Ma quel “torno subito” che avevamo quasi scherzosamente postato, quando ci chiedemmo che fine avesse fatto la stele, è rimasto lì.
Un ritorno mai avvenuto ma guardiamo con ottimismo la data del 9 maggio, per ricordare il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro.
Una sparizione che si trascina, silenziosa, tra i marciapiedi rifatti e le aiuole sistemate.
Era un semplice ceppo di legno, ma portava con sé un significato profondo, condiviso, sentito.
Posizionata per quasi tre lustri nello slargo di via Carrubbera, quella stele ricordava i Martiri di Via Fani: Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi, trucidati in uno degli episodi più oscuri e dolorosi della nostra Repubblica.
Ogni anno, in silenzio e con rispetto, qualcuno deponeva un mazzo di fiori alla sua base. Come avviene per le targhe e i monumenti dedicati al giudice Livatino, a Falcone e Borsellino, a Peppino Impastato, a Caduti della Grande Guerra, ai Marinai, a Sebastiano Tusa o sulla “pietra” dedicata a Rita Atria.
Quel ceppo era più di un pezzo di legno piantato nel terreno: era memoria viva, era gesto civile, era presidio di coscienza.
Con il tempo, certo, aveva mostrato segni d’usura. Il legno andava trattato, ripulito, forse rinnovato.
Ma nulla che giustificasse una sparizione. Poi, durante i lavori pubblici in paese, la stele è svanita. Senza preavviso. Ci si aspettava che venisse rimesso a posto, magari restaurata – come era stato “sussurrato”- ma le settimane sono diventate mesi, e noi crediamo ancora in un suo nuovo posizionamento come promesso e detto.
Ora, alcune immagini – inquietanti nella loro semplicità – mostrano come su quel ceppo sia stata posta una croce.
Forse provvisoria. Forse no. Ma è proprio questo “forse” a fare più rumore del silenzio.
Un’assenza che pesa
Quei “legni” rappresentava un pezzo della nostra storia locale intrecciato con la storia nazionale. Un monumento piccolo, ma non minore. Creato da un’idea dell’architetto Pierluigi Gammeri e di Massimo Scaffidi, adottato dall’allora sindaco Salvo Messina e dall’associazione Sak Be, nasceva in un periodo animato da un fermento culturale vivo e fertile.
Una stagione di partecipazione, in cui anche l’arte urbana e i simboli civili venivano pensati come strumenti di educazione, di condivisione, di impegno.
La stele – così com’era – andava bene. E anche se non era costruita con le diverse essenze di legni dei Nebrodi o con la pietra arenaria prevista inizialmente, parlava chiaro. Lo faceva con quei chiodi disposti a scrivere nomi e date, simili a proiettili, come a ricordare la violenza di quel giorno lontano ma ancora così presente ed attuale.
Aspettiamo
Qualcuno, da parte dell’amministrazione, aveva detto ai responsabili della Sak Be che la stele era stata affidata a un falegname per il restauro. Ma il tempo passa. E più che restaurata, ora sembra destinata come non mai a marcire.
Eppure non ci arrendiamo.
Gammeri, che conserva i progetti originali, si dice pronto a “rimetterli in gioco”. La speranza è che questo segno non venga lasciato cadere nel dimenticatoio. Perché nulla è davvero perduto, finché la memoria resta viva e qualcuno ha il coraggio di richiamarla all’attenzione di tutti.
Nel rispetto di chi ha dato la vita per un’idea di giustizia, e di chi continua a credere nel valore profondo del ricordare, segnaliamo ancora questa assenza.
Con civiltà. Con ostinazione. Con quella speranza che – come la primavera – può sempre tornare a fiorire.