Cultura

MASSACRI – Quello americano di My Lai … era la sporca guerra del Vietnam

Quella mattina di sabato un contingente americano di circa un centinaio di soldati, noto come la Compagnia Charlie (11a Brigata), approdò nel piccolo villaggio della provincia di Quang Ngai, 840 km a Nord di Saigon.

Dalle scarse informazioni militari ricevute credevano di trovare nascosti lì alcuni ribelli del Fronte Nazionale per la Liberazione del Sud Vietnam, i cosiddetti Vietcong. Così gli aveva riferito il capitano Ernest Medina che li aveva spediti in missione, ma ad accoglierli c’erano solo contadini inermi, vecchi, donne e bambini. 

Nonostante ciò i soldati americani, su ordine del tenente Calley, svuotarono i caricatori sui civili disarmati. Buttarono le bombe a mano nelle capanne.

 Violentarono le ragazzine in branco e poi le trucidarono con le baionette. La pancia di una donna incinta fu squartata con un machete, il feto lanciato lontano nelle sterpaglie. Vecchi, donne e bambini furono raccolti in piccoli cerchi e falciati con le mitragliatrici.

Un orrore senza limiti dinanzi al quale forse anche un plotone dell’Isis impallidirebbe.

  

A fermare la mattanza fu il pilota di un elicottero dell’esercito Usa in ricognizione, che atterrò frapponendosi tra i soldati americani e i superstiti vietnamiti. Il sottufficiale Hugh Thompson Jr. affrontò i capi delle truppe americane e disse che avrebbe aperto il fuoco su di loro se non si fossero fermati. Poi diresse l’evacuazione del villaggio, mentre due membri del suo equipaggio, Lawrence Colburn e Glenn Andreotta, tenevano i soldati sotto tiro.

Salvarono 11 vite, gli unici superstiti.

Il numero delle vittime non fu mai stabilito con certezza, anche perché i soldati, per nascondere l’eccidio, gettarono bombe a mano sui corpi e incendiarono le capanne.

Forse 70, come sentenziò la Corte Marziale, 347 dice la stima ufficiale statunitense, 504 secondo il piccolo museo memoriale vietnamita che sorge oggi in mezzo alla vegetazione e al silenzio. Nel rapporto militare il capitano Medina scrisse che erano stati uccisi 90 Vietcong e nessun civile. 

Ci vollero due anni e la tenacia di un reporter freelance di nome Seymour Hersh per arrivare ad un processo. Fu lui a raccontare la storia come la conosciamo oggi: lo scoop gli valse il Premio Pulitzer ma prima dovette passare per il rifiuto di importanti testate fotogiornalistiche come Life e Look.

Il massacro di My Lai divenne di pubblico dominio solo quando Hersh riuscì a scrivere un articolo per la Associated Press in cui svelava l’inchiesta del tribunale militare nei confronti del sottotenente Calley e metteva in dubbio il numero reale di morti.

Gli scatti del fotografo dell’esercito Usa, Ronald Haerberle

tratto da  Bliz Quotidiano

per leggere tutto l’articolo cliccare qui.

Redazione Scomunicando.it

Recent Posts

28 ANNI DI FEDE – A Brolo festeggiato Don Enzo Caruso, parroco e testimone della solidarietà

Ieri è stato celebrato il 28° anno di sacerdozio del parroco di Brolo, Don Enzo…

6 minuti ago

OLIVERI – Nino Vitale nominato Commissario della Dc

Nino Vitale nominato Commissario della Sezione della Democrazia Cristiana. La nota del Segretario provinciale del…

14 ore ago

GIORGIO ARMANI – Il ricordo, nella grafica di Antonio Morello

 il genio silenzioso che ha ridefinito l’eleganza (altro…)

14 ore ago

PATTI – Il Movimento “Patto per Patti” affonda il colpo: “Quattro anni persi, città senza guida né visione”

Patti non cresce, non si rilancia, non sogna più. A dirlo senza mezzi termini è…

15 ore ago

LUCI E OMBRE SUL PNRR – A Capo d’Orlando il bilancio a un anno dal termine

Dal convegno promosso da Quater Srl la certezza: nessuna proroga, i progetti vanno chiusi entro…

15 ore ago

IL FURTO AD ANTENNA DEL MEDITERRANEO – Arresti domiciliari per un 24enne

E’ stato ristretto agli arresti domiciliari l’autore del furto perpetrato ai danni della nostra emittente…

21 ore ago