E I RAGAZZINI SI DIEDERO ALLE ARMI…DA OGGI IN LIBRERIA ‘IL PIOMBO E LA CELTICA’, IL TERZO VOLUME SUL NEOFASCISMO DI NICOLA RAO. L’AUTORE RACCONTA IL TERRORISMO NERO E LO SPONTANEISMO ARMATO FACENDO PARLARE I PROTAGONISTI DELLA STAGIONE DI TRAGICA VIOLENZA POLITICA SVOLTASI TRA IL 1976 E IL 1983.
L’autore, Nicola Rao, spiega nell’introduzione che l’idea di questo suo ultimo lavoro viene da lontano:”Ha cominciato a frullarmi per la testa fin da quando ho mosso i primi passi nel giornalismo, alla fine dell’86.
Ma l’accarezzavo già prima.
A far scattare la molla era stato un libro di Giorgio Bocca pubblicato nel marzo 1985. Si intitolava ‘Noi terroristi. 12 anni di lotta armata ricostruiti e discussi con i protagonisti’.
Una delle più prestigiose firme del giornalismo italiano aveva tentato (e realizzato) un’operazione incredibile: descrivere il terrorismo (rosso in quel caso) con le parole di chi lo aveva vissuto direttamente…’.
Cosa ne emergeva? ‘Ne fuoriusciva – riconosce Rao – anche il ritratto di una generazione di militanti politici che avevano portato al limite estremo l’eredità della guerra civile e della Resistenza.
Di giovani che, in alcuni casi, avevano semplicemente realizzato quello che molti, troppi intorno a loro e prima di loro avevano predicato e teorizzato. L’avversario politico visto come un nemico da abbattere, l’altro da sè (che fosse un servitore dello Stato, un politico democristiano, un giovane militante di destra poco importava) non percepito come una persona, ma solo come un simbolo da annientare. E poi la spaventosa approssimazione con cui talvolta venivano decisi a tavolino gli omicidi o le gambizzazioni, l’amore quasi maniacale di alcuni di loro per le armi da fuoco, un desiderio di distruzione e autodistruzione che rasentava il nichilismo’.
Da queste impressioni l’idea di Rao di compiere un’operazione analoga su una vicenda parallela e tutta italiana che pochi davvero conoscevano e avevano potuto interpretare nel verso giusto: quella del terrorismo nero e dello spontaneismo armato. Se infatti la cosiddetta lotta armata di estrema sinistra (quella delle Br, di Prima Linea etc) è stato un fenomeno espressosi anche altrove, si pensi solo alla Germania della Baader-Meinhof, il terrorismo di destra è stato un fenomeno manifestatosi soltanto nel nostro Paese e che, anche per questo, va adeguatamente raccontato e spiegato. ‘Un terrorismo- precisa Rao- minore, poco conosciuto e indagato. Un terrorismo spontaneo, di strada, animato da giovani, in molti casi addirittura minorenni, che ha avuto, fondamentalmente, come scenario, la Capitale’.
Da tutto questo nasce quindi ‘Il piombo e la celtica’. Storie di terrorismo nero: dalla guerra di strada allo spontaneismo armato’ (Sperling&Kupfer, pp480, 16 pagine a colori con foto inedite, euro 18,00), da oggi in tutte le librerie.
Un libro che conclude la trilogia sul neofascismo dell’autore- dopo i precedenti ‘La fiamma e la celtica’, la storia politica, culturale e umana della destra dal ‘45 al 2006 e ‘Il sangue e la celtica’, sugli anni sessanta e i primissimi settanta, la stagione della cosiddetta ’strategia della tensione’- e che,stavolta, rivela come storicamente appropriato il riferimento al simbolo della celtica come segno di un’epoca quale quella che va dai primi anni settanta al 1982.
Non a caso nel libro, intervistato dall’autore, Biagio Cacciola- presidente del Fuan, l’organizzazione degli universitari di destra, a Roma tra il 1976 e il 1979- ricorda come, a partire dal ‘77, quel simbolo cominciò a diffondersi tra i giovani di destra non solo a Roma: fino a quel momento usata soprattutto dagli ambienti rautiani che premevano sulla rottura con il vecchio neofascismo nostalgico, ‘verrà accostata automaticamente, tra i neofascisti romani, al Fuan.
