Lo ha detto Antonietta Mondello Signorino, presidente della sezione messinese di Italia Nostra, introducendo l’interessante incontro svolto venerdì sera nel Salone delle Bandiere di Palazzo Zanca, gremito come nelle grandi occasioni. Ed ha poi proseguito: “La città, il territorio, sono un bene comune, alla stregua dell’acqua, dell’aria, della conoscenza, della cultura che va diffusa con ogni mezzo, dal centro alla periferia. E’ la cultura diffusa che ci salverà dal baratro, quella della relazione, della capacità di confronto reale e non ricattatorio”.
Il convegno aveva come titolo “La città nuova inizia – Messina e il suo porto: prove tecniche di riunificazione” con riflettori accesi su San Raineri, “penisola urbana”, porto naturale dalla caratteristica forma di falce che dalle prime acque dello Stretto abbraccia la città. Luogo ricchissimo di storia come pochi, ma anche di problemi e contraddizioni, e simbolo, purtroppo, di una città ormai fin troppo abituata a convivere con l’incuria ed il degrado.
Ma qui di mezzo ci sono le origini della città, la sua storia, i suoi trascorsi che nel bene e nel male hanno lasciato testimonianze da salvaguardare, da considerare come basi per una “ripartenza” sociale, culturale ed economica che non può farsi attendere. Ed è per questo che Italia Nostra – Messina, quest’anno, come tema per sensibilizzare la città al rispetto del proprio patrimonio storico, artistico e naturale, ha scelto proprio di dibattere sulla “zancle”. All’’evento hanno dato il proprio contributo fattivo anche altre associazioni cittadine come Officina per Messina, CESV, CEA, SISSUS, WWF, Legambiente, Lega Navale Italiana, Terra e Cielo, Soroptimist, Il Cantiere dell’Incanto, Piccola Comunità Nuovi Orizzonti, Parco Museo Forte Cavalli, Garden Club, Comunità di Base. A margine della platea c’erano esposte delle belle immagini del porto di Messina e della zona falcata realizzate dal fotografo Nino Armeli.
Di assoluta eccellenza i relatori cui è stato affidato il compito di trattare gli argomenti del convegno: Nicola Aricò, docente universitario di Storia dell’Architettura; Elena La Spada, già docente universitaria di Urbanistica; Guido Signorino, docente universitario di Economia applicata e Luciano Marabello, architetto e urbanista, protagonista di tante iniziative in città.
A stimolare la città sull’importante tema del dibattito c’è voluta la triste e sofferta storia della Falce che da secoli risulta asservita agli scopi più disparati, primo fra tutti la difesa militare, che hanno creato la totale scollatura, il distacco, tra la parte urbana della città e quella striscia di strana “periferia” che tale, di fatto, non è. E che dovrebbe, invece, appartenerle a pieno titolo.
“La zona falcata è il gioiello più bello di Messina, e per questo il più difficile da gestire” ha detto la giornalista Elisabetta Raffa, moderatrice del dibattito, all’inizio del filmato con commenti ed interviste da lei realizzate, proiettato in sala prima degli interventi.
Le vicende della Falce di Messina risalgono alla notte dei tempi, e la storia che più si racconta riguarda il monaco Raineri, che alloggiando nel monastero basiliano di S.Salvatore, aveva lasciato un gran ricordo di sé, poiché nelle ore notturne accendeva dei fuochi per assistere ed orientare i naviganti di passaggio, spesso in difficoltà a causa dei tremendi gorghi tra Scilla e Cariddi. Sarà dedicata a lui la Torre che avanti nei secoli prenderà il nome, appunto, di Lanterna di San Raineri.
La più corposa testimonianza storica si concretizza a metà del ‘500, sotto la dominazione dell’imperatore Carlo V, il quale dà l’ordine di edificare Forte S. Salvatore che sorgerà intorno alla Torre di Sant’Anna. Ma il “gioiello” per eccellenza vedrà la luce nel 1555: si tratta della seconda Lanterna, realizzata da Giovan Angelo Montorsoli, “capolavoro dell’architettura rinascimentale integrata in quella militare” come l’ha definita nel filmato Nicola Aricò. Lo stesso, non ha dubbi sull’elemento che ha determinato storicamente la prima forte cesura tra la Falce ed il tessuto cittadino: “Messina ha perso storicamente il proprio rapporto con la zona falcata attraverso la realizzazione della real Cittadella” dice ancora Aricò. Si tratta della fortificazione seicentesca fatta edificare dal governo spagnolo in occasione della rivolta messinese del tempo.
Ci “pensò” lo Stato italiano, nel 1931, a gettarne giù una buona parte per realizzare il cavalcavia che sovrapassa la ferrovia. Ma a quanto pare neppure aver distrutto in maniera sconsiderata una testimonianza storica di tale valore è servito ad “integrare” la città con quel suo lembo di terra che si affaccia sullo Stretto.
