sempre più fragile, il caso di Sigfrido Ranucci solleva interrogativi inquietanti sullo stato del giornalismo in Italia e sul ruolo che la censura può assumere quando si cela dietro la maschera di un “richiamo alle regole”.
Un giornalista può piacere o meno… ma il metodo è sbagliato
Dopo 27 anni di carriera in Rai, Ranucci — volto simbolo di Report e della sua tenace inchiesta giornalistica — ha denunciato un provvedimento disciplinare nei suoi confronti per aver partecipato ad alcune trasmissioni televisive e difeso pubblicamente il suo lavoro e quello della sua redazione.
Provvedimento che, secondo la versione ufficiale della Rai, non sarebbe tale: solo un “ricordo delle regole”. Ma a giudicare dal tono, dalla firma dell’Amministratore Delegato e dalle circostanze, il sapore è quello della sanzione. E del monito.
Non si tratta solo di un regolamento interno. Si tratta della libertà di un giornalista di raccontare, di spiegare, di rispondere agli attacchi.
Di promuovere la sua trasmissione, il suo libro, le sue idee. Se tutto questo diventa oggetto di un “richiamo”, allora il problema non è Ranucci, ma un clima in cui la trasparenza è un rischio e il pensiero critico è un fastidio.
Il punto è chiaro: non si può punire chi esercita il proprio diritto — e dovere — di informare.
Non si può bollare come violazione ciò che è, in realtà, espressione della libertà di stampa. Ranucci non ha insultato né mentito, ha semplicemente risposto, spiegato, difeso. E, come spesso accade nel giornalismo vero, ha dato fastidio.
Il contesto è emblematico: interrogazioni parlamentari, polemiche politiche e inchieste scomode (da Mediobanca alla commissione Antimafia) hanno preceduto questo episodio. Coincidenze? Forse. Ma troppe per non farci riflettere.
La Rai dovrebbe essere presidio di pluralismo e indipendenza, non baluardo di conformismo e silenzio. Punire chi fa il suo mestiere con rigore, passione e risultati non è un segno di equilibrio. È un segnale d’allarme. E chi tace, acconsente.
La libertà non si richiama. Si garantisce. Si protegge. Si coltiva. E se per farlo serve anche accettare un richiamo o una sanzione, come dice Ranucci, allora ben venga. Perché la dignità di un giornalista vale più del silenzio imposto da una regola interpretata a convenienza.
scomunicando
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