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MASSIMO CARLOTTO – Il “Fuggiasco” visto a Brolo

 

L’incontro si è svolto giovedì 26 settembre, alla sala multimediale “Rita Atria” di Brolo, e rientrava nel programma “Naxoslegge in tour”, una delle manifestazioni di contorno del Festival della lettura in fase di svolgimento a Giardini Naxos.

 

 

Qualche anno fa sarebbe stato più facile parlare di Massimo Carlotto, inserirlo in un genere letterario che sembra avere sempre più presa nei lettori, il noir, sottolineare la sua vicenda personale, il “caso Carlotto”, come lui stesso si definisce nell’introduzione al suo primo romanzo, “Il fuggiasco”, romanzo, mi piace ricordare, la cui pubblicazione è stata voluta da Grazia Cerchi, un punto di riferimento per la critica e la promozione letteraria negli ultimi decenni del secolo scorso, parlare delle indagini dell’Alligatore, evidenziare l’impegno politico attraverso la scrittura evidente sia nei romanzi noir che nell’interessante romanzo reportage sui desaparecidos argentini, “Le irregolari”. Sarebbe stato più facile parlare perché gli ambiti della sua produzione erano ben delimitati e si poteva cogliere la novità che Carlotto  rappresenta nel panorama letterario italiano, fortunatamente la produzione letterari di Carlotto è continuata e gli scenari in cui si muovono i suoi personaggi sono sempre più vari e interessanti.

Due considerazioni preliminari: inserire i romanzi di Carlotto nel genere letterario del ‘giallo’ senza ulteriori precisazioni sarebbe fuorviante e limitativo, come sarebbe fuorviante e limitativo legare la produzione letteraria alla vicenda che l’ha visto coinvolto, anche se,oltre che ne “Il fuggiasco”, riferimenti autobiografici si possono trovare in tanti altri suoi romanzi e nella figura stessa di Marco Buratti, l’Alligatore.

Il genere ‘giallo’ classico si fonda su un assunto rassicurante, alla fine della vicenda l’equilibrio viene ristabilito e ciò corrisponde ad una ben precisa visione della realtà: da una parte c’è il ruolo rassicurante delle istituzioni, dall’altra c’è chi delinque. Già Durrenmatt aveva teorizzato la “morte del romanzo giallo”, perché indagando sul crimine emerge il lato oscuro di tutto un ambiente e, pur risolvendo il caso poliziesco, il lato oscuro persiste dietro un apparente perbenismo e la soluzione del caso sembra mettere in secondo piano proprio questo lato oscuro. E’ interessante che il protagonista dei romanzi di Durrenmatt, l’ispettore Barlach, sia stanco ed ammalato, sfiduciato, intimamente convinto che la soluzione del caso su cui indaga è solo apparente. La malattia dell’ispettore sembra rappresentare visivamente l’impossibilità di arrivare a una soluzione dell’indagine. Se è vero quanto sostenuto da Durrenmatt si può parlare di “morte del giallo”.

La “morte del giallo” non vuol dire, però, l’impossibilità di scrivere sul crimine e sulle indagini.  Soprattutto negli ultimi decenni, si è affermato un altro genere , il noir d’inchiesta, cioè un genere letterario il cui fine è la denuncia sociale, l’analisi della parte oscura di una determinata realtà, sia essa il nord est nella fase della sua massima espansione economica, un area devastata dallo sviluppo in cui coesistono il palese perbenismo e la criminalità della banda del Brenta, o la Sardegna che si trova al centro di un groviglio di interessi che si dipana tra basi militari, gruppi di arrampicatori sociali, interessi che hanno trasformato l’isola in zona di conquista.

E’ questo l’ambito in cui si svolgono molte delle vicende narrate da Parlotto. Il protagonista di diversi suoi romanzi, Marco Buratti, l’Alligatore, è un marginale ossessionato dalla ricerca della verità, dalla giustizia che non è sancita dalle sentenze dei tribunali, come lui ha dovuto constatare sulla propria pelle, ma si ottiene ponendosi quasi sullo stesso piano dei criminali, reagendo con la stessa violenza, facendo quasi proprio l’agire dei criminali, come sostiene Rossini, il malavitoso milanese conosciuto in carcere ed ora suo aiutante nelle indagini, ristabilendo le regole della vecchia malavita che aveva un suo codice. E’ struggente la scena dell’ultimo saluto a Marlon Brundu, un piccolo malavitoso sardo che li aveva aiutati in un’indagine e la rabbia di Rossini che vuole ad ogni costo vendicare l’amico ucciso. L’ossessione della giustizia, che Marco Buratti si porta dentro da quando è stato condannato per un errore giudiziario lo porta ad andare al di là della soluzione dell’indagine, per l’investigatore e per Beniamino non basta risolvere il caso per cui erano stati ingaggiati, una volta a contato con le bande criminali bisogna ristabilire la giustizia che assume la forza di un valore arcaico fortemente introiettato da questi marginali diventati investigatori, bisogna quasi riparare l’offesa agli uomini, ad altri marginali  siano essi il tossicodipendente de “La verità dell’alligatore” o il malavitoso de “Il mistero del Mangiabarche”, gli iinvestigatore diventano giustizieri.