La penisola di San Raineri, nel corso della storia che l’ha attraversata, ne ha visto, per così dire, di tutti i colori: oltre ai perenni insediamenti militari ha “ospitato” saline, lazzaretti, il cimitero degli inglesi e quant’altro. Ma la grande svolta è avvenuta dopo il terremoto del 1908, con l’entrata in vigore del Piano Borzì, che di fatto ha escluso la zona dalla città, privandola di un indirizzo che in ogni caso avrebbe dato un senso compiuto a ciò che poi vi sarebbe sorto all’interno.
Proliferano, quindi, insediamenti vari tra cui quelli della cantieristica navale e del relativo indotto, che assieme a quelli della Marina Militare caratterizzeranno l’area. Negli anni 80 del secolo scorso la zona, nonostante il già diffuso degrado, diviene così il cuore pulsante dell’economia cittadina: aziende come Rodriguez e SMEB (poi Palumbo) garantivano insieme oltre 1000 posti di lavoro. E adesso? Neanche a parlarne. Solo la prima (oggi Intermarine, gruppo Colaninno) che agli occhi del mondo fu il fiore all’occhiello nella produzione degli aliscafi, ne conta appena 75.
Cos’altro dire di San Raineri, se non che l’area si è resa famosa ai più sol perché vi hanno trovato sede gli ecomostri di turno, come il famigerato inceneritore, un impianto di degassifica, siti per la rottamazione, un disumano campo Rom e quant’altro.
Quanto a fruizione della collettività cittadina, ovviamente, neanche l’ombra. E dire che qualcuno, già secoli prima, ci aveva provato: il viceré Marcantonio Colonna, intorno al 1580, realizzò un parco urbano il cui percorso partiva dalla banchina del Palazzo Reale, adeguatamente attrezzata, per finire verso la metà del “braccio” in direzione della Lanterna. L’intervento di Nicola Aricò verteva proprio su questo argomento: “Colonna aveva immaginato la possibilità di far transitare dalla banchina lungo una passeggiata che abbracciasse l’intera portualità.
Diamo per certo, quindi, che la città, con questa iniziativa, entra a pieno titolo a San Raineri” ha detto il docente universitario. Lo stesso, alla fine, traccia una sintesi molto significativa: “La città a metà del ‘600 aveva preso realmente possesso della zona falcata. La gente passeggiava fino a San Salvatore. Si viveva in una dimensione utopica che oggi non riusciamo, ovviamente, a comprendere”.
A sua volta, definisce San Raineri come la “terra di nessuno” Elena la Spada, che ha relazionato su “progetti e idee per il futuro della Falce”. Non poteva mancare, quindi, la dissertazione sul più importante strumento che regolamenterà la zona falcata: il Piano Regolatore del Porto.
“Ha di buono – dice l’urbanista – che ci dà una chiara visione delle aree del porto non utilizzate. In ogni caso si tratta di un piano presentato nel 2006/2007 che deve essere aggiornato anche in virtù della mancata realizzazione del Ponte sullo Stretto”. E non risparmia qualche appunto sullo strumento: “C’è poca chiarezza sulle aree di traffico marittimo e industriale nelle zone di tutela, perché se da una parte si prevede la riqualificazione della Cittadella con fruizioni turistiche, dall’altra si crea conflitto con l’attività
di transito da e per il molo Norimberga”. Ed ancora: “Ci lascia perplessi l’interruzione dell’area che la Marina ha previsto al di sotto della Lanterna”
Parla, quindi, di “occasione mancata per la città” riferendosi al fallito progetto strategico per il Centro di Documentazione d’Arte Contemporanea redatto dalla Soprintendenza, dall’importo di ben 11 milioni di euro, previsto nell’ambito della riqualificazione della zona falcata ed inserito nel POR Sicilia. La docente, dopo aver accennato ad idee e progetti per la zona falcata ancora in itinere, ha concluso con un messaggio inequivocabile: “Non dobbiamo pensare di aggiungere altro cemento. Solo così la Falce può rinascere e la terra può respirare”.
Di come “rigenerare” l’area falcata e metterla in relazione ad un’auspicata ripresa dell’economia cittadina, ne ha parlato l’economista Guido Signorino. Far interagire due entità urbane così complesse e distaccate è già in sé un compito arduo, figuriamoci occuparsi, come nella fattispecie, di due casi con evidenti segni di malessere.
“Il problema è che tanto la città, quanto la Falce, sono investite da una fase di crisi profonda ed entrambe hanno la necessità di affrontare questa crisi radicale per trovare nuove sinergie per un nuovo modello di sviluppo urbano e partecipare insieme per una nuova città, attraverso progetti di rigenerazione urbana” ha detto Signorino.
