Una nota di riflessione politica dellon. Ferdinando Latteri del gruppo parlamentare MPA della Camera dei Deputati sul tema Cattolici e politica.
Cancellato il problema del confronto con i regimi e le culture del ‘socialismo reale’, mentre tutti i teorici della politica sembravano concordare sul definitivo trionfo del pensiero unico, di ispirazione laica, individualista e anglosassone, è esplosa, sulla scena mondiale, come all’interno dei singoli stati nazionali, la questione della rilevanza politica delle opzioni religiose.
In termini internazionali, il problema sembra quello del rapporto fra le grandi religioni, il cristianesimo, l’islam, l’induismo, il buddismo, il giudaismo.
Limitarne la portata alle sole relazioni internazionali, tuttavia, risulta operazione riduttiva per più di una ragione.
Il problema della rilevanza delle ispirazioni religiose delle persone, infatti, non può essere limitato alla materia dei conflitti tra Stati, ma si estende, con sempre maggiore incidenza, alle relazioni interne ai vari Stati per gli effetti complessi della presenza di più religioni sull’identità culturale, sui regimi familiari, sulla stessa cultura della democrazia.
I movimenti demografici, sempre più intensi, rimettono in discussione tradizioni e relazioni millenarie e impongono all’attenzione generale problemi impensabili negli anni scorsi.
Il pluralismo religioso in crescita, tuttavia, non si limita a porre il problema della coesistenza fra etnie e ispirazioni. Esso ripropone, con maggior forza e tensione, il problema dei valori della coesistenza, della democrazia e dell’identità civile degli stati occidentali.
La formula crociana, che affermava la necessaria derivazione cristiana dei valori civili europei, era, sostanzialmente, una formula di laicizzazione e di recezione nel modello liberale della cultura personalistica, di origini cristiane. Il ‘meticciato’ culturale e religioso che attraversa l’Europa contemporanea, invece, non si limita a porre il problema della coesistenza, ma ripropone, drammaticamente, il problema del rapporto fra valori di origine religiosa e valori civili. Esso mette a nudo l’irrinunciabile radice cristiana dei valori della civiltà occidentale, ne esprime l’intenso e profondo effetto sulla ‘laicità’ europea e, proprio per questo, ne rimette in discussione i fondamenti.
Così definito il tema del rapporto fra ispirazione religiosa e politica, con l’evidenza nuova che deriva dalla riapertura delle tensioni fra concezioni antropologiche, dopo la caduta del muro e la scomparsa del comunismo, risulta più chiaro ed evidente il percorso della riflessione sulla presenza politica dei cattolici in Italia.
Non si tratta più di affermare solo l’identità culturale e nazionale nei confronti della dottrina dei paesi dell’Est e, in generale, delle ispirazioni collettiviste. La stessa affermazione del pensiero occidentale e del modello individualista viene rimessa in discussione per molteplici profili e si tentano percorsi sincretistici ad alto rischio.
Le sfide si riprongono su due fronti.
Da un lato, il tentativo di assorbimento dell’originalità dell’ispirazione cattolica nella cultura omologante dei ‘diritti umani’, come bene ha spiegato il prof. Marcello Pera in un suo recente contributo.
Dall’altro, il problema, parallelo e concorrente, di non ridurre tutte le ispirazioni religiose a posizione confuse che rischiano di rendere uguali tutte le religioni. Come ha ricordato il Cardinale Scola, la stessa Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo ha un senso e un valore perché emanata nella consapevolezza delle differenze fondamentali delle ispirazioni di ciascuno dei sottoscrittori.
l problema di noi cattolici, dunque, è quello di riuscire a mantenere la propria identità nell’azione politica, garantendo a tutti i diritti fondamentali, ma richiedendo, anche, che si faccia qualcosa in più per tutelare e difendere i valori che ci consentono di identificarci e le libertà che ci consentono di essere, anche, un paese di accoglienza.
La grande difficoltà che si deve superare è, paradossalmente, quella che il prof. De Rita ha sottolineato come una ricchezza del mondo cattolico in un suo contributo al dibattito di agosto, in risposta al tentativo del prof. Panebianco di cancellazione della voce dei cattolici nel caso Pomigliano d’Arco.