Nelle scelte dell’Alligatore che non collabora mai con le forze dell’ordine o con i magistrati perché non vuole schierarsi dalla parte di chi vuole ristabilire l’ordine è evidente la sfiducia non solo nelle forze dell’ordine e nella magistratura, ma nelle regole stesse che sottostanno ad un ambiente sociale di cui si scopre il lato oscuro, inquietante che si vuole tenere nascosto, ma che le indagini di tre marginali, l’Alligatore,  Rossini, il contrabbandiere legato a vecchi codici della malavita, Max la Memoria, un latitante, reduce degli anni di piombo, fanno emergere.

Catalogare questi romanzi come “gialli” è limitativo, perché l’indagine è solo lo strumento che permette di disvelare le modificazioni anche antropologiche avvenute dagli anni ’90, di denunciare una realtà che si vuole tenere nascosta: due soli esempi: quanti erano consapevoli del deserto di rapporti sociali e umani che si era determinato nel nord est nella fase del suo sviluppo galoppante, eppure quello era l’ambiente in cui si affermava la banda del Brenta ed in cui avveniva il caso Maso, il giovane che uccise i genitori per impossessarsi dell’eredità; quanti sanno del groviglio di interessi che gravitano attorno alle basi militari della Sardegna. Soprattutto due romanzi di Carlotto sono centrati su queste tematiche: “Nord est”, scritto con Marco Videtta che analizza in modo spietato la devastazione del nord est, un romanzo la cui lettura è un pugno nello stomaco, per la crudezza con cui i fatti vengono narrati, ma a sconvolgere non è la narrazione, ma la consapevolezza che tali fatti sono reali, la finzione è solo nel racconto, non nell’oggetto della narrazione: “Perdas de fogu” scritto con il collettivo Mama Sabot, un’altra devastazione, quella della Sardegna causata non dalla rapida espansione economica ma dall’alleanza tra affaristi, politici, militari che tengono in ostaggio un’ intera isola il cui territorio è devastato da aree industriali dismesse, occupazioni militari, luoghi riservati esclusivamente ai nuovi ricchi.

Come la trilogia di Izzo, Casino totale, Chourmo e Solea, è un romanzo su Marsiglia, una città in bilico tra la sua vocazione ad essere una città mediterranea e la tentazione a limitarsi ad essere una città francese, ma anche una città che è al centro di una rete criminale ormai globalizzata che ha nel Mediterraneo uno dei suoi snodi; così i romanzi di Carlotto sono un romanzo sulla realtà italiana di questa lunga fase di transizione (transizione non solo politica come spesso si dice, ma transizione molto più profonda che investe, come denunciava negli anni ’70 Pasolini, la stessa antropologia) e anche un romanzo sull’Italia area di confine e, sotto molti aspetti, di conquista da parte di  criminalità di altri paesi che trova nuovi spazi nell’alleanza con la criminalità organizzata italiana.

Nella prefazione a una piccola raccolta di scritti di Jean Claude Izzo, “Aglio, menta e basilico”, un libretto che i lettori di Izzo non possono non leggere, Carlotto scrive: “ Con ‘Solea’, Jean Claude Izzo dà corpo all’intuizione politica che fonda il noir mediterraneo….La società in cui viviamo è criminale nel senso che produce crimine e anticrimine in una spirale senza fine dove economia legale e illegale si fondono in un modello unico. Chiamate magari locomotive come nel caso del nord est italiano. Il noir mediterraneo in questo senso esce dalla tradizione della critica dell’esistente del noir francese e del romanzo poliziesco moderno. Il romanzo non racconta più solo una storia nera in un determinato luogo e in un determinato momento ma lo fa a partire da un’analisi ben precisa della criminalità organizzata. Altra intuizione di Izzo è l’individuazione dell’area mediterranea come centro geografico della rivoluzione dell’universo criminale. Un intreccio di alleanze di nuove culture illegali provenienti dall’Est e dall’Africa che assorbono o fagocitano le organizzazioni europee più deboli e intavolano trattative dirette con il potere. Questo è il noir mediterraneo. Raccontare storie di ampio respiro. Raccontare le grandi trasformazioni.”

Se proprio si sente l’esigenza di dover catalogare uno scrittore si può dire che gran parte dei romanzi di Carlotto  appartengono al genere “noir mediterraneo”.

