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PADAM, PADAM – Tra passione e amore…a Edith sarebbe piaciuto così?

Edith Piaf: inni all’amore e alla passione, cronache da un tempo in cui le rivoluzioni culturali non ne avevano ancora codificato i modi di separazione ed il cursore del rapporto di forza tra queste due componenti di una relazione, era posizionato in tutt’altro asse ed in tutt’altra dimensione.

Le risposte che ci si aspetta dalle note e dalle parole del concerto-spettacolo “Padam padam”, andato in scena al Teatro Vittorio Emanuele di Messina in questi giorni, sono quindi risposte alle loro modalità di coesistenza nei rapporti personali, risposte a domande probabilmente non volute, ma con le quali di certo si sarà dovuta scontrare la regista-attrice-cantante Adele Tirante nell’operare le scelte per l’adattamento e rielaborazione dei testi proposti di Berteaut, Cocteau e Prevért, e che ad ogni modo, son quelle che spingono un immaginario di raffronto tra l’intensità smodata della vita d’artista e la profondità mitigata dei sentimenti dell’uomo comune.

Il rapporto tra amore e passione è infatti un aspetto che ha pervaso in maniera decisiva la vita e l’opera della chanteuse francese per eccellenza, e laddove ci è sempre stato detto che queste si fagocitano a vicenda o che, per lo meno, si equilibrano in un armistizio delle emozioni, ciò che ha reso singolare l’opera e la vita di Edith, e conferito un enorme vantaggio comunicativo, è che questo a lei non è accaduto.

L’usignolo di Parigi, infatti, pur avendolo magari ricercato, questo equilibrio sembra non averlo mai trovato, ed anzi, ha spinto le due componenti oltre le soglie “consentite” costruendo una vita al di sopra dell’umanità “normale” ed interpretandola in maniera tanto più brillante quanto più le soglie venivano aggredite, erose e distrutte.

Del resto è proprio questa la potenza dei “maledetti”, soprattutto quando la “maledizione” è talmente tangibile da stagliarsi superba nell’eternità.

Creare uno spettacolo biografico con queste premesse è pertanto un atto coraggioso, considerato che difficilmente, date le condizioni di partenza, si colmeranno le profondità esplorate dai personaggi che si intende onorare, ma anche un atto che, affrontato nell’ottica di quell’attitudine didattica e popolare che il teatro ha sempre avuto dalle origini, rende onorevole il cimentarsi.

In “Padam Padam” assistiamo ad un esperimento di questo genere portato avanti da due figure tecnicamente efficaci e preparate (l’attrice nostrana Tirante, come detto, e l’eccellente pianista-fisarmonista-arrangiatore Mirko Dettori, esperto di musiche retrò).

Lo spettacolo inizia con un artificio poetico condotto a beneficio del pubblico mentre questo è ancora in fila per entrare nella piccola saletta Laudamo (che da quest’anno è stata riaperta e valorizzata).

Si presentano due artisti di strada, un uomo adulto con una fisarmonica, il padre di Edith Piaf, e la giovanissima cantante, che in tenera età si esibiva in numeri circensi per le strade di Parigi. Queste spolverate di elementi biografici (nel proseguo si accennerà alla passione da bordello dovuta alla vita passata con la nonna maîtresse, o ai rapporti d’amore coi tanti uomini della sua vita) forniscono in qualche modo una chiave di lettura per le vicende che caratterizzano gli altri interventi della serata.

Una volta dentro la sala, in un’alternanza tra musiche e recitato, si assiste quindi alla proposizione di una selezione di alcuni temi amorosi (l’amore sofferto di chi insegue chi non c’è, il coraggio e l’incoscienza squilibrata della passione o il rito della proposizione delle proprie ferite nel rapporto col pubblico – anche questo, sottolineato da un tappeto di rose, è infatti un rito d’amore). In questo modo si riesce ad avvicinare lo spettatore più curioso alla riflessione ed alla voglia di saperne di più sulla vita e le opere della Piaf, senza risultare eccessivamente giudicanti di quello che fu il suo lato più umano.

Del resto non si può che avere empatia per questa donna sfortunata che rimane fedele all’enorme trascinamento dell’amore anche quando questo va male, come non si può che avere simpatia per chi, pur avendo il mezzo artistico dalla sua, si trova a dover comunque spostare da un mondo onirico a quello reale il peso di ciò di cui neanche l’arte riesce a liberarti. ( Tra le frasi messe in bocca a Edith in questo viaggio dal sogno alla realtà troviamo infatti un “La tua esistenza ha le complicazioni di un incubo” o un “Sono gelosa dei tuoi sogni” che rendono abbastanza l’idea di un’esistenza tutt’uno con l’immateriale dormiente).

Per il resto a parlare e sottolineare i concetti ci pensa la musica, in una scelta di repertorio che alterna pezzi famosissimi come “Milord” o “Mon manège à moi” a pezzi più da “conoscitori” come “Mon Dieu”, “La foule”, “Si tu m’aime”, “Pour moi toute seule” o per l’appunto “Padam Padam” che da il titolo allo spettacolo. Su questo versante sono raffinate le scelte stilistiche di Dettori ed evocativa la presenza scenica e vocale di Tirante che rende sufficientemente l’idea della Piaf.

Che dire? Lo spettacolo è piacevole, scorre ed incanta, grazie a interessanti trovate, magari non del tutto esaustive del personaggio, ma che soddisfano il ruolo didattico di cui si parlava prima e permettono di passare una serata di poesia.

Le doti di interpretazione e profondità della Tirante, inoltre, lasciano intravedere le potenzialità della giovane attrice che aspettiamo di vedere in un futuro, magari da drammaturga, nel quale poter meglio testare delle doti che viste le premesse non dubito potranno conquistarci.

Francesco Mastrolembo

 

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