La ricchezza alla quale fa riferimento De Rita è la straordinaria presenza sociale dei cattolici, è la stessa quantità e qualità della militanza di milioni di persone che seguono con rigore e passione la loro ispirazione religiosa nel disinteresse della grande stampa, è la continua e concreta realizzazione di opere, fuori dalle logiche corrispettive del mercato e della politica. Quella stessa ricchezza, tuttavia, in assenza di luoghi di aggregazione e di trasformazione dell’opera, del pensiero, del contributo di opere dei milioni di cattolici che quotidianamente e generosamente svolgono la loro azione in Italia e nel mondo, rischia di passare inosservata e di perdere parte del proprio valore.
È necessario trovare un percorso che consenta alla straordinaria presenza dei cattolici di esprimersi.
La soluzione al problema va cercata in una prospettiva di profonda innovazione del rapporto fra Stato e Società. È certamente vero che all’origine dell’attuale modello si trova il durissimo scontro fra primato dello Stato e primato della Società che caratterizzò la fine dell’ottocento, provocando guasti gravissimi, fino all’affermazione dello stato etico e ai tentativi di ‘nazionalizzazione’ della religione. È altrettanto vero che, per molti versi, l’esito di quello scontro fu dovuto all’incomprensione di una larga parte dei cattolici dei cambiamenti irreversibili che erano intervenuti.
L’ ispirazione elitaria e, spesso, antistatale, che emerge dal comportamento di certi cattolici che tendono a distaccarsi dalla politica e dall’impegno nelle istituzioni pubbliche e statali, potrebbe risultare una pericolosa fuga in avanti, una sopravvalutazione del ruolo dominante della Società.
I cattolici non devono aspirare, in quanto tali, al controllo dello Stato, ma non possono neppure limitarsi a richiedere solo la garanzia che lo Stato non invada gli spazi vitali della Società e non condizioni l’esercizio delle libertà.
Da un lato, devono impegnarsi nella costruzione di un nuovo stato sociale che non tenti di assorbire al proprio interno ogni funzione assistenziale, culturale, di promozione economica, correndo il rischio di nuovi totalitarismi.
Dall’altro, devono rendersi conto che l’abbandono delle istituzioni pubbliche, la mancanza di una presenza responsabile e sensibile alla riflessione sui valori fondamentali, conduce inesorabilmente all’affermazione di un relativismo senza principi. Non si tratta più, ovviamente, di tornare a formule superate di ‘partito cattolico’. La stessa ispirazione degasperiana di una ‘democrazia cristiana’ aveva in sé i fermenti di una apertura sociale e culturale ben più ricca e complessa.
Oggi, è necessario che i cattolici sappiano leggere, ancora una volta, i segni dei tempi e, in particolare, la nuova dimensione del problema religioso come problema dell’affermazione dei valori profondi della persona e della vita. È necessario scuotersi e uscire dalla pigrizia dell’appiattimento sul paradigma individualistico-edonistico proclamato nell’ultimo scorcio del novecento. È necessario superare la paura di assumersi responsabilità nelle istituzioni e tornare a portare il contributo dell’onestà e della cultura dei valori. Ovviamente, dopo anni di disimpegno e di rifugio nelle organizzazioni sociali, al riparo dalle responsabilità degli impegni istituzionali, può essere difficile riprendere l’iniziativa, misurarsi con quanti hanno occupato spazi, ricostruire una presenza attiva nei processi di governo.
In questa prospettiva, solo un sistema forte di autonomie sociali e istituzionali, ancor prima che territoriali, può garantire che il problema della valorizzazione del contributo dei cattolici alla vita civile possa esprimersi in forme e con la ricchezza che corrispondono alla vitalità della società. Nel confronto sempre presente fra tendenza ad affermare il primato esclusivo dello Stato e tendenza ad affermare il primato esclusivo della Società, i cattolici devono essere in grado di costruire una nuova statualità, capace di essere ‘sociale’ perché riesce ad essere espressione e sintesi delle istituzioni autonomamente generate dalla Società.
Il processo, tuttavia, non può conseguire risultati significativi se non si immagina una capacità di governo delle istituzioni che consenta e non ostacoli la transizione.
In quest’impegno è la sfida che dobbiamo affrontare.
a cura di Andrea Cotticelli Ufficio Stampa MPA
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