– di Corrado Speziale –
Il parco ecologico che sorge accanto all’ex forte umbertino, da anni luogo di incontro per tante associazioni, comunità e singoli cittadini amanti della natura, a dieci giorni dall’incendio che ha colpito le colline messinesi, presenta un paesaggio desolante. I danni sono incalcolabili, non tanto sul piano economico, quanto su quello naturalistico, morale e “spirituale”. Nel parco sono andate in fumo, tra l’altro, due delle tre “mitiche” casette sugli alberi, che hanno fatto rivivere il mondo delle favole agli adulti e fatto sognare tanti bambini. Le fiamme hanno distrutto interi versanti all’interno dei quali si sviluppavano affascinanti percorsi naturalistici, tra alberi secolari, essenze aromatiche e macchia mediterranea, habitat ideali per importanti specie faunistiche. Il fuoco ha fortunatamente risparmiato il forte, circondato dal fossato, e parte del giardino. Nel momento cruciale in cui divampava l’incendio, sul luogo non sono intervenuti i Canadair, impegnati a spegnere le fiamme in prossimità delle abitazioni a valle. Al fine di consentire ai volontari dell’associazione Amici del Fortino di ridare vita al parco, come sempre sotto la generosa guida di Mario Albano, in città è stata aperta una sottoscrizione.
Al Forte San Jachiddu le luci della natura si sono improvvisamente spente. Quei colori gioiosi che caratterizzavano il parco non esistono più. Adesso è tutto nero, grigio, a tratti seppiato, come un vecchio film drammatico giunto all’epilogo. Qua e là si intravede qualche albero d’alto fusto la cui chioma, in parte, eccezionalmente, ha resistito all’inferno e si staglia ancora nel cielo azzurro sopra i Peloritani. Si tratta di qualche quercia da sughero il cui tronco è stato protetto in modo naturale dalla preziosa corteccia, notoriamente impiegata come isolante in tante applicazioni.
Ma non sappiamo quanta vita ancora le resterà davanti, in quel deserto di cenere. Nonostante tutto, il Parco ecologico San Jachiddu è un luogo dell’anima, immortale, dalla natura irripetibile e in costante divenire, dal quale non si fugge.
A Messina, dopo il terribile incendio di dieci giorni fa, è iniziata la conta dei danni. Ma il Parco di San Jachiddu è un luogo speciale, di quelli che fanno storia a sé.
Il forte umbertino, eretto intorno alla fine dell’800, a 330 metri sul livello del mare, domina le vallate dell’Annunziata, San Licandro, Giostra e San Michele. Da lì, il panorama su Messina è di quelli che fanno trattenere il respiro. Sul principale pennone della fortezza, da circa 15 anni, la bandiera della Pace sventola sullo Stretto, dopo aver soppiantato l’idea e i dolorosi ricordi delle guerre, che la struttura inevitabilmente richiama. Tutt’intorno, lo splendido parco ricavato nel bosco, nel pieno rispetto della natura, dove si manifestano in pieno i principi del Creato. Qui, Forte San Jachiddu e il suo splendido parco ecologico, negli anni sono diventati luogo d’incontro, aggregazione e socializzazione, di dialogo interreligioso, d’ecumenismo. Lo frequentano associazioni, comunità, singoli cittadini, persone venute da fuori, ospiti di passaggio. Soggetti che portano con sé differenti credi religiosi, culture e ideologie, ma tutti uniti nel segno della Pace e del rispetto della natura e dell’ambiente. Tutti lì, ad ascoltare, innanzitutto, i suoni e le voci della natura, immaginando un mondo migliore.
A causa della scomparsa del verde, sono stati resi “invisibili” tutti i sentieri: il Serrazzo, che portava all’omonima cima, quello dei cinghiali e Frate Sole. Distrutta la Porta dei Peloritani, semidistrutto il piazzale degli orti. Dentro una nicchia, a margine del piazzale, le fiamme hanno risparmiato una scatola con dei libri, tra cui “L’altra via” di Franco Gesualdi. “Leggimi, ma non portarmi via”, c’era scritto sul coperchio, come se l’appello fosse indirizzato al fuoco.
Il danno ambientale è ingente. Ci vorranno tanti anni prima che l’ecosistema si riprenda da questo durissimo colpo. Le fiamme hanno aggredito e travolto interi versanti con alberi secolari: roveri, lecci, querce da sughero, pini, ulivi selvatici; carbonizzato essenze aromatiche come rosmarino, origano e alloro; cancellato macchia mediterranea come erica, corbezzolo, rosa canina, ginestra.
Tutti habitat ideali per importanti specie faunistiche: ricci, conigli selvatici, donnole, istrici; gazze, ghiandaie, farfalle di rara bellezza. Per non parlare del danno irreparabile apportato agli uccelli migratori, di casa, annualmente, in questi luoghi: falchi pecchiaioli, cicogne, fenicotteri.
Il fuoco ha fortunatamente risparmiato il forte, circondato dal fossato, anche se incredibilmente ha danneggiato l’antico torchio posto all’interno delle mura. Parte del giardino si è salvato, ma non c’è stato scampo per la casetta – reception, addossata al confine col bosco, dove si custodiva il miele assieme agli altri prodotti biologici. Distrutto dalle fiamme anche il forno dove si cuoceva il pane. Salve invece le arnie, poste su un pianoro senza tanta vegetazione, ma delle api, soffocate dal calore, non è rimasta traccia. Fuori dal parco, nonostante sia stata circondata anch’essa dall’inferno delle fiamme, come per miracolo, sul dorsale del Puntale Romano, è rimasta intatta una suggestiva croce in legno, alta 5 metri, realizzata da un cittadino dell’Annunziata devoto a Gesù e alla Natura.
Dinnanzi a questo quadro desolante, la domanda da porsi è se tutto questo si poteva evitare attraverso interventi tempestivi: apprendiamo che nel momento cruciale in cui divampava l’incendio, sul luogo non sono intervenuti i Canadair, impegnati a spegnere le fiamme in prossimità delle abitazioni a valle.
Al fine di consentire ai volontari dell’associazione Amici del Fortino di ridare vita al parco, in città è stata aperta una sottoscrizione.
I versamenti vanno effettuati sul conto BancoPosta dell’Associazione amici del Fortino, It n. 16S07601165000001017813039.
Ciò, affinché al Forte, spente le fiamme, si riaccenda la speranza
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