L’incontro si è svolto giovedì 26 settembre, alla sala multimediale “Rita Atria” di Brolo, e rientrava nel programma “Naxoslegge in tour”, una delle manifestazioni di contorno del Festival della lettura in fase di svolgimento a Giardini Naxos.
Due considerazioni preliminari: inserire i romanzi di Carlotto nel genere letterario del ‘giallo’ senza ulteriori precisazioni sarebbe fuorviante e limitativo, come sarebbe fuorviante e limitativo legare la produzione letteraria alla vicenda che l’ha visto coinvolto, anche se,oltre che ne “Il fuggiasco”, riferimenti autobiografici si possono trovare in tanti altri suoi romanzi e nella figura stessa di Marco Buratti, l’Alligatore.
Il genere ‘giallo’ classico si fonda su un assunto rassicurante, alla fine della vicenda l’equilibrio viene ristabilito e ciò corrisponde ad una ben precisa visione della realtà: da una parte c’è il ruolo rassicurante delle istituzioni, dall’altra c’è chi delinque. Già Durrenmatt aveva teorizzato la “morte del romanzo giallo”, perché indagando sul crimine emerge il lato oscuro di tutto un ambiente e, pur risolvendo il caso poliziesco, il lato oscuro persiste dietro un apparente perbenismo e la soluzione del caso sembra mettere in secondo piano proprio questo lato oscuro. E’ interessante che il protagonista dei romanzi di Durrenmatt, l’ispettore Barlach, sia stanco ed ammalato, sfiduciato, intimamente convinto che la soluzione del caso su cui indaga è solo apparente. La malattia dell’ispettore sembra rappresentare visivamente l’impossibilità di arrivare a una soluzione dell’indagine. Se è vero quanto sostenuto da Durrenmatt si può parlare di “morte del giallo”.
E’ questo l’ambito in cui si svolgono molte delle vicende narrate da Parlotto. Il protagonista di diversi suoi romanzi, Marco Buratti, l’Alligatore, è un marginale ossessionato dalla ricerca della verità, dalla giustizia che non è sancita dalle sentenze dei tribunali, come lui ha dovuto constatare sulla propria pelle, ma si ottiene ponendosi quasi sullo stesso piano dei criminali, reagendo con la stessa violenza, facendo quasi proprio l’agire dei criminali, come sostiene Rossini, il malavitoso milanese conosciuto in carcere ed ora suo aiutante nelle indagini, ristabilendo le regole della vecchia malavita che aveva un suo codice. E’ struggente la scena dell’ultimo saluto a Marlon Brundu, un piccolo malavitoso sardo che li aveva aiutati in un’indagine e la rabbia di Rossini che vuole ad ogni costo vendicare l’amico ucciso. L’ossessione della giustizia, che Marco Buratti si porta dentro da quando è stato condannato per un errore giudiziario lo porta ad andare al di là della soluzione dell’indagine, per l’investigatore e per Beniamino non basta risolvere il caso per cui erano stati ingaggiati, una volta a contato con le bande criminali bisogna ristabilire la giustizia che assume la forza di un valore arcaico fortemente introiettato da questi marginali diventati investigatori, bisogna quasi riparare l’offesa agli uomini, ad altri marginali siano essi il tossicodipendente de “La verità dell’alligatore” o il malavitoso de “Il mistero del Mangiabarche”, gli iinvestigatore diventano giustizieri.
Catalogare questi romanzi come “gialli” è limitativo, perché l’indagine è solo lo strumento che permette di disvelare le modificazioni anche antropologiche avvenute dagli anni ’90, di denunciare una realtà che si vuole tenere nascosta: due soli esempi: quanti erano consapevoli del deserto di rapporti sociali e umani che si era determinato nel nord est nella fase del suo sviluppo galoppante, eppure quello era l’ambiente in cui si affermava la banda del Brenta ed in cui avveniva il caso Maso, il giovane che uccise i genitori per impossessarsi dell’eredità; quanti sanno del groviglio di interessi che gravitano attorno alle basi militari della Sardegna. Soprattutto due romanzi di Carlotto sono centrati su queste tematiche: “Nord est”, scritto con Marco Videtta che analizza in modo spietato la devastazione del nord est, un romanzo la cui lettura è un pugno nello stomaco, per la crudezza con cui i fatti vengono narrati, ma a sconvolgere non è la narrazione, ma la consapevolezza che tali fatti sono reali, la finzione è solo nel racconto, non nell’oggetto della narrazione: “Perdas de fogu” scritto con il collettivo Mama Sabot, un’altra devastazione, quella della Sardegna causata non dalla rapida espansione economica ma dall’alleanza tra affaristi, politici, militari che tengono in ostaggio un’ intera isola il cui territorio è devastato da aree industriali dismesse, occupazioni militari, luoghi riservati esclusivamente ai nuovi ricchi.
