– di Corrado Speziale –
Il libro del poeta e drammaturgo reggino è stato presentato al Parco Horcynus Orca di Capo Peloro nel corso della terza serata del Festival. Sul palco, nell’incantevole scenario dello Stretto, con l’autore è intervenuta Katia Pastura della casa editrice Mesogea.
Un “colpo di luce” ha finalmente infranto il buio del lockdown, durante il quale “Ossa di crita”, nel silenzio, era approdato nelle librerie. Cosicché, l’ultimo libro di Massimo Barilla, ed. Mesogea, 2020, raccolta di poesie che per vocazione nasce in terra calabra, non poteva trovare battesimo migliore. L’Horcynus Festival, infatti, rassegna della quale Massimo Barilla è direttore artistico per la sezione teatro, proprio dall’area dello Stretto, tra “Scill’e Cariddi”, tende la propria mano e costruisce ponti ideali di inclusione sociale e culturale con i popoli del Mediterraneo.
Il testo è composto da 22 poesie, scritte in dialetto reggino, “u’ ‘rriggitànu”, affiancate ciascuna dalla versione in italiano. Componimenti che si lasciano leggere e “ascoltare” come suoni, con passione, facendo immergere il lettore nella purezza di un linguaggio che sgorga dalla terra e attraversa l’animo umano facendo presa sui sentimenti che ispirano un canto talvolta struggente, fondato su una speranza remota: “Parrami figghiu cu ll’occhi i dumani e dimmi chi vidi…” Ma anche su una certa sensazione che qualcosa di nuovo stia per germogliare: “…sentu comu ci fussi un sonu ‘na nota suttirrata (stricari d’erba sicca) comu si bruciassi la ramagghia d’un tempu rimundatu prontu a jettari già dumani taddi di vita nova”.
Il libro è stato presentato al Parco Horcynus Orca di Capo Peloro nel corso della terza serata dell’Horcynus Festival. Sul palco, nell’incantevole scenario dello Stretto, con l’autore è intervenuta Katia Pastura della casa editrice Mesogea: “Per noi è la prima uscita dopo i mesi di quarantena e mi fa piacere che questo accada con un libro di poesia scritto da Massimo Barilla”, ha detto l’editrice. Libro che dopo il lockdown ha trovato il suo momento appropriato: “In questi mesi – ha proseguito Katia Pastura – abbiamo vissuto una privazione fondamentale che è il venir meno del privilegio della voce.
“Questi ventidue momenti di Massimo Barilla – ha riflettuto Grima – sono un susseguirsi di parole, suoni, voci, ritmi, tensioni, fra dimensioni diverse, momenti ed espressioni differenti. Un susseguirsi di sentimenti, emozioni, contraddizioni”. Sequenza che sfocia in un “atto di grandissima umanità”. E ha aggiunto: “La poesia di Massimo Barilla è la celebrazione della pluralità delle possibilità. Nell’aria fresca di questa poesia le cose sono più vive di sempre. I colori spargono colpi di luce che tagliano l’anima.
La lettura e la performance.
Massimo Barilla ha letto le proprie poesie seguendo un progetto basato su musica e immagini, con la profondità e le suggestioni portate dal suono e dagli effetti del pianista Luigi Polimeni, direttore artistico del festival, assieme a Giacomo Farina, per la sezione musica.
Petri addumati, Non vegnu sulu, Cu ll’ossa di crita, sono state proposte ciascuna con musica, effetti e lettura in dialetto con suono appropriato. L’occhi i dumani è stata “cantata” senza musica. Molto apprezzata è stata una delle poesie più ricercate: Dumani, suggestivo componimento letto in dialetto reggino e in lingua italiana e maltese, con traduzione di Adrian Grima. A seguire, Acqua d’agustu si è avvalsa di un sottofondo musicale con solo piano, molto particolare.
Cosicché, nel mitico lembo di terra di Capo Peloro, luogo dell’Horcynus e delle meraviglie, la serata delle poesie di Massimo Barilla ha conosciuto il suo epilogo: “Lascia parlare la notte per vedere se arriva tempo di salvezza, mano che calma il vento, sonno che accarezza…”
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