Tanto che molti pischelli della Capitale finiranno per ribattezzarla la ‘fuanina’ o la medaglietta del Fuan e i muri di Roma saranno, per molti anni, riempiti di scritte con una croce celtica e la sigla Fuan ai quattro angoli del simbolo’.
E per dirla tutta, nonostante quel simbolo fosse- come dimostrano con evidenza anche alcune fotografie a colori allegate al libro di Rao- sempre in primo piano negli striscioni e nelle bandiere presenti ai comizi di Almirante, a un certo punto i vertici del Msi arrivano, con tanto di circolari interne, a interdirne l’uso.
E il motivo fu proprio la presenza di un manifesto con la croce celtica nelle fotografie diffuse sui giornali dopo il ritrovamento di un appartamento-covo di terroristi di destra.
Un testo assai utile, quindi, questo ‘Il piombo e la celtica’ perchè consente per la prima volta in maniera completa ed esaustiva, di ripercorrere la vicenda dei protagonisti di quella stagione attraverso un’ampia documentazione, testimonianze dirette e inedite e un ritmo narrativo che consente di leggere le quasi cinquecento pagine come se si trattasse di un action movie.
Sinora d’altronde, a questa vicenda non erano dedicati troppi libri: il best seller ‘A mano armata. Vita violenta di Giusva Fioravanti0, scritto dal giornalista Giovanni Bianconi e pubblicato nel lontano 1992,e i due libri consecutivi ‘Destra estrema e criminale’ del 2007 e ‘Neri!’ dello scorso anno, scritti a quattro mani da Mario Caprara e Gianluca Semprini per la Newton Compton.
Bibliografia a cui si potrebbe aggiungere, ma come trasposizione letteraria, il romanzo ‘Il sogno cattivo’ di Francesca D’Aloja edito da Mondadori tre anni fa, l’unico caso in cui l’esperienza dello spontaneismo armato è stata in qualche modo assunta a materia d’ambientazione narrativa.
Il libro di Nicola Rao ha il merito, quindi, di squarciare il velo di una difficoltà giornalistica- e forse pure storiografica- ad afferrare fino in fondo l’universo di riferimento e il contesto sociale e politico che, solo, possono davvero spiegare i fatti raccontati. Intanto, la scelta di aprire il saggio con due cartine di Roma corredate dalle date e dai riferimenti di tutta una serie di vicende che vanno grosso modo dal 1971 al 1983 spiega- da subito- che la cosiddetta guerra per bande e la successiva fase dello spontaneismo armato sono questioni soprattutto romanocentriche con una sola grande appendice su Milano.
Ci sono poi riferimenti a Trieste, al Veneto, alla Sicilia, a Torino e qualche altro squarcio in altre aree, ma finalmente viene spiegato una volta per tutte che quel clima sanguinoso e tragico non è stato percepito allo stesso modo in tutta Italia ma ha avuto il suo acme e quasi tutta la sua manifestazione nelle due grandi metropoli del Paese.
E Rao riesce, oltretutto, a dare ragione del contesto che, a un certo punto, fece impazzire tutto.
‘Nelle prime ore del mattino del 27 ottobre 1972, molte zone di Roma e dintorni- leggiamo nelle prime pagine de ‘Il piombo e la celtica’- sono illuminate dagli incendi contemporanei di ben otto sezioni del Msi.
Bruciano la sezione Flaminio e quella di Montesacro. Saltano in aria anche le sezioni di Talenti, del Tufello, di viale Marconi e di Torpignattara.
Vengono date alle fiamme le sezioni delle vicine Grottaferrata e Ciampino.
Che ci sia una regia unica dietro quegli attentati non c’e’ombra di dubbio.
I colpevoli non verranno mai individuati, ma dopo quella notte, a Roma nulla sarà più come prima.
I militanti missini, incattiviti, reagiranno con pestaggi e violenze, alle quali risponderanno i gruppi piu’ duri dell’ultrasinistra, alzando il tiro…’. Vale la pena di leggere anche le successive annotazioni di Rao secondo cui alcuni anni dopo le rivelazioni (anche se mai provate) del colonnello Antonio Viezzer, ex ufficiale del Sid, il servizio segreto militare, indicheranno negli ambienti dei servizi gli autori degli attentati.