“La città – ha proseguito l’economista – risponde a determinate esigenze. Il motivo principale che la anima è l’economia, vissuta tra risparmio e mobilitazione, ottenendo il massimo da ciò che si possiede. Per questo è, in quanto tale, il luogo della relazione. La città declina, quindi, nella crisi quando vengono meno le funzioni che generano le relazioni”.
E va, quindi, nel dettaglio, mostrando significative slide nelle quali illustra le cause del declino urbano della città, il rapporto tra Messina e la Falce ed il “ruolo ri-generativo” di quest’ultima, contemplando tradizione ed innovazione. Ecco alcuni esempi: induzione di attività per il flusso crocieristico; servizi, valorizzazione della città, realizzazione di infrastrutture turistiche (tipo realizzare un acquario sottomarino) e iniziative culturali; realizzare una cittadella “made in Sicily” nell’area fieristica etc. Ma per la rinascita, fa notare Signorino, occorre “andare oltre l’indotto turistico”.
Ed ecco, allora, andare verso una “nuova vocazione”: puntare allo sviluppo commerciale del porto sfruttando anche l’occasione storica dell’estensione normativa ambientale aree SECA (area ad emissione di zolfo limitate) al bacino Mediterraneo, ovvero intercettare ed incentivare la navigazione NG/LNG (Gas Naturale Liquefatto), comprese le autostrade del mare. “Avremmo grandi vantaggi per la città – sostiene l’economista – di tipo ambientale, occupazionale e commerciale, con l’abbattimento dei costi di bunkeraggio per le flotte dello Stretto fino al 50%”.
Ma questo processo di “ri-generazione” necessita di cose concrete: “Occorre mettere insieme – precisa Signorino – un progetto strategico, coalizzare gli interessi, dar vita ad un coordinamento istituzionale ed attrarre domanda dall’estero. In altre parole – conclude l’economista – ci vuole un disegno politico per la città”.
Luciano Marabello, che per approcciare la sala sul tema “Falce e città: la Forma come strategia di progetto” si è affidato ad immagini di Pasolini, centra subito una provocazione: “Siamo dinnanzi ad un’arma del delitto che ha costruito la forma della città e che intorno alla sua storia è stata occultata”. Della serie: un delitto perfetto. “Noi – approfondisce Marabello – nelle occasioni in cui ci misuriamo collettivamente siamo sempre abituati a parlare della città in termini di funzioni e di necessità, mentre non parliamo mai della forma, ritenuta un fatto specialistico, artistico o architettonico, quando invece è essenziale, specie nelle progettazioni di ampio respiro”.
E va al sodo, interessando la platea: “Il Piano Regolatore del Porto non è una realtà operativa – dice l’architetto – ma è uno strumento che ha subito degli stop e che in questo momento ha bisogno di valutazioni. Per questo è emendabile in alcuni punti”. E andando avanti fa alcuni esempi: “Il porticciolo da diporto lungo la parte esterna non darebbe solo problemi di carattere meteo-marino, ma altererebbe propriamente la morfologia della falce”. A seguire, quindi, procede con un’altra osservazione sul delicato strumento urbano: “Sorge il dubbio sul perché prevedere sedi ricettive alberghiere lungo la penisola, quando a ridosso dell’Istituto Talassografico esistono già gli alloggi della Marina Militare, in via di dismissione”.
E non solo. Ecco ancora un centrato ragionamento sulla questione: “Questi insediamenti alberghieri ricadrebbero nella zona attualmente occupata dall’impianto di degassifica e come tale soggetta a bonifica ambientale. Appare abbastanza strano che si facciano bonifiche con costi straordinari per la collettività per poi procedere con nuove edificazioni”. E quindi, sempre a carattere ambientale e strategico, lancia un appello che in sala tardava ad arrivare: “Bisogna impedire la paventata dismissione degli armamenti navali della NATO nell’area dell’Arsenale”. Marabello ha ultimato il proprio intervento con un bellissimo spezzone di film in cui Alberto Sordi, all’arrivo a Messina, affacciandosi dal “ferryboat”, avverte l’essenza, purtroppo ormai dimenticata, di arance e limoni.
A conclusione degli interventi dei relatori, al dibattito sono intervenuti: la dirigente scolastica Amelia Stancanelli,; l’architetto messinese Orazio Micali, adesso soprintendente a Siracusa, che per conto della Soprintendenza di Messina progettò allora interventi di recupero nella zona falcata; Nino Ullo, attivista presente in tanti dibattiti cittadini; Ivana Risitano, esponente di Comunità di Base, nonché candidata al Consiglio Comunale nella lista “Renato Accorinti Sindaco – Cambiamo Messina dal basso”; Maria Cristina Saija, candidata sindaco per il Movimento 5 Stelle; Alberto De Luca, del movimento Sdoganiamo Messina e Pino Falzea, presidente dell’Ordine degli Architetti di Messina.
Corrado Speziale