Nella prefazione a una piccola raccolta di scritti di Jean Claude Izzo, “Aglio, menta e basilico”, un libretto che i lettori di Izzo non possono non leggere, Carlotto scrive: “ Con ‘Solea’, Jean Claude Izzo dà corpo all’intuizione politica che fonda il noir mediterraneo….La società in cui viviamo è criminale nel senso che produce crimine e anticrimine in una spirale senza fine dove economia legale e illegale si fondono in un modello unico. Chiamate magari locomotive come nel caso del nord est italiano. Il noir mediterraneo in questo senso esce dalla tradizione della critica dell’esistente del noir francese e del romanzo poliziesco moderno. Il romanzo non racconta più solo una storia nera in un determinato luogo e in un determinato momento ma lo fa a partire da un’analisi ben precisa della criminalità organizzata. Altra intuizione di Izzo è l’individuazione dell’area mediterranea come centro geografico della rivoluzione dell’universo criminale. Un intreccio di alleanze di nuove culture illegali provenienti dall’Est e dall’Africa che assorbono o fagocitano le organizzazioni europee più deboli e intavolano trattative dirette con il potere. Questo è il noir mediterraneo. Raccontare storie di ampio respiro. Raccontare le grandi trasformazioni.”
Se proprio si sente l’esigenza di dover catalogare uno scrittore si può dire che gran parte dei romanzi di Carlotto appartengono al genere “noir mediterraneo”.
Il racconto “Niente, più niente al mondo” parla di una “quotidiana” tragedia familiare. In una anonima periferia di Torino, una città ormai deindustrializzata, si consuma un dramma fatto di solitudine, frustrazione, assenza di prospettiva, povertà culturale. Bastano solo questi pochi accenni per non limitare la conoscenza di Carlotto, come dicevo all’inizio, alla sola scrittura dei romanzi dell’Alligatore, ma è anche evidente il filo che lega tutti questi romanzi: la scrittura usata come strumento di analisi delle zone d’ombra della nostra società.
“Le irregolari” è un romanzo reportage sui desaparecidos argentini, una pagina oscura non solo dell’Argentina, ma anche di tutti quei paesi, compresa l’Italia che per anni hanno chiuso gli occhi di fronte al dilagare delle dittature in America Latina. Le irregolari sono tutte quelle persone, madri e nonne, che per anni hanno cercato figli e nipoti scomparsi e hanno tenacemente lottato perché i responsabili del crimine pagassero il prezzo dei loro misfatti, che non sono solo la scomparsa di migliaia di oppositori, ma anche, e questo è più orrendo, l’adozione di migliaia di bambini da parte dei carnefici dei loro genitori. In Argentina c’è una generazione di giovani decimata ed una generazione di bambini cresciuti a contatto con i carnefici dei loro genitori. In Italia, che io sappia, esiste su questo argomento solo qualche testo, un libro inchiesta di Italo Moretti e il romanzo di Carlotto e, forse, qualche altro e solo di recente sono stati tradotti i romanzi di Elsa Osorio. “Le irregolari” è un libro da leggere conoscere quanto è avvenuto e “per non dimenticare”, perché il caso dei desaparecidos è una ferita aperte non solo per l’Argentina, ma per quella che definiamo civiltà occidentale.
Ultimamente nella librerie c’è una nuova serie di romanzi di Carlotto e Marco Videtta, “Le vendicatrici”, storie di donne offese, di persone violate nel loro intimo che non si limitano a reagire ma assumono il ruolo di vendicatrici spietate come spietate erano state le violenze subite. Non c’è pacificazione in questi romanzi di Carlotto, non c’è spazio per una ricomposizione del mosaico frantumato, delle vite infrante, c’è lo spazio solo della vendetta, che è, in questi casi, l’unico modo per riconquistare e riappropriarsi della propria identità.
Infine vorrei ricordare due testi teatrali forse poco noti perché pubblicati da una piccola casa editrice, “Più di mille giovedì”, anche questo sulle madri di Plaza de Mayo, e “Polvere”, con il sottotitolo militante “Amianto mai più” è interessante leggere questo testo sull’amianto per capire cosa si intende per “letteratura impegnata”.
Antoci: La memoria non è un esercizio del passato, ma un dovere per il futuro».…
La nota di Francesco Calanna è una riflessione che assume i toni di un editoriale…
Un gesto che non è passato inosservato. Durante la cerimonia degli inni prima del match…
Certe immagini hanno la capacità di trasformarsi in simboli, di raccontare senza parole l’incontro fra…
“Il Sorriso degli Dei” fa tappa a Gioiosa Marea per l’ultimo appuntamento con la prosa…
tre giorni di gusto, musica e successo a Torrenova (altro…)