Dicevo prima che fortunatamente per noi lettori la produzione letteraria di Carlotto non si è fermata ai romanzi dell’Alligatore, ma è proseguita nello scandagliare le zone d’ombra della nostra società. Il romanzo “Arrivederci amore, ciao”, un romanzo di formazione criminale, è la storia di un pentito degli anni di piombo che con superficialità aveva aderito alle formazioni terroristiche degli anni ’70 e poi con meticolosità e cinismo si ricostruisce una nuova identità criminale non esitando a denunciare compagni ed amici e a sfruttare tutte le occasioni per entrare nel mondo dei vincenti, lasciandosi alle spalle o, meglio, facendo marcire in galera i tanti sommersi degli anni di piombo; quella che per altri era stata anche una generosa illusione per lui diventa un passato da riutilizzare. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un romanzo che vuole scandagliare in fondo una fase della nostra storia recente.

Il racconto “Niente, più niente al mondo” parla di una “quotidiana” tragedia familiare. In una anonima periferia di Torino, una città ormai deindustrializzata, si consuma un dramma fatto di solitudine, frustrazione, assenza di prospettiva, povertà culturale.  Bastano solo questi pochi accenni per non limitare la conoscenza di Carlotto, come dicevo all’inizio, alla sola scrittura dei romanzi dell’Alligatore, ma è anche evidente il filo che lega tutti questi romanzi: la scrittura usata come strumento di analisi delle zone d’ombra della nostra società.

Altri due romanzi di Carlotto meritano la lettura: “Il fuggiasco” e “Le irregolari”. “Il fuggiasco” è la storia di una latitanza durata anni e della ricerca di una soluzione ad uno dei casi giudiziari più allucinanti del dopoguerra. Definire il “caso Carlotto “ solo un errore giudiziario è poco, in realtà esso fa parte di un teorema che, indipendentemente dalle prove, individua il colpevole. Ha così inizio una vicenda giudiziaria che dura 17 anni e che ha visto mobilitare intellettuali come Noberto Bobbio, Jorge Amado, Ettore Gallo, e centinaia di comitati per chiedere un “giusto processo” per Carlotto. Nel romanzo l’autore parla della sua drammatica vicenda con passione e con ironia senza mai cedere a toni compassionevoli, malgrado abbia avuto la vita stravolta dall’età di 19 anni. La latitanza segna Carlotto tanto da diventare, come lui stesso dice, “come il blues, uno stato d’anima”. Questo romanzo racconta uno spaccato degli anni della tensione, gli anni di piombo, forse ora dimenticati, ma che hanno segnato una generazione, dietro la testimonianza c’è il dramma di una generazione che aveva vissuto intensamente una fase della propria vita coltivando generose illusioni. Che sia il romanzo di una generazione e non solo l’autobiografia di Carlotto è evidente sia anche dal tono del racconto: Carlotto  parla di se stesso con ironia, mentre quando parla degli altri “fuggiaschi” il tono cambia, ne parla con rispetto, quasi con discrezione, non usa l’ironia per raccontare il percorso di tanti altri.

“Le irregolari” è un romanzo reportage sui desaparecidos argentini, una pagina oscura non solo dell’Argentina, ma anche di tutti quei paesi, compresa l’Italia che per anni hanno chiuso gli occhi di fronte al dilagare delle dittature in America Latina. Le irregolari sono tutte quelle persone, madri e nonne, che per anni hanno cercato figli e nipoti scomparsi e hanno tenacemente lottato perché i responsabili del crimine pagassero il prezzo dei loro misfatti, che non sono solo la scomparsa di migliaia di oppositori, ma anche, e questo è più orrendo, l’adozione di migliaia di bambini da parte dei carnefici dei loro genitori. In Argentina c’è una generazione di giovani decimata ed una generazione di  bambini cresciuti a contatto con i carnefici dei loro genitori. In Italia, che io sappia, esiste su questo argomento solo qualche testo, un libro inchiesta di Italo Moretti e il romanzo di Carlotto e, forse, qualche altro e solo di recente sono stati tradotti i romanzi di Elsa Osorio. “Le irregolari” è un libro da leggere conoscere quanto è avvenuto e “per non dimenticare”, perché il caso dei desaparecidos è una ferita aperte non solo per l’Argentina, ma per quella che definiamo civiltà occidentale.

Ultimamente nella librerie c’è una nuova serie di romanzi di Carlotto e Marco Videtta, “Le vendicatrici”, storie di donne offese, di persone violate nel loro intimo che non si limitano a reagire ma assumono il ruolo di vendicatrici spietate come spietate erano state le violenze subite. Non c’è pacificazione in questi romanzi di Carlotto, non c’è spazio per una ricomposizione del mosaico frantumato, delle vite infrante, c’è lo spazio solo della vendetta, che è, in questi casi, l’unico modo per riconquistare e riappropriarsi della propria identità.

Infine vorrei ricordare due testi teatrali forse poco noti perché pubblicati da una piccola casa editrice, “Più di mille giovedì”, anche questo sulle madri di Plaza de Mayo, e “Polvere”, con il sottotitolo militante “Amianto mai più” è interessante leggere questo testo sull’amianto per capire cosa si intende per “letteratura impegnata”.

 

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