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OLOCAUSTI – Il giorno del ricordo. Eppure c’è ancora chi nega esodo e foibe

 

Il fuoco alle polveri è stato acceso da Marta Vincenzi, sindaco di Genova. Il 7 febbraio ha sostenuto che «le foibe vanno ricordate nel contesto della guerra, dopo gli anni di vero e proprio razzismo etnico portato avanti dal fascismo».

Se le foibe sono state «solo» una reazione al fascismo non si spiega come siano stati trudicati degli innocenti, in quanto italiani e soprattutto dei dichiarati antifascisti. A Fiume, finita la guerra, uno dei primi connazionali a venir fatto fuori dalla polizia segreta di Tito fu Angelo Adam reduce del confino di Ventotene e del lager di Dachau.

A Gorizia i titini deportarono centinaia di italiani compresi Licurgo Olivi e Augusto Sverzutti, membri del Cln locale.

Secondo il presidente della Federazione degli esuli, Renzo Codarin, «bastava che il sindaco chiedesse lumi al suo predecessore, Sansa, anche lui di sinistra, ma esule di Pola.

Nelle foibe è stata gettata gente innocente e pure antifascisti». Per fortuna nello stesso discorso la Vincenzi «si inchina alle vittime delle foibe e ai loro familiari».

A Pistoia è scoppiato l’altro caso con il libro Dossier Foibe, di Giacomo Scotti, donato dal sindaco, Renzo Berti, agli istituti superiori.

Il Pdl locale ha alzato gli scudi parlando di testo «negazionista» e il deputato finiano Roberto Menia ha presentato un’interrogazione parlamentare accusando il primo cittadino «di palese e voluta contraddizione con i principi e il senso della ricorrenza del 10 febbraio».

L’autore, che vive in Croazia, è un napoletano che alla fine della guerra venne attratto dal «paradiso socialista» jugoslavo.

Scrisse anche poesie inneggianti a Tito, ma poi si è reso conto dei limiti del socialismo reale.

In una delle sue opere più famose raccontò la triste fine dei comunisti non in linea con Tito nell’isola lager di Goli Otok. Sulle foibe e l’esodo ha sempre accusato la destra di cavalcare la tragedia, ma forse più che negazionista è un «riduzionista», ovvero diminuisce i termini del fenomeno e il numero delle vittime, argomento ancora oggi controverso. Per assurdo in Italia ci sono ancora una decina di comuni che hanno una via Tito.

Ieri il sindaco di Calalzo, Luca de Carlo, ha scritto ai primi cittadini di questi centri chiedendo che la via dedicata al Maresciallo sia rinominata «Martiri delle foibe». «Nessuno di noi vorrebbe mai trovare “via Hitler” nel proprio paese: per la stessa ragione non possiamo tollerare che esistano ancora luoghi inneggianti a chi massacrò migliaia di italiani» scrive il sindaco, che lo scorso anno si era rivolto al presidente Giorgio Napolitano, senza ricevere risposta.

Fausto Biloslavo – ilgiornale.it

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