– di Corrado Speziale –
Lo spettacolo, prodotto da Nutrimenti Terrestri su testo di Davide Marchetta per la regia di Maurizio Marchetti, è andato in scena in due serate, entrambe con posti esauriti,
Nell’interpretazione di Sabrina Marchetti, scrittura, regia e recitazione hanno costituito un tutt’uno dentro un progetto essenziale e compiuto: un monologo che veicola un tema drammatico, complesso e scottante, di grande attualità, come quello della ludopatia.
Perdere la testa per le slot machine e per il gioco d’azzardo in generale, è un dramma del nostro tempo, una piaga sociale talvolta irrefrenabile che fa precipitare l’individuo all’inferno. Una realtà che, se ben individuata e indagata, in quanto ascrivibile a patologia, si offre alle cure per venirne fuori. Ma si offre anche e soprattutto al racconto, alla confessione, sulla base di un processo introspettivo da elaborare ed esternare. Sta qui il lavoro accurato di Davide Marchetta, portato in teatro attraverso la produzione di Maurizio Puglisi per Nutrimenti Terrestri, consegnato alla regia di Maurizio Marchetti,
La scena è sobria, tale da far risaltare l’essenza dei contenuti del monologo in cui Sabrina recita la parte di Sandra, giovane donna, moglie, mamma, vittima del gioco d’azzardo. Una persona come tante, purtroppo, un esempio di disperazione lungo una parabola dal percorso ben individuato: ludopatia – “ludopazzia”. Cosicché, Sandrina è Ludopazza, ristretta in un luogo decentrato, di solitudine e sofferenza, in cui la sua condizione mentale, totalmente soggiogata dalle slot machine, si traduce in disagio psicofisico.
Sandrina ha piena coscienza di sé e di ciò che la circonda. Racconta, si confessa. La scrittura le consegna l’ingrato compito di distinguere il bene dal male, governare e gestire lo scontro tra verità e menzogna, al fine di liberare sé stessa, dandole il ruolo e la forza dell’autodenuncia. Dalla scena fuoriesce un grido d’allarme, liberatorio, dall’effetto catartico che emana dall’animo di una persona fragile ma reattiva, caduta e rimasta invischiata dentro una rete
Sabrina Marchetti è bravissima nell’adattarsi alle situazioni che il monologo le impone e che si tramutano in attenzioni e percezioni per la platea. Cambia tono e voce, ruota il suo sgabello mentre la sua Sandra parla a sé stessa o di sé stessa.
La terminologia nella scrittura rende pienamente il senso del racconto: la “slot” è un cratere infinito che inghiotte e brucia irrimediabilmente soldi, sogni e speranze dell’essere umano. Una macchina infernale che assume poi l’appellativo di cloaca, tanto per fornire un aggettivo – sostantivo di taglio morale. Vengono definiti sopravvissuti i superstiti della sala giochi. Il testo è profondo, spesso tagliente, caustico nelle definizioni, anche giustificatamente forti.
“Il gioco ha tagliato a fette la mia anima e se l’è mangiata. In essa adesso c’è spazio soltanto per il buio, per l’oscurità più profonda”.
L’attrice si cala nel ruolo della protagonista, compenetrandosi nelle sue vicende: una ragazza altrimenti generosa e brillante che adesso esprime rabbia e odio verso la normalità del prossimo, di cui disprezza le banalità e i difetti. È oltremodo impietosa verso gli esseri umani uniformati verso il basso e senza stimoli, “morti in vita”. Cade nel paradosso di detestare negli altri ciò che per lei sta al centro delle aspettative: il denaro. Inveisce con rabbia contro uno spaccato di società mediocre e ipocrita: “riempite le parole di parole…e giudicate sempre chi vi sta accanto, senza giudicare mai voi stessi”.
Sandra è profonda, si confessa attraverso una sorta di anamnesi in cui getta il cuore oltre il limite del ricordo. Intrecciando la ludopazzia con una vita normale, parla a sé stessa e al pubblico delle sue amicizie e dei suoi rapporti sentimentali: “Mi sentivo doppia, tripla, un mostro…”, senza velare rimpianti per il suo “paradiso perduto”. Dunque, la protagonista si perde nella sua immanente irrequietezza, fino a pretendere da sé un’altra sé. Tuttavia, non si rassegna mai del tutto alla visione costante dello spettro del fallimento, pur pagando a carissimo prezzo la sua sincerità.
In Ludopazza c’è tanto di attuale, di drammaticamente contemporaneo. Un teatro a sfondo sociale che riflette la condizione umana con le sue crepe e le sue vicissitudini, le cui parole non sono lanciate nel vuoto, con la speranza che il pubblico ne colga l’essenza e il significato, facendone tesoro: se sveli, interpreti e denunci il male, metti lo spettatore in condizione di riflettere e soprattutto, di evitarlo.
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