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MAURO CAPPOTTO – LA POETICA DEL SEGNO

Dopo il grande successo della mostra personale di Vittorio Ballato, esposizione antologica di grande qualità appena conclusasi, è stata inaugurata presso la galleria d’arte moderna AREA CONTEMPORANEA,  la mostra di Mauro Cappotto, interessante artista nebroideo, che dimostra ancora una volta la sua grande vivacità creativa, alla ricerca costante di linguaggi nuovi, di storie da raccontare.

LO SBARCO  (questo il nome dello spazio “ridefinito” dall’artista) ha la capacità straordinaria di regalare emozioni profondamente diverse muovendosi  sulle invarianti di una narrazione che cambia metro dopo metro.

Un percorso, il suo, dove l’approdo serve a spiegare nuove partenze. Un continuo muoversi, andare verso qualcosa, con una grande attenzione ai SEGNI lasciati sul cammino.

Proprio i SEGNI diventano alfabeto narrante nella prima parte del viaggio, ora attraverso i toni surreali di veri e propri ossimori  di gusto quasi dadaista, ora nella malinconia di una loro custodia ossessiva, nel tentativo disperato di ridar loro vita, imprigionandoli dentro un’opera. 

Il SEGNO diventa racconto sociale nella composizione di frammenti fotografici che documenta la performance artistica “150 di MILLE_lo sbarco” , curata qualche mese fa, dallo stesso Cappotto, in occasione dei festeggiamenti per i 150 anni dell’unità d’Italia. 

La ricomposizione avviene nello scatto finale che immortala 1000 partecipanti, ognuno “numerato” da una maglietta, ognuno tassello dell’opera, ognuno SEGNO di quella memoria dei pixel che racconta “lo sbarco al futuro” di pezzo di comunità. A consegnare l’esperienza al tempo ci pensa il contenitore ermetico che racchiude gli strumenti artigianali della performance.

L’artigianalità  “congelata” dal sacro valore del sigillo e ancora la “riassegnazione semantica” intesa come eterno durare. L’ultima stanza è un cambio di passo. L’ultimo approdo. L’ultimo mare.

IL SEGNO è un poppa di barca lampedusana che punta una enorme cartografia dell’isola. L’elica gira ancora, nel vuoto della stanza. Non dovrebbe girare, non dovrebbe essere li, come non dovrebbe essere, il mediterraneo, un cimitero liquido.

I SEGNI qui diventano testimonianza diretta, tangibile, inequivocabile dentro una scatola dei sensi, sapientemente articolata, grazie anche all’incessante audio di sottofondo, che ci regala, per un attimo, l’illusione che il SEGNO continui a vivere.

Si chiude così l’installazione di un artista che infondo racconta la vita intesa come passaggio d’ali, come continuo andirivieni di atterraggi e derive, come accumulo di SEGNI che, a metterli tutti insieme, forse, raccontano quell’assolutamente oltre che l’uomo, da passeggero immanente, spesso non comprende.

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