Non per essere pedanti né per fare i saccenti, ma la nascita del Martini esattamente un secolo fa è un’invenzione, oppure una convenzione. In the Silver Bullet: The Martini in the American Civilization (The Johns Hopkins University Press), il saggio del professor Lowell Edmunds che da trent’anni è la Bibbia in materia, è raccontato come, già a fine Ottocento, esistesse nei manuali per barmen il bicchiere per il Martini e una sua immagine illustrata appare fra il 1900 e il 1909.
Invenzione oppure convenzione, fosse per noi festeggeremmo la nascita del Martini ogni giorno che Dio manda in terra e, per quanto diffidenti nei confronti degli Stati Uniti, non possiamo che inchinarci di fronte alla celebre formula coniata da Bernard De Voto: «Il supremo dono americano alla cultura mondiale». La pensava così anche il grande H.L. Mencken: «L’unica invenzione americana perfetta come un sonetto»; e del resto non esiste altro cocktail al mondo che possa vantare per sé una colonna sonora firmata da Cole Porter: «They have found the fountain of youth/ Is a mixture of gin and vermouth»…
La prima descrizione di cosa fosse un cocktail risale al 1806, apparve sul periodico americano The Balance e suonava così: «Una bevanda stimolante composta da diversi alcolici, zucchero, acqua e bitter». Anche qui, l’origine della parola è oscura, ma la si fa risalire all’inizio di quel secolo, quando l’esercito americano degli Stati Uniti del Sud entrò in contrasto con il re messicano Axolotl VIII. Nei negoziati che ne seguirono, il sovrano chiese al generale americano se volesse bere qualcosa, e questi acconsentì. Apparve allora una ragazza bellissima, con in mano una coppa di oro e di rubini colma di un liquido da lei stessa preparato. Ci fu un attimo di silenzio e di preoccupazione. Chi avrebbe bevuto per primo e/o da solo? La giovane risolse il problema chinando reverentemente il capo e bevendo di un fiato dalla coppa. Il generale chiese chi fosse quella fanciulla: «È mia figlia Coctel» replicò il re. «Bene, farò in modo che il suo nome sia per sempre onorato dal mio esercito». Coctel divenne coktail e questo è quanto basta.
È comunque con la seconda metà dell’Ottocento che il termine assunse veramente il suo significato moderno, in contemporanea con il sorgere dei primi grandi alberghi internazionali e con l’apparire della prima vera clientela cosmopolita. Ed è allora, del resto, che il Martini nasce negli Stati Uniti e ne diventa per molti versi l’incarnazione.
Già alla fine degli anni Settanta, la decadenza divenne inarrestabile. Secondo un sondaggio del mensile Forbes, il vino bianco batteva i coktail nella misura di undici a uno e oggi, che nei bar è vietato persino fumare e va di moda il vino rosso, ormai ti trovi a fianco di trentenni che hanno la vita dei pantaloni all’altezza delle caviglie, di quarantenni in overdose di pochette, di barmen che sino a ieri facevano i baristi e parlano di calcio con i clienti, di musica techno, di appetizers con cui fai pranzo e cena… Si è chiusa un’epoca insomma e non c’è anniversario che tenga: quel che ne resta, sparso qui e là in Europa, è qualche sacerdote dello spirito: Roberto Pellegrini al Gritti di Venezia, Colin Field al Ritz di Parigi, Tony Micelotta al Dukes di Londra.
Prima o poi i barbari sommergeranno anche loro: per noi adepti di una religione scomparsa sarà comunque un dolce naufragare…
http://www.ilgiornale.it/news/martini-storia-vera-mitico-cocktail.html
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