Il motivo? ‘La volontà di attribuirne la responsabilità ai rossi per alimentare la strategia della tensione e dare forza agli opposti estremismi.
Cosa puntualmente avvenuta’.
Rao racconta, quindi, l’escalation dell’antifascismo militante, dal rogo di Primavalle dell’aprile 1973, alla ‘battaglia’ di San Giovanni di Dio del dicembre 1974, in cui l’impegno dei missini di difendere l’agibilità di un comizio di Pino Rauti- Almirante era d’accordo, se si andava avanti così si sarebbe proceduto alla chiusura di tutte le sezioni della Capitale- sfocia in una serie di incidenti. ‘24 feriti, di cui 3 da colpi di pistola, 37 fermati, 9 arrestati, quasi due ore- scrive Il Messaggero il giorno dopo- di scontri violenti.
Questo il bilancio dei gravi incidenti avvenuti ieri mattina a Monteverde, nel corso di un comizio tenuto dal deputato missino Pino Rauti a piazza San Giovanni di Dio. Gli incidenti si sono avuti quando un gruppo di trecento aderenti a movimenti politici della sinistra extraparlamentare ha tentato di interrompere il comizio e si è scontrato con quasi altrettanti missini presenti nella piazza’.
L’aspetto interessante di tutta la vicenda è costituito, secondo Rao, anche da una dichiarazione del vicesegretario missino Pino Romualdi, che attaccando le forze dell’ordine accusate di essere intervenute blandamente e in ritardo, minaccia:’D’ora in poi, se lo Stato non ci difenderà, lo faremo da soli…’. Affermazione che rispecchiava probabilmente lo stato d’animo di molti giovani e giovanissimi pressati in quei mesi da una recrudescenza, nelle scuole e nelle strade, dell’antifascismo militante.
Comincerà a intensificarsi l’attività dei Gruppi Operativi e dei Volontari Nazionali in funzione difensiva,ma per qualcuno sarà l’inizio dell’abitudine alle armi. Tanto che le uccisioni di giovani missini come Ramelli, Zicchieri e Mantakas, daranno l’idea di città- Roma e Milano- diventate quasi teatro di una guerra civile. Sino al trauma, quasi un punto di non ritorno, del 7 gennaio 1978: tre ragazzi uccisi, di cui uno per il piombo sparato da un carabiniere. Certo, niente può giustificare il passaggio di ragazzi e minorenni alla lotta armata, alle rapine, a sparare su presunti avversari. A partire dal 1976- l’omicidio di Vittorio Occorsio, il secondo magistrato ucciso in Italia da terroristi, in questo caso da un terrorista di destra- ma, soprattutto, dopo il 1978 con le azioni dei Nar si esprime, soprattutto a Roma, la vicenda dello spontaneismo armato.
Rao, trent’anni dopo, riporta le parole dei protagonisti, anche quelle scritte come nel caso della lettera inviata all’autore, nel 1987, da Roberto Nistri, all’epoca uno dei leader dell’estremismo nero e oggi militante della sinistra antagonista:’Tutti erano mossi- spiegava dieci anni dopo quegli eventi- da un desiderio comune: quello di scrollarsi di dosso le etichette di ’servi dello Stato’, di ‘guardie bianche’ del regime, o peggio di ’stragisti’, che per anni erano state attaccate a tutto ciò che di illegale veniva fuori dall’ambiente.
Credo che questo fosse l’unico denominatore comune di tutti quelli che hanno gravitato intorno all’esperienza Nar’. Anche per questo ragazzi poco più che adolescenti finirono per morire o uccidere in nome della politica. ‘Questo libro- conclude Rao- è dedicato a tutti coloro che hanno sofferto per quelle vicende, indipendentemente dallo schieramento politico o dalla posizione che ricoprivano. Nella speranza che passi un messaggio, forte e chiaro nella sua semplicità: mai più morire di politica. Mai più’.
Luciano Lanna su ‘Il secolo d’Italia’ del 29-09-2009